Di seguito un estratto del libro Populismo di lotta e di governo a cura di Manuel Anselmi, Paul Blokker e Nadia Urbinati (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2018).
Tutti i movimenti populisti manifestano una forte resistenza – per non dire ostilità – ai meccanismi della rappresentanza elettorale (e al libero mandato), nel nome di una più diretta relazione tra il rappresentante e la volontà del popolo. Il loro fine è quello di togliere potere ai partiti che come corpi intermedi si appropriano di una fetta rilevante del potere di rappresentare la volontà volontà popolare e dividono artificialmente il popolo in una pluralità litigiosa di interessi.
Secondo Ernesto Laclau, l’identificazione con un leader è necessaria al populismo, non solo possibile: senza un leader non vi è populismo, se questo è inteso come forma di potere o di movimento finalizzato al potere. La ragione è, secondo tale autore, semplice e intuitiva: poiché il popolo è una costruzione ideologica assolutamente artificiale che non si basa su alcuna oggettiva condizione esterna (per esempio la classe o la nazione), senza un leader che dia il nome e il sigillo questa costruzione non può sostenersi e non ha successo.
Ecco perché dice ancora Laclau, il nome di un movimento populista è in generale il nome del suo leader: parliamo infatti di peronismo, chavismo, lepenismo, orbanismo, berlusconismo e grillismo. Pertanto, e come anche le varie esperienze populistiche ci confermano, il partito dal quale il leader populista può emergere (quando non ne costituisce un suo proprio) passa in seconda fila, mentre centrale diventa la sua figura, nella quale le varie rivendicazioni che compongono il movimento si incarnano. Questo fenomeno è evidente soprattutto quando il movimento populista diventa regime, conquistando la maggioranza e governando.
Possiamo dunque dire che il populismo, benché diverso nelle proposte e nelle immagini che dà di sé, tende alla o esaspera la personalizzazione della politica, ma non rinuncia affatto alla rappresentanza per istituire la democrazia diretta. Talvolta conia ossimori per comunicare la novità che reclama di immettere nella democrazia rappresentativa, come nel caso del Movimento 5 Stelle, che propone un “parlamentarismo diretto”. Questo ossimoro è destituito di ogni credibilità poiché quel che i populisti fanno è mutare il significato e la pratica della rappresentanza: non però per portare il popolo dentro le istituzioni, come sostengono, ma per dare a chi se ne dichiara “la voce autentica” un raggio d’azione ancora maggiore di quello che ha un normale rappresentante eletto.