Si propone qui un estratto del testo di Stefano Nespor pubblicato da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli nel volume ‘900, la Stagione dei Diritti, disponibile nelle Librerie Feltrinelli e in tutti gli store online.
I nuovi diritti che emergono a seguito del mutare dei rapporti sociali e economici o del progresso della scienza e della tecnologia sono il terrore dei legislatori. Da Giustiniano alla Rivoluzione francese e poi a Napoleone sono state numerose le proibizioni di modificare o interpretare la legge: è la sindrome di Giustiniano, l’ambizione a realizzare sistemi di norme definitivi, destinati a durare nel tempo indipendentemente dal mutare della realtà e dei rapporti sociali e economici (…).
Tutto comincia a cambiare negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale a seguito del fallimento dei sistemi di norme esistenti, rivelatisi incapaci di evitare la degenerazione dell’assetto statale in sistemi dittatoriali e disumani.
A livello internazionale, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dapprima nel 1946 con un’apposita Risoluzione conferma i principi di diritto internazionale riconosciuti dalla sentenza del Tribunale di Norimberga”, poi il 10 dicembre 1948 adotta la Dichiarazione Universale dei diritti umani: sono due segnali dell’attenuarsi dell’assolutezza delle norme poste dallo Stato.
In quegli stessi anni, la maggior parte dei paesi usciti dalla seconda guerra mondiale adotta norme fondamentali – le Costituzioni – di rango superiore alle norme ordinarie, poste a tutela dell’ordinamento democratico degli Stati e dei diritti fondamentali dei cittadini.
Infine, negli anni immediatamente successivi, gli Stati sono inseriti all’interno di ordinamenti giuridici sovranazionali, quali l’Unione Europea, che prevalgono in determinate materie sulle normative nazionali. Con il passare degli anni, si accentua così la fragilità della legge come primaria fonte del diritto.
Queste premesse creano, tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, il terreno favorevole per l’apertura dei sistemi legislativi esistenti verso nuove realtà e nuovi diritti. Si dissolve il mito della immodificabilità della legge: la norma giuridica diviene uno strumento flessibile e adattabile alle pressioni e alle domande provenienti dalla società, trasformabile ogni volta che la realtà, l’innovazione tecnologica e il mutevole ordine economico e sociale lo richiedono. Flessibilità e adattabilità sono anche l’effetto dell’affermarsi di una pluralità di codici etici che coesistono in società culturalmente e etnicamente sempre più composite.
Così, a partire dagli anni Settanta prende forma quella che viene chiamata l’età dei diritti (espressione utilizzata nel 1970 da Norberto Bobbio): è, usando le parole di Stefano Rodotà, “la più intensa esplosione di riconoscimento di diritti che mai sia stata conosciuta”.
È vero, ma non bisogna incorrere in due errori.
Il primo: non bisogna attribuire a questa esplosione un’estensione maggiore di quella che ha ottenuto. Molti dei nuovi diritti riguardano ancora solo una piccola porzione del mondo e della popolazione mondiale, il mondo dei paesi ricchi o sviluppati: qui i nuovi diritti, agevolati dalla libertà e dalla democrazia, si sono affermati in modo così rapido e tumultuoso da travolgere tradizioni e costumi secolari, impendendo agli ordinamenti giuridici, alle varie religioni e anche alla morale e l’etica laiche di adattare le precedenti costruzioni alle nuove realtà e alle nuove aspettative.
Invece, la maggior parte della popolazione mondiale, quella che vive nei paesi poveri, percepisce solo le eco, spesso distorte, di questa esplosione: il prevalere delle tradizioni, dei controlli pubblici, dei limiti alle libertà individuali e, soprattutto, la mancanza di mezzi economici permettono solo realizzazioni parziali e frammentarie di diritti che nei paesi ricchi sembrano ormai acquisiti.
Il secondo: non bisogna pensare che i nuovi diritti siano conquiste definitive o che siano, come il nostro universo, in continua espansione. Proprio perché le norme sono divenute uno strumento flessibile e adattabile, non bisogna soggiacere ancora alla sindrome di Giustiniano: i nuovi diritti non sono immutabili, devono essere sostenuti e protetti: valgono finché sono sostenuti dal consenso sociale e politico.
Abbiamo purtroppo vari esempi recenti nel nostro paese che diritti che si ritenevano conquistati sono in pericolo. Tornando ancora al nostro massimo teorico dei nuovi diritti, Stefano Rodotà, non va dimenticata la sua ammonizione (oggi così attuale): la pratica dei regimi autoritari è sempre quella di offrire vantaggi materiali in cambio della soppressione di diritti civili e politici, e di prospettare uno scambio tra qualche promesse di miglioramento economico e i diritti di libertà (prima la pancia poi la morale, diceva il bandito Mackie Messer nell’Opera da tre soldi di Brecht).
Pur essendo una semplificazione, possiamo suddividere i nuovi diritti in quattro aree:
- La prima, che funge da motore e sostegno per tutte, è data dai diritti di autodeterminazione e di autonomia che emergono dall’evolvere della società e dal rifiuto di norme o consuetudini imposte, dall’espansione e dal riconoscimento sociale di spazi di libertà e di scelta individuale.
- La seconda è costituita dai diritti che sorgono a seguito delle innovazioni scientifiche e tecnologiche nel campo della medicina, della biologia e della genetica.
- La terza riguarda i diritti prodotti dalle innovazioni nel campo dell’informazione, dell’informatica e delle comunicazioni.
- La quarta area è costituita dal diritto dell’ambiente e dai diritti collegati: diritto a un ambiente sano, diritto fondamentale delle collettività e dei singoli componenti a vivere in un ambiente sicuro e non inquinato. Sono diritti che si affermano a seguito del declino dell’ideologia dello sviluppo che ha dominato i decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale.
I diritti che si formano in queste aree modificano idee consolidate riguardanti la famiglia, la riproduzione, l’identità personale, l’assetto dell’organizzazione sociale, i rapporti economici, i costumi e il modo di vivere: creano nuovi bisogni e nuove aspirazioni, offrono nuove possibilità di scelta che abbracciano tutta la vita e le relazioni, private e pubbliche, dell’individuo.