Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

Tra le eredità più impegnative che ci ha lasciato il Novecento, non sempre viene ricordata la sterminata abbondanza di fonti: carte, libri, fotografie, documenti sonori e audiovisivi, nonché, verso la fine del secolo, supporti digitali, che hanno conosciuto un incremento esponenziale nel nuovo millennio e generato un dibattito sempre vivo sul tema della conservazione e trasmissione della memoria.

Nessun secolo aveva fino ad allora conosciuto una tale proliferazione di testimonianze come quello appena trascorso; un patrimonio che molti enti pubblici e privati, dagli stati nazionali alle più piccole biblioteche, dalle comunità alle persone fisiche, hanno trasmesso e stanno trasmettendo alle generazioni future.

Con l’esplosione di Internet e la diffusione dei social media, molti hanno intonato il de profundis per tutte le forme di intermediazione legate alla produzione di contenuti, non ultime archivi e biblioteche, preconizzando la progressiva scomparsa delle professionalità deputate alla salvaguardia, catalogazione e gestione dei patrimoni archivistici e bibliografici, favorita, in un circolo vizioso, dalla contestuale violenta contrazione delle risorse destinate agli istituti di conservazione.

Le sfide innescate da un mutamento così repentino sono molteplici e articolate, ed esigono risposte meditate ma rapide.

Risulta evidente, in primo luogo, che ci troviamo in un sistema misto analogico-digitale, e che molti istituti di conservazione, pubblici e privati, si trovano a gestire patrimoni immensi che rischiano di trasformarsi da opportunità a zavorra insostenibile per la maggior parte di essi. Il primo passo, e la prima sfida, consiste dunque nell’attivazione di una filiera che rompa l’isolamento della funzione di conservazione e la metta in relazione con la ricerca, la didattica, la produzione editoriale, riportando al centro dell’attenzione la funzione essenziale che le fonti possono esercitare per capire il nostro presente e immaginare il futuro.

In secondo luogo, e conseguentemente, è necessario affrontare il tema della digitalizzazione del patrimonio con la necessaria serenità, senza percepirla come una minaccia che conduca necessariamente alla disintermediazione forzata dell’operatore culturale. A monte e a valle di ogni processo di digitalizzazione del patrimonio si pongono prioritariamente una riflessione sui formati e quindi sul problema centrale della migrazione dei dati, l’individuazione degli obiettivi, la creazione di strumenti che trasmettano il senso e favoriscano l’usabilità dei supporti prodotti, ma anche, a tendere, la consapevolezza, come è stato autorevolmente scritto, che ogni archivio è un organismo vivo e aperto alla collaborazione e alla condivisione, un luogo non più verticale ma orizzontale.

In questa prospettiva la figura del conservatore viene investita da una sfida ancora più grande, che consiste nella ridefinizione del proprio ruolo di mediatore: in un delicato equilibrio tra imparzialità e necessaria organizzazione dei supporti, siano essi analogici o digitali, l’obiettivo è mettere a disposizione le fonti primarie e secondarie, carte e libri, nella loro integrità e completezza, evitando superfetazioni ideologiche o censure preventive.

Rendere palese questa modalità di condivisione del patrimonio è la migliore risposta alla opportunità di educare le nuove generazioni, sommerse dal mare indistinto del web dove spesso l’interpretazione arbitraria o fantasiosa determina il travisamento della fonte, per non dire la sua scomparsa, in funzione di una fruizione propedeutica alla creazione di cittadini consapevoli, in grado di esercitare in autonomia la critica delle fonti, vedo antidoto alle versioni di comodo e al pregiudizio, e di decidere quindi del loro futuro in piena libertà.

Vittore Armanni
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

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