Non solo storia – Calendario Civile \ #18marzo 1871
Come si esce dalla Comune e che rapporto si istituisce con i mondi popolari e operai del proprio Paese dopo la deportazione o l’esilio? Per rispondere bisogna innanzitutto fare qualche riflessione non sul mito ma sulla realtà sociale della Comune. Un movimento inatteso anche se collegato con le reti cresciute in Francia nella fase liberale dell’Impero descritte splendidamente dall’ultima ricerca di Innocenzo Cervelli.[1] Un movimento popolare e spontaneo: noi ricordiamo i suoi protagonisti per le loro vicende successive o il loro martirio ma il movimento non si sarebbe affermato senza i proletari, le lavandaie di Montmartre, in un moto di difesa del territorio e di ribellione al tempo stesso. Un movimento il cui programma, che media fra le numerose correnti presenti nel suo governo, potrebbe essere definito socialmente riformatore, ispirato alle rivendicazioni del 1848 e che pure suscitò odio e terrore dagli avversari per l’ingovernabile autonomia sociale che manifestava. Un movimento che esercitò verso le persone incomparabilmente meno violenza di quella subita dai suoi protagonisti. Un movimento che coincise con la crisi definitiva dell’Associazione internazionale dei lavoratori, le cui idee riemergeranno quasi 20 anni dopo profondamente modificate. E che – sotto la categoria egualitaria di artisti – suscitò l’adesione di pittori leggendari come Gustave Courbet ma anche dell’operaio incisore Edme Charles Chabert. Erano “artisti” anche il bronzista Zéphirin Camélinat e il tagliapietre Claude Perret che dovette rifugiarsi in Belgio e sarà il padre di Auguste, l’architetto “poeta del cemento armato”.[2]
Dobbiamo quindi chiederci come i protagonisti uscirono da quel trauma spaventoso che interruppe la trasmissione fra due generazioni: innanzitutto i protagonisti anonimi, gli artigiani e operai le cui organizzazioni “corporative” erano cresciute nell’ illegalità e sotto la copertura del mutualismo come quelle animate da Eugène Varlin, cooperatore e animatore dello sciopero dei rilegatori parigini, che la morte eroica ha consegnato al nostro ricordo.
Dopo 5 anni, nell’ottobre 1876[3] venne convocato a Parigi un “congresso operaio” per iniziativa di Jean Joseph Barberet, operaio e cooperatore che alla Comune non aveva partecipato pur non opponendosi. Il timore suscitato dalla repressione impose estrema prudenza a quei congressi (ripetuti nel ‘78 e nel ‘79) nei quali tuttavia emersero orientamenti collettivisti – con tutta la genericità del termine – e organizzazioni rivolte al finanziamento e alla organizzazione degli scioperi che d’altra parte avevano imposto persino all’Impero la legalizzazione (parziale e difficile da praticare) del 1864. Nel marzo 1872 venne varata in Francia una legislazione contro l’Internazionale praticata in forme diverse in altri Paesi europei che pur senza la precisazione esplicita della legge francese ostacolarono la circolazione di militanti da un Paese all’altro. Tuttavia congressi operai continuano fino alla data del 1889 “ufficialmente” assegnata alla nascita della nuova Internazionale spesso con la presenza clandestina di militanti stranieri: è il volto sociale dell’“Internazionale senza l’Internazionale” rievocata a suo tempo da Leo Valiani.[4] L’orizzonte programmatico si spingeva oltre quello della Comune – che in fondo aveva decretato la requisizione delle fabbriche e manifatture abbandonate dai proprietari, che venivano assimilati a disertori dalla difesa della patria ormai repubblicana, e prevedeva di assegnarle a cooperative indennizzando i proprietari in misura fissata da un tribunale arbitrale. Ma quei lavoratori avevano scelto una strada radicata nei bisogni del quotidiano, nei rapporti di produzione. Una strada rivendicata dalla stessa Rosa Luxemburg che nel 1916 scrisse che la “tomba della Comune” chiudeva una fase del movimento operaio e ne apriva una nuova fase organizzativa. Il movimento sindacale francese assunse in seguito un carattere il cui rapporto con questa genealogia è reale ma non univoco.
