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La politica dell’accoglienza di Angela Merkel viene indicata da molti commentatori come il più grande passo falso della cancelliera: ha suscitato critiche e polemiche che continuano ancora adesso, e che stanno condizionando le trattative per la formazione del nuovo governo.

Dallo scoppio della crisi migratoria del 2015, partiti e leader tedeschi hanno utilizzato il tema dell’accoglienza come un vero e proprio campo di battaglia per definire la propria identità, per marcare differenze, per suscitare consenso. Protagonista della vicenda, come spesso accade quando si parla della Germania degli ultimi dodici anni, è Angela Merkel. Nella gestione della crisi dei rifugiati, la cancelliera ha mostrato tutti gli elementi che, nel bene e nel male, caratterizzano il suo modo di fare politica: spregiudicatezza, duttilità, opportunismo, ricerca del consenso. Tutti attributi che le hanno valso il soprannome di “Merkiavelli”, affibbiatole dal sociologo tedesco Ulrich Beck. Le scelte di Merkel risulteranno profondamente divisive, suscitando polemiche che condizioneranno la campagna elettorale e le trattative per la nuova coalizione di governo.

La storia comincia a metà luglio 2015. Masse di persone, in fuga da fame e guerra, premono sui confini europei in cerca di un futuro. Merkel non è turbata. La Germania si trova al centro del continente, e storicamente ha sempre delegato la gestione dei confini ai paesi limitrofi: quello dei rifugiati non è un problema tedesco. Lo impara a sue spese Reem Sawhil, una bambina palestinese rifugiata in Germania, ospite di un dibattito televisivo con la cancelliera. Alla piccola Reem, che le racconta della sua paura di essere rimpatriata, Merkel risponde candidamente chein Germania non c’è spazio per tutti. La bambina scoppia in lacrime in mondovisione: l’indignazione sale, la cancelliera viene dipinta come un mostro.

 

(2015) Rifugiati in attesa al ponte che collega Braunau (in Austria) con Simbach (in Germania)

 

Tra la fine agosto e le prime settimane di settembre, però, la situazione cambia drasticamente. Con l’estate, il numero di persone che premono ai confini d’Europa si moltiplica, il sistema di accoglienza europeo si rivela totalmente inadeguato per fronteggiare la situazione. Il 31 agosto, Merkel spiazza tutti – i suoi colleghi di partito, gli alleati, gli avversari, dentro e fuori i confini tedeschi – quando, durante la tradizionale conferenza stampa estiva, vara la sua politica di apertura verso chi scappa dalla guerra: la Germania considererà nullo il regolamento di Dublino, ed esaminerà ogni richiesta di asilo politico. Ciò vuol dire che chiunque potrà andare in Germania per provare a ottenere una protezione.Il discorso viene ricordato per le tre fatidiche parole Wir schaffen das, ce la faremo. Il miracolo è compiuto: da mostro, Merkel si trasmuta in donna dell’anno, in una novella madre Teresa di Calcutta; visita un campo di accoglienza, si fa i selfie con i profughi. Come conseguenza della sua scelta, la Germania arriverà ad accogliere a fine anno oltre un milione di rifugiati.

Da subito, la politica dell’accoglienza della cancelliera suscita polemiche. Le più feroci provengono, nemmeno a dirlo, dall’AfD (Alternative für Deutschland). Il partito nazionalista e xenofobo, infatti, ha come obiettivo il blocco totale degli ingressi, sostiene che occorra cambiare i trattati e le norme internazionali sull’accoglienza dei rifugiati, ed è contrario ai ricongiungimenti familiari. Critiche pesanti provengono anche dalla CSU, il partito bavarese gemello della CDU: alcuni importanti esponenti minacciavano di adire alla potente corte costituzionale contro la politica della cancelliera, mentre il segretario Seehofer si è fatto portavoce della controversa proposta dell’Obergrenze, ossia un limite annuale al numero di rifugiati accolti. Su posizioni simili si attesta il partito liberale, l’FDP, il cui segretario Lindner, pur rifiutando l’Obergrenze, ha accusato Merkel di aver scambiato la politica dell’accoglienza con la politica migratoria. All’interno della stessa CDU, c’è una componente fortemente critica della linea della cancelliera: significativo in questo senso è la visita dell’ex cancelliere Kohl al premier ungherese Viktor Orbán, considerato la nemesi di Merkel a causa della sua politica di chiusura dei confini. Nemmeno il partito socialdemocratico si è rivelato entusiasta della politica di apertura: l’ex cancelliere Schröder ha commentato che la cancelliera “ha un cuore, ma non ha un piano”, e una buona metà degli elettori dell’SPD non sono convinti dal Wir schaffen das. Molto più disposto all’apertura è il partito dei Verdi, che ha replicato con fermezza l’incostituzionalità dell’Obergrenze, e la necessità di una politica di integrazione dei nuovi arrivati.

Già pochi mesi dopo il discorso Wir schaffen das, Merkel è stata indotta a ritornare sui propri passi, arrivando a prendere le distanze dalle sue stesse parole. Con la chiusura della rotta balcanica grazie al controverso accordo con la Turchia, si è conclusa anche la politica di apertura dei confini, ma non la polemica che essa ha suscitato. Il risultato delle ultime elezioni restituisce infatti l’immagine di una Germania che vira a destra; è immaginabile Merkel e il suo partito, abituati a occupare il centro dello spazio politico, asseconderanno questa tendenza. Considerando il successo dei partiti critici riguardo all’apertura dei confini e che, secondo i sondaggi, la maggioranza dei tedeschi ritiene irrealistico il Wir schaffen das e si dichiara favorevole all’Obergrenze, difficilmente vedremo la cancelliera vestire di nuovo i panni di madre Teresa e posare assieme ai rifugiati.

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