“Un programma che non è facile riconciliare”. Non usa mezzi termini Mario Draghi in occasione del vertice EuMed davanti ai colleghi dell’area mediterranea dell’Unione Europea per descrivere quella che appare la sfida più importante delle nostre democrazie nei prossimi anni. L’urgenza della transizione ecologica e del perseguimento degli obiettivi di neutralità climatica, definita dal Premier italiano una
“trasformazione gigantesca per cui non c’è più tempo” dovrà necessariamente essere affiancata da strategie in grado di contenerne le conseguenze, perché una transizione così grande, e così rapida, aggiunge Draghi, comporta “costi sociali ed economici immensi”.
La risposta a livello europeo alle crisi ambientale, sanitaria ed economica, acuite significativamente dalla pandemia, è rappresentata dal Next Generation EU, un programma di portata e ambizioni inedite in termini di investimenti e obiettivi di medio e lungo periodo. Per l’Italia il programma rappresenta, attraverso la promozione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, un’opportunità imperdibile di sviluppo, investimenti e riforme ma anche un banco di prova senza precedenti contraddistinto da vincoli e scadenze che delineeranno senza equivoci il ruolo che il nostro Paese potrà ricoprire nel percorso di transizione. Dove ci porterà tutto questo?
Transizione è un termine che spesso lascia pensare a un fenomeno graduale e naturale, come se questo viaggio trasformativo fosse già tracciato, se ne conoscessero le tappe e la destinazione. Non basta però la buona volontà e la corresponsabilità di tutti gli attori di sistema nel convergere verso gli obiettivi che la transizione pone in termini di priorità. La transizione ecologica è infatti un processo di cambiamento, che non riguarda solo politiche di tutela ambientale e sviluppo tecnologico, ma riguarda gli stili di vita, l’organizzazione delle città, le trasformazioni della mobilità, l’attenzione ai vincoli ecologici e ai tempi della natura, le relazioni di comunità, e coinvolge in prima persona i comportamenti e le abitudini dei cittadini. Per questo motivo abbiamo bisogno di scelte drastiche e cambiamenti duraturi, di un’evoluzione del ruolo degli attori politici, economici e sociali, di innovazione supportata dalla tecnologia, di un aggiornamento delle competenze e dei saperi e dello sviluppo di processi partecipativi in cui i cittadini possano giocare un ruolo attivo nella dimensione decisionale. Senza una trasformazione delle prospettive che conducono a sistemi di azione rischiamo di accumulare un repertorio di saperi specialistici, senza che questo comporti cambiamenti significativi nei confronti del mondo, della natura e delle persone.
Oggi al centro del dibattito pubblico sulla transizione ecologica c’è l’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia. Gli effetti negativi su imprese e famiglie, soprattutto quelle più povere, sono immediati. Questi picchi nei costi sono dovuti soprattutto alla ripartenza dell’economia mondiale e alla persistenza di strutture economiche inadatte, dalle troppo fragili catene globali del valore ai sistemi di gestione delle forniture. Sarebbe errato ricondurre la ragione di questi aumenti alla transizione verde, ancora in fase embrionale. Anzi, solo una transizione armonica e concordata, ma allo stesso tempo coraggiosa, può evitare che i costi si abbattano sui settori economici e sociali più deboli.
Il sostegno del governo alle spese per le bollette di famiglie e piccole imprese è doveroso, ma tamponare il problema energetico non basta. È necessario che l’attore pubblico si metta alla guida di una transizione ambiziosa. Essa, indirizzando gli sforzi verso un obiettivo comune, può rivelarsi un’opportunità di rinnovata collaborazione fra Stato e imprese.
I Milano Transition Days intendono mostrare quante realtà del tessuto economico e produttivo italiano si siano già attivate nella direzione della transizione e come l’ecosistema dell’innovazione sia pronto a raccogliere le sfide sottese alle parole di Draghi, per nuove economie in grado di tutelare l’ambiente e le sue risorse, e proteggere da costi sociali e nuove forme di diseguaglianze.
Saranno questi a Milano i giorni della YouthCop26 e PreCop26, durante le quali anche la società civile avrà l’occasione di contribuire alla definizione di priorità e all’identificazione di obiettivi concreti nella lotta al cambiamento climatico verso COP 26. L’auspicio è che la conferenza di Glasgow possa ottenere l’eco e la valenza politica di quella di Parigi del 2015 perché nonostante vi sia un significativo aumento della consapevolezza da parte delle persone rispetto alla crisi climatica non abbiamo ancora assistito a una definitiva consacrazione della transizione ecologica come chiave per un nuovo consenso politico. Per questo non basta riconoscere l’urgenza e i rischi dei disastri ambientali, che purtroppo accompagnano la cronaca quotidiana ormai da diverso tempo, ma è necessario che il percorso verso la transizione passi anche dal conflitto delle idee e delle posizioni, dalle nuove forme di mobilitazione che coinvolgono anche i giovani, dal confronto con i diversi settori della società, anche attraverso una rinnovata attenzione a forme di partecipazione. Solo così il nuovo ecologismo potrà diventare un elemento costitutivo per nuove alleanze anche a livello politico, diventando portatore di una nuova dimensione valoriale condivisa e rafforzando il consenso attorno a obiettivi comuni.
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli