Pubblicato in prima edizione a stampa nel 1840, il Voyage en Icarie di Étienne Cabet (1788-1856), pur rispettando tutte le convenzioni del genere utopistico e pur ispirandosi direttamente – e dichiaratamente – all’Utopia di Thomas More, allo stesso tempo trasfigura quel genere letterario, traghettandolo nella modernità. Il Voyage è, infatti, un manifesto politico “tradotto” in forma di romanzo, in modo da riuscire, da un lato, a eludere l’occhiuta censura della monarchia francese e, dall’altro, a essere più agevolmente fruito da quel pubblico popolare, e femminile nello specifico, al quale Cabet si rivolgeva.
Non è un caso se, proprio a seguito dell’enorme successo editoriale riportato dal Voyage (ne vennero diffuse oltre 40.000 copie tra il 1840 e il 1851, e fu subito tradotto in inglese, tedesco e spagnolo), il termine «utopie» acquisì, nel linguaggio politico francese (e non solo) dell’epoca, una nuova connotazione ideologica, andando a designare non più l’artificio letterario del quale uno scrittore si serve per mettere in luce a contrario i mali sociali che affliggono la sua patria, ma un vero e proprio progetto di riforma politico-sociale. A ciò corrispose quella polarizzazione ideologica nell’uso del termine che ancora oggi ci è familiare, dato che esso passò a indicare, nella retorica dei fautori dell’utopia, un sistema che è possibile e necessario mettere in pratica nell’immediato e per converso, nella retorica dei critici dell’utopia, un sistema velleitario, irrealizzabile per definizione e, dunque, potenzialmente pericoloso.
La valenza “realistica” del Voyage, nelle intenzioni dell’autore, è dimostrata, peraltro, da due specifiche circostanze. Anzitutto la scelta, manifestata da Cabet già a partire dalla seconda edizione del testo (1842), di sintetizzare il proprio programma politico in una formula specifica, da lui definita communisme – termine che si impone, nel suo significato moderno, proprio con il Voyage, e che si diffonde a macchia d’olio nella cultura politica europea degli anni Quaranta del XIX secolo. In secondo luogo la decisione, presa dallo stesso autore all’inizio del 1848, di dar vita a una colonia comunista, denominata Nauvoo e ispirata a Icaria, in Nord America: tale colonia divenne, nel decennio successivo, meta di una significativa migrazione politica, in provenienza dalla Francia e da altri paesi europei.
Seconda edizione (1842) del Voyage en Icarie di Étienne Cabet, conservata nella biblioteca della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Il Voyage, concepito da Cabet durante l’esilio quinquennale a Londra (1835-1839) al quale era stato costretto a seguito di una condanna per le opinioni anti-governative da lui espresse dalle colonne del suo giornale «Le Populaire», rappresenta anche una sorta di sintesi o, meglio, di catalogo delle utopie letterarie precedenti, le quali vengono minuziosamente elencate dall’autore nei capitoli XII e XIII della seconda parte. Pur in assenza del manoscritto originale del testo, mai reperito, disponiamo di una grandissima quantità di note preparatorie di Cabet, che testimoniano dell’ampiezza e della varietà delle fonti cui egli attinse per la composizione della sua opera: tra gli «oltre mille libri» che dichiarò di aver letto alla British Library, spiccano le opere utopiche di Platone, Campanella, Fénelon e Harrington, ma anche quelle di scrittori politici come Locke, Hume, Voltaire, Cousin, Lamartine, Guizot e Tocqueville. Proprio dal fortunato trattato di quest’ultimo, De la démocratie en Amérique (1835), Cabet sembra trarre quell’idea di una completa equivalenza semantica tra democrazia e uguaglianza delle condizioni che, mescolata a suggestioni egualitarie di derivazione babouvista, caratterizza il Voyage e, più in generale, il suo pensiero politico.