I dieci giorni che sconvolsero il mondo – una cronaca della Rivoluzione d’Ottobre scritta in prima persona da un reporter americano – viene pubblicato per la prima volta nel marzo del 1919, un anno e mezzo dopo gli eventi. La storia vuole che la stessa scrittura del libro fu portata avanti in circa dieci giorni, per la maggior parte insonni, in cui l’autore John Reed riporta febbrilmente i fatti di cui era stato testimone.
“Max, non dire a nessuno dove mi trovo. Sto scrivendo un libro sulla Rivoluzione Russa. Ho tutti i manifesti e le carte qui in una piccola stanza e un dizionario di Russo, e sto lavorando giorno e notte. Non ho chiuso occhio per trentasei ore. Finirò il tutto in due settimane. E ho anche un nome per il libro: “Dieci giorni che sconvolsero il mondo”. A presto, devo procurarmi del caffè. Per l’amor di Dio, non dire a nessuno dove mi trovo!”1
Già dal messaggio al suo editore Max Eastman, si percepisce l’urgenza di Reed di raccontare la Storia prima che diventi tale. La stessa urgenza unita all’impegno politico che aveva connotato il suo lavoro di giornalista del magazine di ispirazione socialista The masses, e l’aveva spinto a partire alla volta della Russia nell’estate del ’17. Dopo esser stato reporter di guerra nei primi anni della Grande Guerra, e prima ancora testimone della rivoluzione messicana, Reed voleva recarsi là dove il regime zarista aveva dovuto lasciare spazio a nuove istanze democratiche. Nel suo soggiorno in Russia, riesce a conoscere i leader bolscevichi e a seguirne il percorso e la presa del potere, ad intercettare gli umori delle masse, a collezionare fonti originali e scrivere note di viaggio, materiali che però gli verranno confiscati una volta tornato a New York nell’aprile del 1918.
Ecco perché la pubblicazione arriva solamente nel marzo del ’19, mentre la Russia è alle prese con la guerra civile tra bianchi e rossi e le sorti del governo bolscevico sono ancora incerte. In qualche modo anche questo contribuisce alla fortuna del libro, che offre al resto del mondo un racconto avvincente della Rivoluzione d’Ottobre proprio quando, con la fine della grande guerra, era più pronto ad accoglierlo. Ma è solo il tempismo ad averlo reso un testo iconico della storia del ‘900?
La simpatia di Reed per le posizioni bolsceviche è sicuramente un elemento che non lascia indifferenti i lettori, tratteggiandone lo stile narrativo in modo inconfondibile. Ma non bisogna dimenticare che il racconto mantiene come primo obiettivo quello di riportare puntualmente gli avvenimenti. Per questo, nelle prime pagine il lettore viene preparato da una cronologia degli eventi del ’17, a cui segue la spiegazione dei principali attori politici russi e una sezione sulle fonti, dove Reed elenca i materiali che ha raccolto e che hanno dato forma alla sua opera. L’incontro tra fonti storiche e letteratura è sicuramente un segno distintivo de I dieci giorni che sconvolsero il mondo, ma è la testimonianza diretta che consente di plasmare gli immaginari, di gettare il lettore al centro degli eventi dell’Ottobre in un momento in cui non esistevano televisori, internet o social network. La voce narrante – incalzante, ironica e partigiana – suona come un commento giornalistico sfumato dall’indagine storica, dove il ritmo della fiction si incontra con la potenza dei fatti 2. È proprio questo punto di vista privilegiato a dettagliare ancora di più la cronaca, e permette all’autore di descrivere i leader, l’umore delle masse, di riportare i commenti di chi accompagna Reed lungo il suo viaggio.
Il merito di questa narrazione è quello di offrire prospettive trasversali sugli eventi storici: dai commenti dei proprietari e dei capitalisti, ai discorsi dei leader bolscevichi, passando per le opinioni dei soldati che hanno fatto la rivoluzione, tutti trovano spazio nel racconto e vanno a costruire il percepito degli eventi.
Quindi non solo storia, ma anche linguaggi, percezioni, testimonianze rendono l’opera di Reed uno degli esempi più riusciti di una letteratura che costruisce pensiero e scrive la storia, dove il libro diventa uno strumento per custodire la memoria di quegli elementi spesso sfuggenti al racconto storico, ovvero le percezioni, gli umori, il contesto emotivo che hanno determinato le scelte di chi la storia la fa.
1 Eastman, Max (1942). Heroes I Have Known: Twelve Who Lived Great Lives. New York: Simon and Schuster. pp. 223–4.
2 Lehman, Daniel W., John Reed and the Writing of Revolution, Ohio University Press; 1 edition, 2002.