Tornare sulla figura di Tomás Maldonado (1922-2018) a cento anni dalla sua nascita significa ridare vita ad alcuni mandati che oggi l’intellettuale pubblico – sia esso un individuo, un’istituzione, un think tank, un movimento – può e deve assumere su di sé.
Uno di questi prevede che la “cultura” possa trasformarsi in uno strumento a disposizione dei cittadini, in un progetto trasformativo del mondo. Una produzione di conoscenza che l’intellettuale non può limitarsi a trasmettere ai suoi pubblici. Contribuire al cambiamento vuol dire impegnarsi perché la conoscenza sia il linguaggio di tutti.
Non si tratta di banalizzare la complessità dell’esistente: è fondamentale rifiutare le semplificazioni, ma si tratta di sperimentare una trasversalità orizzontale per un progetto collettivo di emancipazione culturale. “In fin dei conti” è quello che scrive Maldonado a Paolo Tedeschi “l’importante non è tanto vivere una vita tranquilla, quanto avere compiti che ci facciano sentire socialmente utili”.
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Utili non perché conformi, ma utili perché critici, indocili, “dissidenti per vocazione”,
secondo le parole di Che cos’è un intellettuale.
Eterodossi senza che quell’alterità (quell’essere altro dalla doxa, dal senso comune) sia distanza, separazione, ritiro altezzoso. Anzi, è corpo a corpo, impegno, coinvolgimento.
Come scrive David Bidussa, “noi vorremmo non perdere Tomás Maldonado. L’inquietudine che ci proponiamo di conservare è quella che nasce dalla diffidenza contro il «sapere facile». Vecchia lezione di Gramsci, quella che Maldonado propone: il lavoro intellettuale non è estetica del pensiero, ma è fatica di pensare”.
Perché non si tratta di collezionare informazioni, ma di tradurle in “possibilità di conoscenza” entro “quadri di credenze e valori”. E dunque a fianco e a sostegno, ma anche contro e in opposizione, alle grandi agenzie che fanno il nostro spazio pubblico: le istituzioni deputate alla formazione, di cui ci parla Raimonda Riccini; i partiti e la politica, su cui riflette Francesco Giasi; le fonti di informazione nel sovraffollato spazio digitale, da cui prende spunto la riflessione di Luca Falciola.
Formazione, social media e politica
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