Un nuovo soggetto politico nell’Italia degli anni 80
Quarant’anni fa, quando nacque il primo movimento leghista, il mondo era totalmente differente da quello odierno: la politica internazionale era ancora attraversata dalla conflittualità tra le due super-potenze Usa-Urss, sebbene la “guerra fredda” fosse diventata molto più morbida, con la crisi dell’Impero Sovietico ormai alle porte; in Italia si stava assistendo ai primi tentativi di compromesso storico tra Dc e Pci, “facilitato” dalla tragica presenza del terrorismo e degli anni di piombo; la crisi dei partiti tradizionali, culminati dieci anni dopo in Tangentopoli, era ancora di là da venire; l’economia tirava ancora e la crescita del debito pubblico restava contenuta.
Fu in questo contesto politico-sociale che prese piede il fenomeno autonomista, in particolare in Veneto, Piemonte e Lombardia. L’occasione che avviò concretamente la nascita delle leghe autonomiste fu l’iniziativa del dirigente dell’Union Valdotaine Bruno Salvadori poco prima delle elezioni europee del 1979. Con l’obiettivo di eleggere un proprio rappresentante al parlamento europeo, Salvadori prese contatto con Franco Rocchetta in Veneto e Roberto Gremmo in Piemonte e formò una lista congiunta con il “Federalismo Europa Autonomie”, mancando di poco l’elezione di un parlamentare, per circa 30mila voti.
Se il risultato fu dunque negativo, quella esperienza fece nascere l’idea di impegnarsi sul terreno politico per rivendicare la propria autonomia territoriale. Qualche mese dopo, il 9 dicembre 1979, Rocchetta e Achille Tramarin convocarono a Recoaro il primo congresso del nuovo partito, la Liga Veneta, (formalizzato poi ufficialmente nel gennaio del 1980), mentre l’anno successivo anche Gremmo fondò in Piemonte Arnassita Piemonteisa, rinominata successivamente Union Piemonteisa; si dovette invece aspettare ancora qualche anno per veder la nascita anche della Lega Autonomista Lombarda, poi divenuta Lega Lombarda, da parte di Umberto Bossi.
Sebbene ancora limitate a organizzazioni embrionali, con scarse risorse economiche, le prime leghe autonomiste sfruttarono inizialmente l’attenzione che derivava dalle frequenti occasioni elettorali per farsi conoscere, sia pur con risultati piuttosto modesti. Fa in parte eccezione la buona prova proprio della Liga Veneta nelle politiche del 1983, quando riuscì persino a portare in Parlamento un deputato (Achille Tramarin, uno dei due ideologi del movimento, assieme a Rocchetta) ed un senatore. Due anni dopo, nelle regionali del 1985, lo stesso Rocchetta e un altro esponente della Liga vennero eletti nell’assemblea veneta. Parallelamente, anche la Lega Lombarda riuscì nel 1987 ad eleggere Bossi nel parlamento italiano, sia al Senato che alla Camera.
Questi primi successi elettorali, benché limitati, e le iniziative intraprese dalle leghe autonomiste crearono di fatto le basi per la formazione della futura Lega Nord, che vide la luce in occasione delle europee del 1989, dove vennero eletti due europarlamentari. La presenza dei primi rappresentanti leghisti nelle istituzioni, nei diversi parlamenti regionali, nazionali ed europei, diedero progressiva e crescente visibilità all’elettorato dell’esistenza di un nuovo soggetto politico, piuttosto differente da tutti gli altri: uno spazio potenziale che si inseriva prepotentemente nell’agone politico, proprio nel momento in cui l’offerta partitica tradizionale stava procedendo verso la sua prima importante crisi di consenso, culminata qualche anno dopo negli accadimenti di Tangentopoli, che decretò la fine di molti dei partiti della cosiddetta Prima Repubblica.
La proposta politica della Liga Veneta
In senso stretto, i primi veri movimenti autonomisti storici furono quelli radicati in aree in cui molto forti e consolidate erano le specifiche identità etniche, culturali e linguistiche. L’Union Valdotaine, la Sudtiroler VolksPartei e il Partito Sardo d’Azione avevano nel tempo sviluppato istanze politiche di tipo autonomista, se non indipendentista, proprio a partire dalla loro evidente differenziazione rispetto al resto del paese. L’iniziale progetto politico della Liga Veneta traeva ispirazione esattamente dal modello sperimentato in quelle aree da quei partiti: la rivendicazione di una maggiore autonomia legata alla difesa della propria lingua e delle proprie tradizioni culturali.
La logica d’azione della Liga è quella tipica dei movimenti etnonazionalisti, che denunciano lo stato di “colonie” imposto dal potere centrale, rivendicando appunto un’identità di stampo etnonazionale, dove l’appartenenza al Veneto è ridefinita come appartenenza ad una Nazione. Il suo primo programma, del 1980, fa esplicito riferimento alle formazioni etnonazionaliste già presenti in molti paesi europei, dai catalani ai baschi ai fiamminghi, rievocando “la plurimillenaria indipendenza dei Veneti al fine di riattualizzare quelle esperienze di autogoverno e di civiltà, non diversamente da quanto vanno facendo in Europa quelle nazioni che si stanno liberando dalle tutele coloniali”.
E nel manifesto del 1983 viene chiaramente sintetizzata la sostanza della sua proposta politica: “La mia patria è il Veneto. Nel Popolo Veneto trovo la Forza e la Solidarietà per cambiare in meglio, lontano dai Partiti”. Un principio ripreso sostanzialmente in modo identico da tutte le altre leghe che stavano nascendo in quel periodo, dove l’appartenenza regionale era da ritenersi come appartenenza nazionale, da privilegiarsi rispetto a tutti gli altri tipi di legami sociali e politici. La Lega Autonomista Lombarda di Bossi (poi divenuta Lega Lombarda) dichiara apertamente: “non importa che età avete, che lavoro fate, di che tendenza politica siete: quello che importa è che siete – che siamo – tutti lombardi”.
Uno dei tratti distintivi in particolare della Liga Veneta, molto più degli altri movimenti autonomisti, è quello dell’unità linguistica. Il dialetto veneto viene identificato come la base simbolica della differente etnia; non per nulla il gruppo storico della Liga aveva maturato una decisiva esperienza nella Società Filologica Veneta, impegnata a valorizzare la cultura, la storia e la lingua veneta.
Successivamente anche le altre leghe cercheranno di riprodurre questo simbolo linguistico, pronunciando interventi in dialetto anche nelle istituzioni locali e rivendicando che “nelle nostre scuole si parli la nostra lingua”. Ma il vero salto di qualità dal punto di vista elettorale arriverà quando, accanto a queste parole d’ordine identitarie, si svilupperà appieno l’idea che il vero avversario delle regioni del Nord sia la politica nazionale. L’identificazione di un nemico (“Roma ladrona”) al quale contrapporsi riuscirà ad unire nella propria lotta politica tutte le differenti leghe regionaliste e ad ottenere crescenti consensi elettorali.