E i dirigenti che parteciparono alla vita della Comune? Due strade appaiono, fortemente divergenti anche se nessuno mai rinnegò quel sogno che aveva coinciso, spesso, con la giovinezza. Alcuni dei principali iniziatori dei diversi partiti socialisti che si contesero uno spazio politico certo non di massa furono militanti della Comune o – è il caso di Jules Guesde – costretti all’esilio per averla sostenuta. Jean Allemane, Benoît Malon, Édoard Vaillant rientrano in Francia dopo l’amnistia del 1880, dopo percorsi d’esilio fra Svizzera, Inghilterra, Italia, Guesde potè rientrare nel 1876. Ma tutti – nel contesto dell’affermazione della nuova Internazionale – esercitarono tanta più influenza quanto più si avvicinarono al corpo centrale dell’Internazionale che prevedeva partiti organizzati, capaci di imporsi sul piano elettorale e relativamente “marxisti”. I comunardi, del resto, assunsero posizioni diverse anche su aspetti culturali e sociali molto importanti, dai toni antisemiti della maloniana Revue socialiste (ma Malon scomparve nel ‘93) al precoce schieramento dreyfusard di Allemane.
Ma non per tutti il rientro dall’esilio o dalla deportazione coincise con l’acclimatazione in una Francia e in un’Europa profondamente trasformate dalla fine imminente della lunga depressione. Di questo legame politico e simbolico con l’esperienza dell’insurrezione e del governo operaio praticato e sognato, di questa fedeltà all’insorgenza i più significativi nomi sono Louise Michel e Jules Vallès. Louise fu presente all’insurrezione dall’inizio alla fine, dalla difesa dei cannoni di Montmartre agli ultimi spari della barricata della chaussée Clignancourt.
La sua differenza emerse già in occasione della rivolta delle popolazioni autoctone nella nuova Caledonia dove era deportata con altri comunardi. Non pochi deportati condividevano i pregiudizi coloniali dei loro persecutori, mentre Louise Michel, pur non esente da espressioni tributarie di un immaginario che oggi potremmo chiamare “orientalista”, solidarizzò con esse in nome del diritto elementare all’ autogoverno e grazie alla sua passione didattica, riscoperta in deportazione. Al suo ritorno nel novembre 1880 Louise trovò ad attenderla alla gare Saint-Lazare Georges Clemenceau, Louis Blanc, Henri Rochefort insieme a migliaia di persone. Il percorso di quegli uomini si sarebbe in vari modi separato e contrapposto a quello del socialismo. Louise Michel – che pure aveva frequentato probabilmente ambienti blanquisti in gioventù – al suo ritorno si acclimatò solo nelle pratiche e nei sentimenti libertari, vicina a coloro che l’organizzazione non aveva ancora raggiunto, i disoccupati. Condannata a 6 anni di reclusione, ridotti a 3 per grazia, per la manifestazione di disoccupati del 1883 seguita da qualche assalto a negozi di alimentari, subì un attentato nel 1888 e fece in modo che il proletario erede degli chouans, sviato dall’ignoranza e dalla propaganda, fosse riconosciuto mentalmente irresponsabile.
Anarchica mentre l’organizzazione politica si orienta verso il socialismo, ma vicina a Émile Pouget, Louise è un ponte simbolico fra il ricordo della rivolta in cui la vittoria consiste nella presa di parola degli oppressi e la tradizione sindacale francese la cui vitalità ha superato i decenni e le svolte politiche.
E Jules Vallès? Anch’egli rientrato nel 1880 rappresenta – come ha più volte ricordato Enrico Zanette, che ne ha anche tradotto Le bachelier,[5] il tipo stesso del ribelle che rifiuta di parvenir alla condizione di borghese e dalla sua condizione sociale ma anche esistenziale di precario incontra la rivolta operaia: figura anticipatrice che spiega anche la viva risonanza emotiva che la Comune ha suscitato in tante generazioni successive.
