Università degli Studi di Milano e Università Cattolica del Sacro Cuore

In questi giorni negli Stati Uniti si sta discutendo molto della proposta della FCC, la commissione federale per le comunicazioni statunitense, per abolire la cosiddetta net neutrality, letteralmente “neutralità della rete”, ovvero il concetto per il quale i fornitori di servizi internet non dovrebbero gestire l’accesso ai contenuti da parte degli utenti, impedendo così la creazione di discriminazioni e favoritismi. Questo evento è stato già ripreso da alcune testate italiane, tra cui il Post, l’HuffingtonPost e TheSubmarine (per maggiori informazioni clicca qui) ma nonostante ciò viene da chiedersi come mai in Italia non abbia avuto molta eco. Le ipotesi sono diverse. Innanzitutto si può pensare al fatto che tutto il discorso attorno alla net neutrality rimandi ad un concetto prettamente tecnico, dato l’utilizzo di una terminologia non diffusa ai più, impedendo così l’approfondimento e quindi relegandolo come problema minore o non esistente. Si può pensare anche ad una mancata percezione della minaccia dovuta a a) il fatto che la discussione sia per ora isolata agli Stati Uniti, quindi “lontana” e b) il fatto che nonostante l’alta penetrazione di dispositivi che consentono accesso alla rete (smartphone su tutti), l’utilizzo è in media molto basilare, ad esempio limitata ai social network e alle applicazioni di messaggistica. Questo secondo punto porterebbe ad accettare passivamente, magari inconsciamente, piani limitati a questo determinato utilizzo, ignorando le gravose ricadute per altre utenti. Ottimisticamente parlando, sarebbe necessaria una maggiore consapevolezza e intensità nell’informazione per poter capire come, seppur lontana sia in termini geografici che di minaccia effettiva (come si vedrà più approfonditamente in fondo a questo articolo), l’abolizione della net neutrality sia profondamente lesiva nei confronti delle libertà individuali del cittadino, soprattutto se si considera la rete internet come un bene comune, come lo è sempre stata.

Il problema principale della proposta della FCC è essenzialmente il fatto che i fornitori di servizi internet (o ISP) potrebbero gestire arbitrariamente, limitando od impedendo, l’accesso ai contenuti da parte degli utenti. Questo va contro al principio di una rete internet libera ed aperta, che ha caratterizzato la rete globale sin dalla sua nascita. Questo principio è ciò che permette, ad esempio a livello commerciale, che le piccole realtà non siano necessariamente schiacciate da quelle più grandi ed affermate per presenza online.

 

2017. Vignetta sulla protezione della neutralità di internet

Il secondo problema è che la FCC, inizialmente era pro net neutrality e spingeva verso un controllo più stringente sui provider di servizi internet. Lo scenario è cambiato con l’elezione dell’attuale presidente Donald Trump, che ha messo a capo della FCC Ajit Pai, fortemente contrario alla regolamentazione degli ISP.

A questo punto è importante ricordare due cose. La prima è che, nonostante il problema sia reale ed impellente, rimane la speranza (nonostante un congresso Repubblicano, anti regolamentazione) che il 14 la net neutrality americana non venga annullata a favore di un oligopolio degli ISP. La seconda cosa da ricordare, riguarda il fatto che, in caso dovesse passare negli Stati Uniti, non è detto che vi sia un effetto spill-over pronto a riversarsi sull’Unione Europea. Per quanto sia vero che l’agenzia di telefonia portoghese Meo abbia messo a disposizione diversi pacchetti per diversi servizi, è opportuno fare chiarezza. In questo caso non si può parlare di mancanza di net neutrality, perché Meo offre comunque dei pacchetti telefonia e dati come qualsiasi altro gestore. Il pacchetto social è aggiuntivo e riguarda unicamente i social utilizzati. Esempio: considerando un pacchetto da gb a € mensili e un utente che ama fruire di musica tutto il giorno grazie a Spotify, quest’ultimo può aggiungere 10gb a 4.99€ che non vadano ad intaccare la sua navigazione quotidiana. Per quanto sia deleterio alla “salute”, per così dire, di un internet libero – dato che seleziona determinati servizi arbitrariamente – non impone limiti, vincoli o blocchi, e i pacchetti “liberi” rimangono nell’offerta. Anche in Italia Fastweb ha delle tariffe dedicate al gaming, ma accostate a pacchetti standard. È quindi chiaro di come sia un’ingerenza dell’ISP mascherata da servizio non si possa comunque parlare di antagonismo alla net neutrality.

Infatti, negli ultimi anni, l’UE si è dimostrata ben pronta ad ascoltare i consumatori, divincolandoli ad esempio dal pagamento dei costi di roaming all’interno dell’UE per quanto riguarda la telefonia cellulare. Anche grazie ad un’intensa campagna di informazione da parte di savetheinternet.eu, a settembre 2016 l’ufficio BEREC, ovvero l’Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche, l’equivalente della FCC, ha pubblicato una serie di linee guida su come gli ISP devono gestire il traffico di dati. Queste linee guida vietano espressamente gli ISP dal bloccare o dal gestire arbitrariamente il traffico dati della rete internet, tuttavia con delle deroghe per gli operatori di telefonia mobile. Nonostante lo scetticismo di alcuni osservatori, in questo caso è improbabile che l’influenza americana giochi un ruolo sulle regole dell’Unione, la quale dovrebbe riuscire a mantenere una rete internet il più aperta, libera e paritaria possibile.

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