Il contesto economico
Per comprendere le dinamiche storiche di questi ultimi trent’anni è necessario ricordare, molto sinteticamente, alcune profonde trasformazioni strutturali avvenute in Europa e nel mondo.
Il crollo del Muro di Berlino ha avuto conseguenze geopolitiche ed economiche immense. Ha scatenato un processo di globalizzazione dei mercati senza precedenti, con fenomeni di privatizzazione dell’economia su scala planetaria, che richiama i processi di “accumulazione originaria” proposti da Marx e dalla Luxemburg. Il capitalismo, cioè, ha avuto davanti a sé spazi di conquista quasi sconfinati. I mercati del lavoro, delle merci e dei capitali si sono ampliati secondo linee evolutivo-istituzionali ancora in corso. Il tutto favorito da una disgregazione delle statualità uscite dalla Seconda Guerra Mondiale, con epicentro nell’area del cosiddetto “socialismo reale”. Anche la Cina si è avviata sulla via di una industrializzazione forzata, che l’ha interconnessa al sistema capitalistico mondiale, facendone un protagonista della competizione geopolitica su scala planetaria.
Nasce l’Euro, cioè un unico mercato europeo, privando gli Stati centrali dell’autonomia monetaria, uno strumento fondamentale di politica economica. Mentre nasce la Banca Centrale Europea, non nasce, però, una politica economica europea, cioè un centro di potere politico in grado di governare l’economia europea. Questo governo è lasciato ai rapporti di forza esistenti tra i diversi Stati nazionali. In Europa, centrale risulta la riunificazione della Germania e la sua espansione economico-egemonica anche ad Est, nell’ex-impero sovietico, attraverso una politica “neomercantilista”, rivolta anche verso l’Occidente, cioè volta a rafforzare senza fine, sembrerebbe, le esportazioni tedesche e dunque la sua industria, a discapito di altre industrie.
In Italia con Tangentopoli entra in crisi il sistema di potere economico-politico italiano fondato sullo “Stato imprenditore”, nato durante il fascismo come risposta emergenziale alla grande crisi del ‘29 e poi riconfermato con la Repubblica e diventato un elemento caratterizzante dell’economia italiana. A cominciare dal 1993 questo Stato imprenditore è stato liquidato, con un processo di privatizzazioni immenso e ancora in corso.
Mentre gli artefici di questo processo ne decantano le virtù modernizzanti anche in termini di crescita economica, l’Italia conosce un processo di declino industriale ed economico, che ha come cardine la persistenza di micro-realtà industriali (i distretti industriali), mentre alcune grandi realtà aziendali multinazionali entrano in crisi o addirittura abbandonano l’Italia (vedi il caso Fiat). Contemporaneamente avviene, come in Europa, un processo di concentrazione bancaria senza precedenti, che corre di pari passo alla riproposizione di un rapporto tra banca e industria molto stretto. Si ripropone il modello che venne travolto dalla crisi del ’29. Sempre in Italia nasce un movimento politico “eversivo” – il termine è di Norberto Bobbio – delle istituzioni repubblicane fondato da un protagonista indiscusso della vita economica italiana: televisione, carta stampata, finanza, editoria, calcio, pubblicità, edilizia. Mentre questo magnate si presenta come un imprenditore fattosi da sé, si tratta, al contrario, di una nuova forma di imprenditore, che deve le sue fortune anche, dunque non esclusivamente, alle sue capacità politiche.
Mentre il capitalismo sembra non incontrare più alcun ostacolo sul proprio cammino, nel 2007-2008 divampa una crisi economico-finanziaria paragonabile per intensità a quella del 1929 e che, sviluppatasi nel cuore dell’Occidente, in USA, dilaga in tutto il mondo, Europa compresa, colpendo soprattutto le economie più deboli.
Avviene, di conseguenza, un progressivo e irripagabile aumento dell’esposizione debitoria sia dei privati (imprese e famiglie verso le banche) sia degli Stati (debito pubblico). L’esposizione debitoria diventa uno dei terreni e degli strumenti di contesa geopolitica tra gli Stati nazionali, anche all’interno della Comunità Europea.
Nonostante la crisi e l’opera di salvataggi pubblici intrapresa, dilaga sempre più incontrollata (deregolamentata) la speculazione finanziaria a livello planetario. Abbiamo una Banca centrale europea che letteralmente regala denaro alle banche, che si guardano bene da immetterlo nel circuito dell’economia reale e che, invece, contribuisce al ingigantire il gioco della speculazione finanziaria. Si crea profitto per alcuni, senza più passare dalla produzione di merci. E’ stato Keynes a dimostrare che l’unico modo per uscire da questa trappola è “la socializzazione degli investimenti”, cioè un massiccio programma di investimenti pubblici e il controllo da parte dello Stato del processo finanziario (una nazionalizzazione di fatto delle banche).
Il progresso tecnologico, parallelamente, porta, tendenzialmente, ad un aumento a dismisura della disoccupazione, mentre i mercati liberalizzati, soprattutto quello del lavoro, innescano un processo di redistribuzione della ricchezza tra le classi sociali a netto vantaggio dei ceti più abbienti, con proletarizzazione e sotto-proletarizzazione di larghi ceti di media e piccola borghesia (di cui si vuole erodere anche il patrimonio, non solo il “mestiere”, promuovendo in nome dell’austerità varie forme di “patrimoniale”) e distruzione del potere contrattuale del salariato.