Proponiamo qui un estratto del saggio di Luca Fantacci intitolato Riconciliare economia e società: monete complementari per lo sviluppo locale e la coesione sociale e pubblicato nel volume Dieci idee per ripensare il capitalismo.
Come tutte le crisi che hanno contraddistinto il capitalismo fin dal suo insorgere, anche quella attuale è dovuta al fatto che si produce più di quanto si riesca a vendere: una crisi non dell’offerta, bensì della domanda. Il paradosso della povertà nell’abbondanza, come venne chiamato già durante la Grande Depressione degli anni ’30, trova spiegazione nell’aggiunta di un aggettivo: a mancare non è la domanda assoluta, ossia i bisogni (che risultano semmai aumentati per effetto della crisi), bensì la domanda effettiva, ossia la domanda resa efficace dalla disponibilità di denaro. L’economia ristagna perché il denaro non viene speso.
La crisi deriva dal fatto che le imprese hanno cessato non già di produrre, bensì di vendere ciò che producono. Non si vende perché non si spende. E non si spende perché il futuro è incerto. È un circolo vizioso: in una situazione di radicale incertezza, solo il denaro contante appare come un rifugio sicuro; ma quanto più il denaro è accumulato e sottratto alla circolazione, tanto più la domanda ristagna, l’attività economica langue e la luce del futuro s’annebbia. Il denaro, in quanto riserva di valore, diventa la forma suprema della ricchezza e, al tempo stesso e proprio perciò, anche il buco nero che inghiotte ogni intrapresa.
Perciò, come si diceva, l’origine della crisi è monetaria: la moneta in quanto oggetto di desiderio e di accumulazione è la radice del problema. “L’attaccamento al denaro è la radice di ogni male” (1Tim 6, 10). La massima dell’Apostolo, prima di diventare una raccomandazione morale, vale come constatazione empirica di un fenomeno noto alla teoria economica con il nome di “trappola della liquidità”.
Se è vero che la crisi ha una causa monetaria, la politica monetaria non basta, tuttavia, a risolverla. La trappola della liquidità è caratterizzata proprio dalla inefficacia della politica monetaria: per quanto le banche centrali si sforzino di stimolare l’attività economica attraverso politiche non convenzionali e quantitative easing, ogni iniezione di liquidità è immediatamente prosciugata da una preferenza per la liquidità apparentemente inestinguibile. Il denaro emesso non arriva ad alimentare la produzione e lo scambio, ma finisce per gonfiare circuiti meramente finanziari e speculativi, con effetti nefasti non soltanto in termini di minor equità, con una distribuzione sempre più polarizzata del reddito e della ricchezza, ma anche in termini di abbassamento del livello di attività economica, per effetto della contrazione della domanda dovuta all’impoverimento delle classi lavoratrici, tradizionalmente dotate di una maggiore propensione alla spesa.
Sarebbe necessaria, come ormai invocano anche alcuni banchieri centrali, una politica fiscale altrettanto espansiva. Gli investimenti pubblici potrebbe sostenere la domanda aggregata, sopperendo alla mancanza di domanda privata. Senza peraltro aggravare, ma addirittura alleggerendo il debito pubblico, grazie ai tassi d’interesse tenuti bassi dalle banche centrali. Inoltre, un’adeguata riforma fiscale potrebbe contribuire ulteriormente a reprimere la rendita, a beneficio di salari e profitti. Fino a questo momento, però, i governi hanno viceversa contribuito alla contrazione della domanda aggregata attraverso politiche di austerità.
La riforma monetaria costituisce l’unico rimedio radicale a quella sindrome maniaco-depressiva del capitalismo che chiamiamo ciclo economico e che ha nell’attuale configurazione del sistema monetario, e segnatamente nel carattere di riserva di valore della moneta, la sua causa più profonda. In attesa che la svolta si attui al livello più alto, attraverso la riforma del sistema monetario internazionale da più parti invocata, le monete complementari rappresentano un tentativo di mettere in atto la riforma monetaria dal basso, su scala locale, in maniera a volte inconsapevole, a volte temeraria.
Queste monete non si propongono di sostituire la moneta ufficiale o di entrare in competizione con essa, ma di completarla nello svolgimento delle sue funzioni, laddove essa si riveli insufficiente o inadeguata. Rispetto a che cosa? Rispetto al conseguimento dell’obiettivo principale della circolazione monetaria, ossia dell’incontro fra domanda e offerta. Come la teoria economica sostiene da sempre, infatti, la funzione essenziale della moneta è quella di essere un puro intermediario, in grado di facilitare la circolazione dei beni e servizi prodotti nell’economia. La moneta complementare si rende particolarmente utile ogni qualvolta la domanda e l’offerta non si incontrano, ossia ogni volta che coesistono bisogni insoddisfatti e risorse inutilizzate. Le soluzioni sinora attuate possono essere raggruppate in tre tipologie. Le prime due consistono in circuiti locali di moneta cartacea senza copertura (fiat money) o con copertura (backed). Nel primo caso, la creazione monetaria avviene ex nihilo e senza alcun rapporto con gli scambi di beni e servizi all’interno della comunità. Nel secondo caso, la moneta locale emessa è garantita da un fondo costituito in moneta ufficiale. La creazione monetaria è subordinata alle scelte dei singoli utenti, che decidono se convertire o meno la moneta ufficiale in quella locale (o viceversa). Una possibile soluzione è fornita dalla terza tipologia di monete complementari, ossia dai circuiti di compensazione. Si tratta dell’esempio più significativo dal punto di vista economico, in quanto la creazione (e la distruzione) della moneta viene alimentata dal ritmo stesso degli scambi. La moneta emessa è una pura unità di conto, che serve a registrare i saldi attivi o passivi dei partecipanti al network. Un modello ibrido è costituito da quelle che potremmo chiamare “monete temporizzate”, ossia monete complementari che si convertono automaticamente in moneta ufficiale a una scadenza prefissata.
La moneta del capitalismo è una forma di ricchezza, anzi la forma apparentemente più sicura di ricchezza, quella in cui tutti si rifugiano quando il futuro si fa particolarmente incerto e nessun impiego del denaro appare abbastanza promettente – salvo poi contribuire, proprio attraverso la sua tesaurizzazione, a intralciare la circolazione, a soffocare l’impresa, a impedire il pagamento dei debiti e a provocare la crisi da cui si intendeva guardarsi. La moneta complementare è un puro mezzo di scambio, un bene il cui unico valore scaturisce dalla sua funzione pubblica di dare una misura comune agli scambi e permettere i pagamenti. La capacità delle monete complementari di promuovere la coesione sociale consegue proprio da questo loro carattere di puro mezzo, che impedisce la formazione di squilibri persistenti e fa sì che ciascuno sia chiamato a partecipare alla vita economica della comunità nell’eguaglianza del dare e del ricevere. Se questi sistemi nascono come strumenti di sostegno locale, la forza innovativa che essi mettono in campo è molto più ampia e significativa. Il modello basato sulla compensazione può essere esteso a livello internazionale, con i paesi che prendono il posto dei singoli agenti economici. La proposta di ordine economico internazionale elaborata da Keynes alla fine della Seconda Guerra Mondiale prevedeva un sistema di compensazione tra gli stati dotato di una moneta internazionale, il bancor, con l’intento di rifondare le relazioni economiche tra gli stati su un principio cooperativo. La riforma monetaria si ripropone oggi come una delle questioni centrali del nostro tempo.