Università di Bologna

In Italia, ogni elezione locale diventa un giudizio di Dio. Sembra che ad ogni cambiamento di maggioranza in qualche regione o città debba essere messo in discussione il governo (mentre diverso è il discorso per i referendum, che affrontiamo in chiusura) . Questa sorta di isteria politica riflette due atteggiamenti di fondo. Il primo rimanda alla debole cultura istituzionale di molti politici e, a cascata, di opinionisti e cittadini.

Aleggia infatti una confusione sui ruoli e sulle responsabilità che pertengono alle cariche o alle assemblee che si vanno ad eleggere. Un sindaco deve occuparsi delle questioni inerenti il suo comune e rispondere ai suoi cittadini, non alla nazione;  quindi la sua conferma o bocciatura hanno principalmente un significato locale.

Poi, è indubitabile che certe sfide assumano un valore simbolico, di portata nazionale, come accaduto recentemente quando Lega salviniana ha tentato l’assalto alla rossa Emilia-Romagna .In quel caso la mobilitazione mediatica ne ha fatto un evento che ha investito non solo l’ambito nazionale ma ha travalicato addirittura i confini suscitando interesse anche tra i media internazionali. Ogni sfidante cerca di caricare quanto più possibile di significato il suo tentativo di rovesciare l’incumbent. Ma se le forze politiche “fanno il loro mestiere” cercando di sfruttare ogni occasione per cambiare la maggioranza anche a livello centrale, non per questo tale impostazione va assecondata: piuttosto, va ricordato che l’elezione di un sindaco, di un presidente di regione, o di rappresentanti ad altre arene che non siano quelle parlamentari, non riguarda il governo della nazione.

In altri paesi la distinzione è molto chiara, anche grazie a diversi assetti istituzionali. Ad esempio, in Germania le elezioni per i parlamenti dei vari Land, che possono modificare la maggioranza nella camera alta (il Bundesrat) e quindi influire direttamente sull’attività del governo federale , non hanno mai portato alle dimissioni del Cancelliere anche quando perdeva il controllo del Bundesrat. Questo perché i due piani sono tenuti distinti, ed eventuali cambi di maggioranza sono ritenuti una eventualità, fanno parte del gioco, in un certo senso.

Ovviamente sulla ipersensibilità italiana ai risultati di elezioni locali incide la composizione frammentata del Parlamento nazionale e la conseguente presenza di governi di coalizione. Laddove i governi sono multipartitici, gli equilibri sono inevitabilmente più instabili rispetto a quelli monopartitici o con solo due partner. E quindi risultati sfavorevoli al governo o che indichino un ribaltamento dei rapporti di forza interni possono creare tensioni.

Tuttavia vi è un altro atteggiamento che rende peculiare, nella politica italiana, l’impatto di elezioni subnazionali: la reazione dei protagonisti. Nel recente passato le crisi politiche e governative conseguenti ai risultati di consultazioni locali sono state provocate da scelte improvvise da parte di leader politici. Il caso più clamoroso riguarda Massimo D’Alema quando si dimise da Presidente del Consiglio nel 2000. Trascinato abilmente da Silvio Berlusconi in una specie di duello personale sull’esito delle regionali di quell’anno  – allora andarono al voto  15 regioni contemporaneamente – pur avendo perso solo qualche regione a favore dell’avversario, improvvisamente salì al Quirinale per dimettersi il giorno dopo, nello sconcerto generale. La motivazione addotta fu che non poteva rimanere al proprio posto dopo che aveva investito il suo prestigio nella competizione elettorale. Una motivazione, questa, che riflette una concezione totalizzante, “onnivora”, della politica, dove i leader politici, personalizzando ogni intervento, occupano qualsiasi terreno, senza limiti. E ne pagano le conseguenze.

Se invece si prende in considerazione il referendum, il discorso cambia perché in questo caso si tratta di scelte che investono direttamente tutto l’elettorato e su una identica questione, senza che tali scelte siano inquinate da considerazioni su questioni locali o sul profilo di determinati candidati.

I referendum hanno avuto grande importanza nella vita politica italiana, a partire dalla prima consultazione sul divorzio, nel 1974. Tuttavia, solo nel caso del referendum sulla riforma costituzionale, nel 2016, avendo il capo del governo Matteo Renzi esplicitamente investito la sua premiership sull’esito delle urne, si è registrato un terremoto politico immediato. Negli altri casi gli effetti, pur potenti, sono arrivati in seguito.

Infatti, i referendum del 1974 (divorzio) e del 1981 (aborto) attestarono la fine dell’egemonia cattolica e democristiana sulla società e sulla politica; quello  del 1991 sulla preferenza unica, la crisi del craxismo; quelli del 1993 sul finanziamento pubblico ai partiti e sulla legge elettorale, il crollo della  “prima repubblica” ; quelli del 2011 sui beni pubblici, il tramonto del berlusconismo. In questa tornata referendaria è difficile intravedere un turning point. Manca una contrapposizione tra favorevoli e contrari alla riduzione del numero dei parlamentari perché tutti, più o meno convintamente, la sostengono; semmai emergono alcune voci dissenzienti all’interno dei partiti.

Stiamo assistendo ad una campagna senza passione e anche i promotori, i 5 Stelle, mantengono un certo aplomb. Oltre al consenso quasi unanime –  semmai smuovono un po’ le acque esponenti della società civile – il significato della consultazione referendaria è depotenziato anche dalla concomitanza con il voto amministrativo. La vera sfida è su quel terreno. Quindi, in questo caso, l’inedita miscela tra voto locale e voto referendario ha un elevato potenziale esplosivo per il governo. Ma ad una condizione: che il leader del PD e il Presidente del Consiglio si ritengano così indeboliti da abbandonare la posizione. Se invece si ritengono sufficientemente forti da resistere ad un eventuale schiaffo delle urne, e alle pressioni dei vari competitor interni alla maggioranza, nulla vieta loro di andare avanti: dipende solo dalla loro grinta, dalla loro convinzione di proseguire con il  mandato. Vedremo se i due veri protagonisti della consultazione avranno nervi saldi.

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