I migranti: una risorsa per la crescita
La crescente interdipendenza tra le regioni del pianeta e il costante intensificarsi dei flussi migratori hanno accorciato le distanze tra sistemi valoriali e culturali, portandoci al confronto costante con contesti multiculturali e globalizzati.
Se questo scenario viene vissuto con timore – dove la paura del diverso, alimentata dal pregiudizio, genera retoriche sulla presunta “invasione” dei nuovi arrivati – al contrario le ricerche dimostrano come la creazione di nuovi ponti e sinergie culturali favoriscano lo sviluppo delle società in termini sia sociali che economici.
Come documentato da alcune autorevoli organizzazioni internazionali di ricerca quale l’OECD, in “Is migration good for economy?” (2014), i nuovi arrivati generano infatti effetti positivi sul lavoro e sulla crescita economica e contribuiscono positivamente alle finanze pubbliche. I migranti consentono di accrescere la forza lavoro del Paese ospitante e di compensare lo squilibrio demografico di quei Paesi, come l’Italia, che presentano elevati livelli di longevità (World Factbook, 2016). Secondo le recenti stime Istat, al 1° gennaio 2017 la quota di giovani (0-14 anni) è scesa ulteriormente rispetto all’anno precedente, raggiungendo livelli mai sperimentati in passato (13,5%), mentre gli individui di 65 anni e più hanno superato per la prima volta quota 13,5 milioni. Inoltre il saldo naturale (dato dal numero di nati meno quello dei decessi), ha fatto registrare nel 2016 un valore negativo (-134 mila), in aumento rispetto a quello del 2015 pari a 100 mila unità. In questo scenario la popolazione straniera, cresciuta di 135 mila unità nel 2016, sta contribuendo a salvare un Paese che invecchia e allo stesso tempo a generare contributi sociali e entrate fiscali a favore della finanza pubblica e del sistema pensionistico.
L’indice di dipendenza strutturale, che rappresenta il costo sociale ed economico della popolazione non attiva su quella attiva è salito nel 2016 a quota 55,5% rispetto al 2015 in cui si attestava a quota 50,1%. In parole povere meno lavoratori per pensionato in grado di coprire la spesa pensionistica. È evidente, quindi, come la popolazione straniera, mediamente più giovane di quella italiana (al 1° gennaio 2017, la classe di età tra 18 e 34 anni pesa quasi per il 30 per cento sul totale della popolazione straniera, quella italiana solo per il 17%), possa svolgere una funzione di mantenimento del sistema pensionistico.
Impatti positivi da politiche di inclusione e integrazione dei migranti si registrano anche a livello di capitale umano: attraverso le loro competenze, capacità e spirito di autoimprenditorialità, gli stranieri contribuiscono ai processi di innovazione e sviluppo. Per dare un’idea del valore dell’imprenditoria generata da persone con un background migratorio, una recente ricerca della National Academy of Sciences (The Economic and Fiscal Consequences of Immigration, 2016) afferma che tra 87 start-up americane valutate dal mercato oltre al miliardo di dollari, più della metà di esse sono fondate da migranti. Il valore complessivo di queste società, pari a 168 miliardi di dollari, rappresenta inoltre quasi la metà del valore del mercato azionario russo e messicano.
Tuttavia, rispetto a Paesi come gli Stati Uniti d’America che hanno fondato il loro progresso economico sul meltingpot, l’Italia si presenta come un Paese dalla recente immigrazione che ancora non è riuscita a valorizzare appieno le capacità e le conoscenze dei migranti.
Il lavoro migrante in Italia
Sebbene nel 2017 – stando al Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione “La dimensione internazionale delle migrazioni”, – il lavoro degli stranieri in Italia abbia costituito l’8,9% del PIL, la presenza di migranti nel Paese incide solo su fette molto ristrette del mercato del lavoro: le opportunità lavorative di un migrante aumentano se la professione offerta è poco qualificata.
Infatti, secondo i dati ISTAT del rapporto di Confindustria “Immigrati: da emergenza a opportunità”, solo il 2% dei lavoratori migranti ricopre professioni ad alto livello di istruzione, mentre se si guarda al lavoro non qualificato una persona su tre è di origine straniera. In Italia, in termini di occupabilità, le minori offerte di lavoro qualificato per i non nativi hanno generato una situazione di complementarietà nel mercato del lavoro. Allo stato attuale delle cose, i nativi – avvantaggiati dalla conoscenza della lingua – si specializzano in professioni gestionali altamente qualificate, mentre gli stranieri – sia secondo il già citato rapporto di Confindustria sia secondo il rapporto di Caritas e Migrantes “Rapporto Immigrazione 2016” – sono attivi in settori poco appetibili per la manodopera nazionale in cui si riscontra di fatto una percentuale superiore di lavoratori stranieri rispetto a quelli italiani: settore dei servizi collettivi e personali, costruzioni, settore alberghiero e della ristorazione.
Settori produttivi | Stranieri | Italiani | ||
V.a | % | V.a | % | |
Servizi collettivi e personali | 682.159 | 28,3 | 1.110.361 | 5,4 |
Costruzioni | 246.002 | 10,2 | 1.208.571 | 5,9 |
Alberghi e ristoranti | 243.332 | 10,1 | 1.204.152 | 5,9 |
Fonte: Caritas e Migrantes. XXVI Rapporto Immigrazione 2016. Elaborazione su microdati dati ISTAT-RCFL
Questo quadro, seppur non esaustivo della situazione migratoria in Italia, ci consegna un messaggio importantissimo, per niente generico, e che non va in nessun modo trascurato: al di là di chi fatica ad essere incluso nel mercato del lavoro, la narrazione del lavoratore straniero che si sostituisce a quello nativo ha poca evidenza empirica e risulta infondata anche nel nostro Paese. Dobbiamo dunque liberarci dalla paura e accendere la curiosità verso un mondo che cambia. Perché come direbbe Marty Neumeier – autore di “Metaskills: FiveTalents for the Robotic Age” – il tema di fondo non è che i problemi e le sfide della nostra società siano troppo difficili, ma sono le nostre capacità e competenze ad essere troppo elementari.
Interculturalità: la competenza chiave del 21° secolo?
Tra tutte le competenze di cui un individuo può essere equipaggiato, quella dell’interculturalità deve rappresentare il punto di partenza per l’attuazione di qualsiasi investimento e policy legati al fenomeno migratorio. La capacità di confrontarsi in maniera costruttiva e a livello interpersonale con la diversità culturale e la molteplicità di attitudini, valori, norme, convinzioni e modi di vivere – fondamentale ai fini della coesione sociale e della riduzione dell’esclusione – consente infatti di vivere positivamente l’eterogeneità culturale e affrontare con sensibilità la questione migratoria al di là delle retoriche esistenti. Sono lo stesso mercato del lavoro e la società intera, contrassegnati da un forte pluralismo culturale, che possono trarre beneficio dai saperi che si generano sugli universi linguistici e culturali delle altre aree del mondo. Già Amartya Sen, che riproponiamo in Dialoghi sulla dignità: Migranti, sosteneva a proposito di multiculturalismo: “Nel mondo contemporaneo c’è una forte richiesta di multiculturalismo. L’esortazione ad «amare il prossimo tuo» è accettata in modo generalizzato quando il prossimo conduce, in linea di massima, il tuo stesso genere di vita ma per amare il prossimo tuo ora bisogna necessariamente interessarsi ai diversissimi stili di vita praticati da chi ci vive accanto. La natura globalizzata del mondo contemporaneo non consente il lusso di ignorare i difficili interrogativi posti dal multiculturalismo”.