Lo scorso settembre, a cento anni dalla Marcia su Roma, si è insediato il primo governo di destra radicale della nostra storia repubblicana. Nel 2022 una donna viene nominata Presidente del Consiglio. E Giorgia Meloni – con la sua ferma difesa delle identità di donna, madre e cristiana, con la retorica dei confini, le nostalgie conservatrici, l’appello alla società tradizionale – bene incarna i valori di una destra che ha saputo, meglio di altre parti politiche, raccogliere le insofferenze di un Paese e interpretare una certa idea di mondo “chiuso”.
Alle urne, Fratelli d’Italia si è presentato come “forza conservativa alternativa alla sinistra”, appoggiandosi a un programma elettorale
«splendidamente pericoloso proprio perché intuitivo e facile da digerire».
Lo hanno approfondito i nostri ricercatori qui, misurando le promesse sui macro-temi dell’economia e dell’equità sociale, passando per ristrutturazione finanziaria, produttività delle imprese, politiche aziendali e tutela dei nuclei familiari.
Accadeva, quell’elezione, mentre nel resto del continente si facevano strada tentativi analoghi di costruire programmi alternativi alle forze globaliste. E in effetti, come scrive Giorgia Serughetti, sono quelle
«tre parole – patria, famiglia e libertà – che permettono di tracciare un percorso attraverso il linguaggio della destra, pur nelle variazioni di accento che troviamo nei diversi partiti e in diversi Paesi».
Di narrative populiste aveva già discusso, nel 1978, Furio Jesi nell’introduzione a Il tramonto dell’occidente di Oswald Spengler. Il suo contributo, appena pubblicato da Fondazione Feltrinelli nel volume Una grandiosa profezia, inquadra le culture di destra come costruzioni linguistiche dal carattere mitico: gesta eroiche, celebrazione della violenza, rapporto con il potere e con la morte si traducono in parole, simboli e immagini che creano identità e comunità.
Al di là della retorica, però, l’offerta politica delle destre radicali non può essere derubricata o ignorata. Va conosciuta, analizzata, capita. Specialmente alla luce dell’inasprirsi della crisi economica e sociale, che è il terreno ideale per risvegliare l’anima nera dell’Europa. Qual è dunque la loro idea di Europa? Quali le proposte e strategie di affermazione? Ce lo siamo chiesti durante il ciclo Di-segno nero: quattro incontri inaugurati da altrettante inchieste realizzate in collaborazione con i giornalisti di IrpiMedia, utili a comprendere dove vanno le destre radicali oggi.
Dalla Reconquête francese di Éric Zemmour, che alle elezioni della scorsa primavera ha sfidato Marine Le Pen per un posto al ballottaggio, ad AfD (Alternative für Deutschland), partito tedesco nazionalista entrato in parlamento nel 2017, fino al radicalismo di governo nella Polonia di Diritto e Giustizia.
Eppure, collegare le diverse realtà populiste a una “famiglia comune europea” non è affatto facile. «Un’operazione di questo genere – nota Marco Tarchi nel pezzo Le destre radicali e l’Europa – potrebbe, di primo acchito, apparire superflua, giacché tre degli aggettivi abitualmente associati a questi soggetti – nazionalisti, sovranisti, euroscettici – dovrebbero essere sufficienti a definire il rapporto che essi intrattengono con l’idea stessa di Europa e con le sue declinazioni istituzionali».
Anche perché, osserva l’inchiesta di Lorenzo Bagnoli e Paolo Riva,
«i partiti che si autodefiniscono “legati alla libertà delle nazioni e alle tradizioni dei popoli europei” sono numerosi e in crescita, ma altrettanto sparsi e divisi. Sia per le idee che portano avanti su alcuni temi cruciali – il rapporto con la Russia e il rispetto dello stato di diritto, su tutti – sia per i gruppi del Parlamento Europeo nei quali siedono».
Conforta sapere che la democrazia, malgrado tutto, regge. Ce lo dimostrano la vittoria di Emmanuel Macron in Francia lo scorso aprile, le elezioni Midterm in America con la tenuta dei democratici, la sconfitta di Andrej Babis e del suo partito populista alle presidenziali di gennaio in Repubblica Ceca. E però di fronte al ritorno di una destra più eversiva, come quella che il 9 ottobre del 2021 ha assaltato la sede della Cgil di Roma, è naturale domandarsi quanto del radicalismo resta impigliato nelle politiche di chi ci governa.
Non tanto per stabilire se il partito di maggioranza sia o no “postfascista”, piuttosto per non dimenticare la storia e i suoi decorsi.
A questo è servito il podcast Fascismo in tempo reale, viaggio attorno alle parole, le retoriche, gli immaginari che hanno legittimato l’ideologia antidemocratica del regime nel Ventennio.
E più ancora il cinquantaseiesimo Annale di Fondazione Feltrinelli, Fascismo e Storia d’Italia, curato da Giovanni De Luna: la fotografia di un’Italia che deve ancora fare i conti con un capitolo cruciale della sua storia, il tentativo di valorizzare il sapere storico per definire la natura delle destre oggi.