Ricercatrice Fondazione Feltrinelli


Nella notte dal 28 al 29 febbraio 1921 una voce turbata mi svegliò: «Kronstadt è in potere dei Bianchi. Siamo tutti mobilitati». […] Dei piccoli manifestini incollati sui muri delle strade deserte annunciavano che per complotto e tradimento il generale controrivoluzionario Kozlovski si era impadronito di Kronstadt e chiamavano il proletariato alle armi. Ma prima ancora di essere arrivato al Comitato di zona incontrai dei compagni i quali mi dissero che era un’abominevole menzogna: si trattava di una rivolta della flotta, diretta dal Soviet della flotta. Il peggio era che la menzogna ci paralizzava. Che il partito ci mentisse così, non era mai capitato. [1]

Le memorie di Victor Serge introducono nel vivo del momento in cui culminò la rivolta Kronstadt. Una sollevazione interna contro il potere centrale del governo bolscevico che esprimeva il malcontento dei marinai e delle campagne russe affamate dalle requisizioni, il mondo contadino da cui molti di questi provenivano. La rivolta di Kronstadt del 1921 è un evento anticipatore e simbolico della deriva autoritaria – come scrive lo storico Jean-Jacques Marie – rimosso dal calendario storico rivoluzionario pubblicato a Mosca nel 1939, e riabilitato solamente nel 1994, quando il presidente Boris Eltsin vi riconobbe ufficialmente un primo germe dell’autoritarismo stalinista [2], nonostante la leadership, in quel momento, non fosse ancora quella di Stalin.

La fortezza dell’isola di Koltin fu edificata per scopi difensivi da Pietro il Grande nel 1710. Situata a una trentina di chilometri da San Pietroburgo nella baia della Neva, Krostadt si attribuì molto presto il carattere di città roccaforte della Rivoluzione. Questo già a partire dagli ammutinamenti del 1905 e dall’insurrezione contro il governo zarista dell’estate 1906, in seguito ai quali fu inviato a governo dell’isola l’ammiraglio Viren, affinché vi istituisse un controllo poliziesco. Le cellule dell’organizzazione rivoluzionaria locale continuarono però ad operare sotterraneamente e – con il crollo della monarchia zarista – il 28 febbraio 1917 la maglia di contenimento fu fatta saltare e Viren fucilato nella piazza dell’Ancora.

Com’è noto, i marinai ebbero un ruolo di avanguardia durante tutto il processo che portò alla Rivoluzione di Ottobre e tra questi, in prima linea, anche quelli di Kronstadt, in maggioranza anarchici massimalisti. I primi di marzo del 1917 la fortezza fu tra le prime città a dotarsi di un Soviet indipendente e autonomista, indisposto nei confronti del Governo provvisorio capeggiato dal principe Lvov (e dal luglio 1917 da Kerenskij) e irriducibile anche all’autorità del Soviet di Pietrogrado. Il 4 luglio 1917 circa diecimila marinai rivoluzionari di Krondstadt sbarcarono sulle sponde della Neva e marciarono armati nelle strade di Pietrogrado, alimentando sostanziosamente le proteste operaie che chiedevano un pieno potere per i Soviet.



Erano trascorsi solamente tre mesi dallo smantellamento dell’ultimo fronte della guerra civile russa – come scrive Ida Mett [3] – ed era già chiaro lo scollamento tra l’idealità della rivoluzione democratica e la realtà dei fatti in balia di un governo autoritario e burocratizzato. Lo stato delle cose suggeriva una presa di coscienza ulteriore da parte delle avanguardie operaie, che venne nel febbraio 1921 quando gran parte degli stabilimenti e delle officine di Pietrogrado entrarono in sciopero contro il governo bolscevico. La città versava in una grave carestia alimentare, i mercati cittadini erano stati aboliti e la mal gestione degli approvvigionamenti rendeva carichi di tensione i rapporti con le campagne della regione. Dal primo sciopero del 23 febbraio nelle officine Trubočnij, la protesta propagò rapidamente in altri stabilimenti: Baltiskij, Laferme, la grande fabbrica di scarpe Skorochod, le officine Borman, la Metališeskij, fino al blocco della produzione alle officine Putilov del 28 febbraio.

La principale questione politica dei manifestanti era la convocazione di nuovi Soviet liberamente eletti. A fondamento delle rivolte c’era una semplice quanto netta richiesta di libertà, come reclamava un manifesto del 27 febbraio:

«Un cambiamento fondamentale della politica del governo è necessaria. In primo luogo operai e contadini hanno bisogno di libertà.

Essi non vogliono vivere secondo le prescrizioni dei bolscevichi: vogliono decidere essi stessi sul loro destino» [4]. I ribelli pretendevano il ripristino della libertà di parola, di stampa e di riunione quindi, diritti la cui validità era stata temporaneamente sospesa dallo stato d’assedio – pubblicato il 24 febbraio dal Comitato di difesa del Soviet di Pietrogrado, Stato maggiore speciale costituito per l’evenienza – il quale istituì un coprifuoco per la circolazione notturna, proibì comizi e assembramenti non autorizzati.

