Italia, anni Duemila (che avanzano). Ventiquattro milioni di persone dai sei anni in su dichiarano di aver letto almeno un libro nei dodici mesi precedenti l’intervista, per motivi non strettamente scolastici o professionali. Siamo al 42%, percentuale che conferma di fatto la tendenza degli anni precedenti. La quota di lettori è superiore al 50% della popolazione solo tra gli 11 e i 19 anni, e la fascia di età in cui si legge di più è quella tra i 15 e i 17. Quanti tra questi ragazzi hanno preso in mano anche solo un libro di storia, tradizionalmente inteso? Per la mia esperienza, frammentata e impressionistica, posso ipotizzare una risposta approssimativa: quasi nessuno.
Da diversi anni organizzo viaggi della memoria sui luoghi della nostra storia, in prevalenza ad Auschwitz e in altri memoriali che ricordano i lager del Terzo Reich. Ho incontrato decine di migliaia di studenti e dialogato direttamente con un numero incalcolabile di loro, e chi lo fa con regolarità, come gli insegnanti, o con interventi mirati, come gli operatori, i formatori, gli educatori che li accompagnano in percorsi di conoscenza, sa che il loro senso del passato non è ancorato ai saggi ma si struttura saldamente intorno a narrazioni audiovisive di tipo finzionale.
E questo è il primo problema da affrontare, a mio avviso: le sceneggiature dei film per il cinema e per la tv sono costruite sugli archetipi, su figure in qualche modo incastonate nel loro essere categorie con “movimenti” funzionali allo sviluppo della storia in un tempo dato. L’eroe – impegnato in una ricerca o vittima che tenta il riscatto –, il falso eroe, l’antagonista, il mandante, l’aiutante, e tutti i personaggi elencati già da Vladimir Propp a partire dal 1928, personaggi che, nella loro esistenza narrativa, attraverso i vari turning points del racconto, agiscono o subiscono un cambiamento. Provare a insegnare – nel senso etimologico di lasciare un segno – il nostro passato, trasmettere anche con passione lo studio della storia, significa, al contrario, avventurarsi nella complessità delle vicende umane, senza circumnavigare i loro tratti più contraddittori. Significa, in fondo, remare contro gli archetipi che – come scrive Wu Ming 2 – sono “sempre al lavoro, nel nostro cervello”.
Locandina del film Uomini contro (1970)
Spaventati o meno dalle note che corredano ampiamente i libri di storia “tradizionali”, in molti cercano storie vere in altri prodotti culturali. Ebbene, per tornare alla carta, negli ultimi anni sono apparsi diversi libri di narrative non fiction che mettono letteralmente in scena la ricerca nel corso della quale ha preso forma il prodotto finito. Penso in particolare a Laurent Binet, HHhH. Il cervello di Himmler si chiama Heydrich, arrivato in Italia nel 2010 e a Limonov di Emmanuel Carrère, uscito l’anno successivo, oramai dei nuovi “classici” del nostro presente, anche e soprattutto – credo – grazie alla loro impostazione coraggiosa che, nella wiki-era, scardinano il sapere tradizionalmente organizzato a portata di clic o di polpastrello per proporre una narrazione fortemente radicata sulle proprie incertezze, sulle esitazioni e sui vicoli ciechi che possiamo incontrare nelle nostre ricerche. La narrazione diventa così uno strumento per interrogare e interpretare la realtà, e analogamente in due libri italiani: Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre di Benedetta Tobagi (2009) e L’eco di uno sparo di Massimo Zamboni (2015), due esempi straordinari di cosa significa fare i conti con la propria – dolorosa, oppure oscura – storia familiare con un’incommensurabile onestà intellettuale e una rara capacità di scrittura.
Locandina del film Searching for Sugar Man (2012)
Non solo. Sono innumerevoli, recentemente, anche gli esempi di film che propongono storie vere, e alcuni sono anch’essi dei racconti di una ricerca, pensiamo allo straordinario Searching for Sugar Man, la storia di Sixto Rodriguex raccontata da Malik Bendjelloul (2012). Mettere il narratore e le sue emozioni sulla pagina o sullo schermo, costruendo un intreccio tipico della fiction, contribuisce a consolidare un vero e proprio genere letterario che intercetta così questa doppia pulsione, e uno degli esempi più poetici è forse Unastoria, il graphic novel che attraverso le immagini racconta a un secolo di distanza la vicenda del bisnonno di Silvano Landi, un alter ego dell’autore, Gianni Pacinotti alias GIPI.
Pochissime parole che sono andate a riempire di senso un anniversario, quello della Prima Guerra mondiale, che come tutti gli anniversari è spesso, al contrario, denso di parole vuote, di pura retorica, che gli studenti vedono spesso come il fumo negli occhi. E non solo loro.