Alcune considerazioni sull’uso del manuale scolastico nell’insegnamento della storia negli istituti italiani
Ci sono vocaboli che, per quanto ben definiti sul piano semantico, possono facilmente trarre in inganno circa il loro referente. Ciò può accadere in virtù di alcuni luoghi comuni che circondano alcune parole e il loro uso.
È quanto può verificarsi con il termine “manuale scolastico”: si pensa subito a uno strumento specifico dell’attività didattica, qualcosa la cui lettura rimanga circoscritta alle aule scolastiche e a un pubblico, per quanto vasto, comunque specifico. Si dà però il caso che il manuale rappresenti, in Italia, qualcosa in più nel percorso di formazione intellettuale delle studentesse e degli studenti.
Se si scorrono le rilevazioni statistiche relative alle abitudini di lettura della popolazione italiana, infatti, si potrà notare come la maggior parte di essa sia scarsamente abituata all’acquisto e fruizione di libri di carattere saggistico; ancor meno – possiamo dedurne – essa ha familiarità con la lettura di saggi storici. Cosa significa questo? Fra le altre cose, ciò porta a pensare che i manuali di storia negli istituti scolastici superiori costituiscano l’ultima lettura di tipo storico per la maggior parte delle persone. Certamente esistono altre forme di fruizione dei contenuti di storia – intrattenimento, fiction, gaming, ecc. – in cui gli avvenimenti però sono narrati e non spiegati, e in cui le narrazioni fiction e non-fiction si mescolano e si intrecciano.
A oggi la didattica della storia risulta, in molti casi, fondamentalmente incentrata sull’uso del manuale come supporto principale (talvolta esclusivo) dell’attività di insegnamento.
In buona parte, questo strumento viene impiegato in una prospettiva didattica che potremmo definire unidirezionale e informativa: il manuale è quel testo che contiene le informazioni da studiare, comprendere e memorizzare, integrando quanto in classe viene esposto dal docente. Ne consegue che il manuale rappresenta la principale, se non l’unica, prospettiva sul programma di storia cui gli studenti e le studentesse avranno accesso.
Bastino questi brevi cenni introduttivi per mettere in evidenza il rilievo peculiare che, in un’ottica pedagogica e culturale, il manuale scolastico assume.
A partire da ciò, l’obiettivo delle considerazioni che seguono è quello di fare della riflessione sui manuali di storia un’occasione per un più ampio discorso su alcune delle criticità attuali nell’insegnamento della storia, alla luce della centralità che il manuale continua a rivestire nella trasmissione del sapere storico. Criticità oggettive e, insieme, difficoltà soggettivamente vissute dal corpo docente, sulle quali – non possiamo nasconderlo – pesano enormemente questioni istituzionali e, ci venga concesso, politiche: su tutte, la progressiva diminuzione delle ore d’insegnamento della materia e la costante condizione precaria di una parte considerevole del corpo docente.
Di ciò non si tratterà in queste righe ma è bene tenere a mente, come sfondo a qualsivoglia considerazione teorica e generale, la concreta realtà degli istituti, delle lavoratrici e dei lavoratori del mondo della scuola, così da evitare la reiterazione di una retorica tossica che spesso caratterizza i discorsi inerenti alle condizioni e allo stato dell’arte dell’insegnamento nel nostro Paese.
Ci sia concessa un’ultima annotazione preliminare: per impostare un proficuo discorso sulle attuali pratiche di didattica della storia, crediamo sia opportuno prendere le distanze fin da subito da uno dei più diffusi luoghi comuni relativi a una generazione di giovani – quella attuale – che si vorrebbe senza memoria o senza coscienza storica, appiattita più di ogni altra generazione passata sul presente. Ché ciò significherebbe, a nostro avviso, non cogliere il problema e spostare il focus del discorso, invalidando ogni tentativo di critica ed emendazione di ciò che oggi ci sembra funzionare poco nell’insegnamento della storia. Occorrerà, invece, non nascondersi alcuni dei problemi che affliggono la didattica, problemi che se da una parte inducono a un certo modo di impiego del manuale scolastico, dall’altra sono corroborati da certe modalità di approccio manualistico alla materia storica.