Nella ormai classica distinzione di Georges Haup fra la Comune come simbolo e la Comune come esempio[6] oggi mi sembra evidente la vitalità del simbolo la cui permanenza nelle trasformazioni è tale da avere suggerito lo studio della manifestazione al Muro dei Federati come un vero e proprio rituale laico.[7] Dopo il lutto degli anni ’70 in cui prevalse la battaglia per l’amnistia e per il sostegno alle vittime e alle loro famiglie, il rientro dei comunardi fu segnato dall’esordio dell’incontro e della manifestazione che assiste alle lacerazioni e ai momenti di unità dei protagonisti individuali e collettivi e poi di un movimento operaio ormai di massa. La separazione fra anarchici e i socialisti, le scelte nazionaliste ed antisemite di Henri Rochefort, il lacerante contrasto fra sostenitori e avversari socialisti del boulangismo, la denuncia del Clemenceau briseur de grèves si riproducono davanti al Mur des fédérés e l’unificazione socialista vi trova uno dei luoghi di celebrazione. Dopo la nascita del partito comunista vi si manifestano il conflitto rappresentato dalle opposte rivendicazioni del simbolo e l’unità ritrovata del Fronte popolare. Dopo il ’44 altri momenti di identità si affermano – la Resistenza, le conquiste del Consiglio nazionale della Resistenza – e oggi la celebrazione di questo episodio di sconfitta rivendicato nei suoi valori è affidato a una vasta associazione degli amis de la Commune dove dialogano organizzazioni altrimenti lontane.[8] Ma mi sia permessa una riflessione personale: in Italia il simbolo e insieme lo studio della Comune sono diventati patrimonio di massa con la generazione del “secondo biennio rosso”.[9]
Una generazione dunque che più che all’esercizio del potere ha aspirato a rappresentare la presa di parola e d’azione di chi era incatenato e non aveva parola e che proprio per questo si è riconosciuta – più di quanto non credesse 50 anni fa – in due mesi di pratica e di sogno che continuano a parlarci ancor oggi.
[1] Le origini della Comune di Parigi Una cronaca (31 ottobre 1870-18 marzo 1871), Roma, Viella 2015.
[2] Si veda la voce che gli è dedicata sul Maitron-en-ligne. L’indicazione vale anche per tutti i personaggi citati.
[3] Séances du Congrès ouvrier de France : session de 1876 tenue à Paris, du 2 au 10 octobre, Salle des Ecoles, Paris : Librairie Sandoz et Fischbacher, 1877.
[4] Leo Valiani, “Dalla prima alla seconda Internazionale. 1872-1889”, in Movimento Operaio n. VI, 1954, riprodotto anche in Leo Valiani tra politica e storia, a cura di David Bidussa, Annali della Fondazione GG. Feltrinelli, anno 42, Milano, Feltrinelli 2008. Cit. in Maria Grazia Meriggi, L’internazionale degli operai. Le relazioni internazionali dei lavoratori in Europa fra la caduta della Comune e gli anni ’30, Milano, FrancoAngeli 2014.
[5] Jules Vallès, Il diplomato, traduzione e presentazione di Enrico Zanette, Milano, edizioni Spartaco 2010. Enrico Zanette, Criminali, martiri, refrattari. Usi pubblici del passato dei comunardi, Roma, Edizioni di storia e letteratura 2015.
[6] L’Internazionale socialista dalla Comune a Lenin, Torino, Einaudi 1978.
[7] Franck Frégosi, “La ‘montée’ au Mur des Fédérés du Père-Lachaise”, Archives de sciences sociales des religions , septembre 2011. Danièle Tartkowsky, Nous irons chanter sur vos tombes. Le Père-Lachaise XIX-XX siècle, Paris, Aubier 1999. Madeleine Rebérioux, “Le Mur des fédérés, rouge ‘sang craché’ “, in Pierre Nora (éd), Les lieux de mémoire, Paris, Gallimard 1997, tome.I.
[8] Il sito dell’associazione erede di quella fondata dai comunardi stessi al ritorno dall’esilio è
https://www.commune1871.org/
[9] In quest’opera un ruolo importante ha avuto, con le sue raccolte e le sue iniziative editoriali, la Fondazione Lelio e Lisli Basso.