In risposta all’involuzione autoritaria e militaristica del governo bolscevico di Pietrogrado i cittadini della repubblica di K., Il 26 febbraio, inviarono una delegazione in visita alle fabbriche occupate dagli scioperanti della metropoli. Il 28 febbraio 1921 la delegazione rientrata sull’isola di Koltin convocò una riunione di tutti i rappresentanti dei marinai. In quell’occasione, a bordo della nave Petropavlosk, fu votata l’emblematica Risoluzione di Kronstadt poi accolta dall’assemblea generale dei marinai e dalla popolazione presente nella piazza dell’Ancora (1 marzo 1921).



Il testo della risoluzione contiene i punti fondamentali del programma politico di socialismo dal basso che animava l’insurrezione della città fortezza. In questa risuonavano parole d’ordine e principi di cui “l’aria stessa della Russia ne era impregnata” [5] e che entravano in risonanza con le proteste operaie di Pietrogrado: libertà di parola, di stampa, di associazione; revisione dei processi per i detenuti politici nei campi di concentramento e nelle prigioni; fine del controllo militare del servizio di guardia comunista nelle officine; abolizione dei posti di blocco e della propaganda ufficiale. Fondamentale il primo punto della risoluzione che ribadiva la centralità del Soviet – organismo di matrice rivoluzionaria ma profondamente snaturato dal dirigismo politico del partito al governo – reclamando che si votasse con libere elezioni un nuovo Soviet effettivamente democratico. La risoluzione interveniva pragmaticamente anche sulla questione della crisi alimentare: stabiliva delle condizioni più paritarie nel razionamento del cibo, autorizzava la libera produzione artigianale per i contadini e decretava la libertà di azione sulle loro terre, oltre alla possibilità di allevare bestiame.

Il 2 marzo ci fu una ulteriore riunione dei delegati che votò all’unanimità la risoluzione degli insorti. Kuzmin e Vassil’ev minacciarono un intervento repressivo del governo centrale in seguito al quale furono cacciati dall’assemblea e arrestati a bordo della nave Petropavlosk.

Dal 2 al 7 marzo fu un crescendo di tensioni. Il pericolo dell’irruzione bolscevica sull’isola convinse gli insorti ad organizzare un Comitato rivoluzionario provvisorio che nei giorni seguenti divenne il centro organizzativo del nuovo ordine rivoluzionario. Il Comitato si occupò di preparare le libere elezioni del Soviet e capitanò le occupazioni dei punti strategici della città: gli stabilimenti dello Stato, le linee telegrafiche e telefoniche, tutti i forti dell’isola e la tipografia del giornale «l’Isvestia», bollettino ufficiale delle rivolta.

Mentre si procedeva in una prima imbastitura del futuro soviet autonomo, il governo bolscevico di Pietrogrado rispose con l’arma dell’intimidazione:

«Siete circondati da ogni parte. Passeranno ancora poche ore e sarete obbligati ad arrendervi. Kronstadt non ha pane né combustibile. Se vi ostinate, vi uccideremo come pernici» [6], dichiarava l’appello governativo del 5 marzo, lo stesso giorno in cui una pioggia di volantini informava i ribelli dell’arresto dei loro familiari.

La mattina del 7 marzo fu sferrato il primo attacco alla fortezza ancora incastonata nel ghiaccio così come le imbarcazioni corazzate degli insorti rese pertanto inutilizzabili. Alle 6.45 iniziarono i cannoneggiamenti dell’Armata rossa sulla fortezza. La sproporzione delle guarnigioni e dei mezzi militari rendeva improbabile l’efficacia della resistenza di Kronstadt.
Ci vollero dieci giorni per smorzare l’ostinazione del Soviet disobbediente. Il 16 il 17 marzo la fortezza fu assaltata in un attacco coordinato di artiglieria pesante e aviazione. Alla mezzanotte del 16 le truppe iniziarono ad avanzare sulla distesa di ghiaccio per completare l’operazione, raggiunsero l’isola, e lo scontro finale assunse l’aspetto di una guerriglia urbana che durò fino alla sera del 18 marzo. Quella stessa notte un gruppo di 8000 abitanti partì in esilio verso le coste della Finlandia.

Victor Serge nelle sue memorie ricorda così il soffocamento della rivolta:

Una parte dei ribelli raggiunse la Finlandia, altri si difesero con accanimento da un forte all’altro, da una via all’altra, si lasciarono fucilare al grido di “Viva la rivoluzione mondiale!”. Ce ne furono che morirono gridando: “Viva l’Internazionale Comunista!”. Centinaia di prigionieri furono consegnati alla Ceka, che alcuni mesi più tardi li fucilava ancora a piccoli gruppi, stupidamente e criminalmente. Quei vinti appartenevano corpo e anima alla rivoluzione, avevano espresso la sofferenza e la volontà del popolo russo. [7]


[1] Victor Serge, Victor Serge, Memorie di un rivoluzionario, in Alessandra Kollontai, L’opposizione operaia in Russia, Edit. Azione Comune, Milano 1962, p. 94.

[2] Cfr. Jean-Jacques Marie, Kronstadt 1921. Il soviet dei marina contro il governo sovietico, UTET, Torino 2006, pp. 3-9.

[3] Ida Mett, 1921: la rivolta di Kronstadt, Partisan edizioni, p. 29.

[4] Ugo Fedeli, Dalla insurrezione dei contadini ucraini alla Rivolta di Cronstadt, Edizione de Il libertario, Milano 1950, p. 40.

[5] Ida Mett, op. cit., p. 40.

[6] Ivi, p. 53.

[7] Victor Serge, op. cit., p. 97.

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