II.
Strano prodotto, questo manuale. È un libro, anzitutto. Anche quando impiega supporti non cartacei, del libro mantiene morfologia, funzionalità e impiego. Ha, però, alcune specificità. Anzitutto il suo valore è, potremmo dire, di carattere esclusivamente funzionale: si risolve completamente, cioè, nel suo uso e nello svolgere bene una funzione. Funzione, peraltro, con una sua costitutiva ambiguità, poiché si rivolge contemporaneamente a due pubblici – docenti e discenti differenti – per non dire antitetici, sotto molteplici punti di vista –, i quali hanno scopi, criteri di giudizio e talvolta esigenze diametralmente opposti.
Qui sorge, a ben vedere, una prima perplessità: siamo così sicuri che i criteri di scelta di queste due categorie siano sovrapponibili (o anche solo mutualmente traducibili)? Si pensi all’adozione di testi completamente saturi, anche nella loro veste grafica, e sovrabbondanti di box di approfondimento, titoli, riquadri, glosse, parole chiave, rimandi interdisciplinari in pillole – è davvero questa la trasversalità dei saperi di cui c’è tanto bisogno? –, spunti di educazione civica, digitale, ambientale, ecc. Il tutto presentato con una varietà cromatica a dir poco disorientante. Sono, questi, testi che si propongono come adeguati alla loro funzione, ma proprio in virtù della loro ricchezza divengono difficilmente utilizzabili da chi non sia già edotto in materia, da chi cioè manca degli strumenti per sapere, in anticipo, cosa andare a leggere e come inserirlo entro le proprie reti semantiche e cognitive.
Se guardiamo, poi, ai contenuti e alla loro organizzazione, altre osservazioni si impongono. Questi libri contengono il riepilogo degli eventi e delle diverse forme che il vivere umano ha assunto nel passato; fatti, processi, civiltà vengono organizzati in trame cronologico-spaziali ed esplicative così da renderne intellegibile il verificarsi, lo svolgimento e le reciproche relazioni. Tale impostazione porta con sé una tendenza, connaturata all’idea del manuale come resoconto del passato: la tendenza all’esaustività. Basta scorrere i principali testi in adozione nelle scuole del ciclo secondario di secondo grado per trovarsi al cospetto di opere di carattere enciclopedico, in apparenza dominate dalla preoccupazione di tralasciare qualcosa. Sono diversi i titoli che si attestano oltre le 800 pagine.
Ciò che appare a un primo sguardo come elemento di forza e di valore – l’esaustività e la completezza dei contenuti – si traduce però in una criticità, nel momento in cui dalla forma del libro si passa all’impiego che tale forma presuppone. Il problema più immediatamente riscontrabile è rappresentato dalla (mancata) selezione di contenuti. Nel riepilogo sistematico di tutto quanto appartiene al passato è come se si rimandasse all’insegnante la scelta dei materiali, dei contenuti, degli argomenti e dei percorsi da svolgere. Per quanto questo sia in linea teorica un approccio coscienzioso – il manuale potrebbe essere inteso come una totalità entro la quale le e i docenti intessono le proprie trame di senso da sviluppare – la realtà spesso contraddice le intenzioni: l’insegnante si affanna nel trovare un punto di equilibrio fra programmi ministeriali e percorsi autonomi, un’attività di difficile praticabilità nel corso dell’intero anno scolastico.
Nell’esigenza di rispettare gli incalzanti programmi ministeriali, velleitari nella loro ampiezza e portata, l’insegnante si trova spesso a sacrificare argomenti e intere stagioni storiche, al più rimandando allo studio autonomo del manuale, che diviene così supplente, più che supporto.
Il delegato che delega il delegante. Con, in aggiunta, il fastidio per l’affacciarsi di un atroce dubbio: a che serve svolgere il programma in questo modo?
Un altro dato di realtà, del resto, chiede di non essere sottaciuto: il manuale è, in molti casi, la principale fonte di conoscenza storica anche per la stessa classe insegnante. Ciò si traduce in un uso acritico del testo, entro il quale esso è impiegato come fonte di informazioni che si prestano alla lettura e comprensione, in vista della loro memorizzazione da parte delle alunne e degli alunni.
La storia diviene, così, referente di un sapere mnemonico, aneddotico e, in quanto tale, subito dimenticabile. Puro nominalismo là dove, invece, si tratterebbe di implementare competenze, schemi cognitivi e modelli di pensiero.
Nella misura in cui il manuale ricerca il proprio senso di esistere nell’ambizione a essere il contenitore di tutto il sapere storico degno di considerazione, si corre il rischio di appiattire l’insegnamento della storia all’illustrazione del manuale stesso, con il rischio ulteriore di limitarsi a trattare solo ciò che è contenuto in queste summae del sapere storico. Così che se un argomento è poco o per nulla trattato nelle loro pagine – si veda ancora oggi il caso del colonialismo italiano, pressoché assente da molti dei manuali in uso – non meriterà nemmeno di esserlo a lezione.
III.
È evidente che abbiamo operato uno slittamento: il tema, ora, non è tanto il prodotto manuale scolastico, quanto l’uso che se ne fa. O meglio: l’uso che si fa di tale prodotto entro la pratica dell’insegnamento.
Se il risultato è una didattica che non centra l’obiettivo della costruzione di un pensiero storico – ovvero lo sviluppo di modelli cognitivi che strutturano la storia non come insieme di dati da memorizzare, ma come capacità di istituire trame di senso nelle informazioni relative al passato – forse allora potrebbe essere opportuno fare un passo indietro e ripartire da alcune domande preliminari: cosa deve essere effettivamente un manuale? Quale scopo deve avere?
Da questo punto di vista, non sembra particolarmente risolutiva l’attuale proliferazione editoriale di manuali scolastici.
Più che l’aumento dell’offerta di manuali, sarebbe forse opportuna una loro radicale innovazione alla luce di un ripensamento – tanto audace quanto indispensabile – delle modalità di insegnamento della storia nelle scuole.
Se l’obiettivo didattico si colloca più dalla parte della costruzione di un pensiero storico e delle relative competenze – a titolo di esempio, fra le altre: saper contestualizzare un fatto; istituire nessi causali di diverso livello tra eventi; saper cogliere trame di senso relativamente al passato e al suo legame col presente – e meno dalla parte di una lettura, per così dire, pre digerita da mandare a memoria, dunque l’approccio degli insegnanti dovrebbe essere muoversi nella galassia di fonti, dove potenzialmente il manuale non è nemmeno più necessario.
Il supporto didattico richiesto dovrebbe avere come obiettivo affiancare le e gli insegnanti nella selezione e pianificazione di percorsi didattici sulla base di insiemi di fonti, pacchetti di materiali diversi, con linguaggi e media molteplici fra i quali muoversi con le studentesse e gli studenti.
Più che un resoconto esaustivo del passato pronto per la sua trasmissione a un pubblico di giovani, ci immaginiamo il manuale del futuro come prodotto fluido e costantemente ampliabile di mappe, infografiche e visual data, cronologie e linee del tempo interattive, collezioni di fonti multimediali e proposte didattiche, schemi pratici per realizzare laboratori storico-tematici sulla base di linee guida generali. Il tutto con una chiave interpretativa – e selettiva, dunque – chiara sul passato, così da offrire una lettura di un periodo o evento che sia essa stessa argomentabile e, insieme, criticabile.
Uno strumento di educazione alla complessità, insomma.