“Per chi non conosce il nord della Sira, 32 chilometri non sono molti. Per i curdi quei 32 chilometri significano dare tutto in mano alla Turchia”. Hazal Koyuncuer, portavoce della comunità curda milanese e fra le protagoniste dell’incontro ‘La Siria e il dramma del popolo curdo: non possiamo tacere! promosso da Fondazione Feltrinelli, ricostruisce quello che sta accedendo in Siria con l’operazione miliare turca.


 

Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (FGF): Cosa sta accadendo nel Kurdistan siriano?

Hazal Koyuncuer (HK): Quando le truppe americane si sono ritirate, gli attacchi dell’esercito turco si sono concentrati soprattutto nella città di Serekaniye. Per dodici giorni interi le combattenti donne e i combattenti del popolo hanno resistito contro i militari turchi accompagnati da gruppi jihadisti, di cui credo la Turchia sia sostenitrice. Hanno continuato a bombardare, al dodicesimo giorno, non riuscendo ad avanzare di un metro e vedendo una resistenza popolare così potente, hanno cominciato a utilizzare armi chimiche e a sparare contro i civili con il fosforo bianco. In automatico questo atto di una forza micidiale ha portato il ritiro dei civili dalla città, protetti dalle “Unità di difesa del popolo” e dalle “Unità di Difesa delle Donne” che si sono impegnate a difendere la popolazione civile della città. Si è aperto immediatamente un corridoio umanitario per far passare tutta la popolazione da Serekaniye a Kamishlié e a Tell Abyad liberando completamente la città.

FGF: L’operazione militare lanciata da Erdogan ha soltanto delle ragioni di natura politica (l’espansione dell’influenza turca nella zona, l’eliminazione dei soggetti politici curdi) oppure le motivazioni hanno anche una natura etnica?

HK: Il Presidente degli Stati Uniti e il governo della Turchia hanno fatto un accordo con cui dichiaravano un cessate il fuoco completamente fasullo, dando un ultimatum ai curdi: in 120 ore ritirare completamente le loro truppe dalla zona di 32 chilometri al confine tra la Turchia e la Siria. Zona strategica, dato che Kobane sta a una decina di km dal confine turco e che il Rojava, il nord della Siria, andrebbe di conseguenza in mano ai turchi. Tutta la popolazione dovrebbe uscire dalla regione, trovare un altro luogo e inserirsi. I turchi potrebbero invadere tutte le città del nord della Siria facendo accordi con capi arabi (perché questo è quello che dichiara Erdogan), inserendo lì altre persone, tra cui i rifugiati siriani in Turchia.

 

FGF: L’interesse turco qual è?

HK: La presenza curda al confine turco è considerata un pericolo, ma è anche un interesse economico, ci stanno tutti e due. Da una parte c’è un genocidio verso un gruppo etnico che ha trovato una nuova forma di democrazia nel nord della Siria. Lì i curdi hanno dichiarato un’autonomia democratica fondata su due principi molto importanti: il femminismo e l’ecologia; una democrazia basata su un sistema che va dal basso verso l’alto, basata su una radice di multiculturalismo, con una carta costituzionale (la “Carta del Rojava”) in cui sono inseriti tutti i gruppi etnici viventi nel nord-est della Siria, nella regione del Rojava. L’obiettivo è anche eliminare questa forma di democrazia che potrebbe essere un esempio per tutta la Siria, o meglio, anche per il Medio Oriente. In più, eliminare il rischio per la Turchia che ci siano delle azioni di sabotaggio sui gasdotti nella regione del Rojava e garantirsi il controllo dei pozzi di petrolio al confine della regione.

FGF: Come stanno reagendo le forze politiche curde, quella del Rojava e quella del Kurdistan iracheno, anche in considerazione del mancato sostegno effettivo delle istituzioni europee? Quali elementi vengono sottolineati con maggior forza nel denunciare l’attacco militare turco?

HK: Le forze curde hanno dichiarato resistenza fin dal primo giorno di attacchi, non abbandonano né la democrazia né le terre. Questa è stata la dichiarazione delle “Unità di difesa del popolo” e “Unità di difesa delle donne”. I popoli del nord della Siria sanno che non è solo una questione di terra, non è il fatto di vivere a Kobane che li fa cittadini di Kobane. Hanno creato, insieme, una nuova forma di democrazia, che in Medio Oriente non esiste. I curdi resistono dichiarando una resistenza per la loro democrazia, per i fondamenti in cui credono e per una società migliore che vogliono costruire e che stanno provando a costruire nel nord della Siria. E le donne curde hanno apertamente dichiarato “O libertà o morte”.

FGF: A chi può fare affidamento il popolo curdo?

HK: Sicuramente non agli Stati nazione, che li stanno attaccando, ma si affida alla popolazione del mondo, chiedendo a tutti i cittadini di partecipare alla resistenza. La richiesta è, per ognuno nelle proprie città, nei propri comuni, nei posti di lavoro, di dare solidarietà, di sentirsi curdi e di non permettere questo genocidio.

FGF: Qual è il punto di vista dei turchi?

HK: Le dichiarazioni fatte da parte di Erdogan sono: “Attaccherò Mosul, arriverò a ricostruire l’Impero ottomano, che verrà ricostruito”. Molta gente in Turchia è convinta di ritornare a quell’Impero ottomano che avrà come Costituzione il Corano. Sia i Peshmerga, sia le “Unità del Popolo” nel nord della Siria devono difendersi dalla stessa minaccia in questo momento. Da giorni in Suleimania, a Erbil, ci sono manifestazioni popolari di persone che per ore e ore era per strada per chiedere alle autorità occidentali di intervenire contro questo genocidio e di salvaguardare l’autonomia di un popolo che si autodetermina lì.

FGF: Come vedi gli sforzi di solidarietà in Europa? Credi siano efficaci?

HK: Dal primo giorno, quando è arrivato il comunicato che gli americani si sarebbero ritirati, ci siamo mobilitati subito, siamo andati sotto il consolato turco perché sapevamo che il giorno dopo ci sarebbe stata un’invasione. Noi curdi sappiamo che in Turchia Erdogan sta perdendo potere; l’unico modo per sopravvivere era creare una guerra, attaccare il popolo curdo per suscitare un sentimento nazionalista e sfruttarlo. In Turchia i repubblicani, quindi coloro che si considerano di sinistra in Turchia, appoggiano questa guerra e non la chiamano guerra. Chi la chiama guerra in Turchia viene arrestato, quando loro la nominano “operazione di pace”. Sia la sinistra sia gli altri partiti in Turchia, al di fuori dell’HDP (il Partito democratico dei popoli), appoggiano questa guerra. La richiesta dei compagni del nord del Rojava è stata subito: “Attivatevi! Chiedete a tutti, senza distinzioni ideologiche, di scendere in piazza per un popolo che ha lottato contro l’ISIS, che ha dovuto combattere non soltanto per se stesso, ma per l’umanità, perché l’ISIS era un pericolo per tutta l’umanità”. ll popolo del nord della Siria, con quel tipo di resistenza casa per casa, in tutto 11 mila persone, faceva da scudo per l’Occidente.

FGF: Cosa faranno gli Stati e le istituzioni internazionali?

HK: Sappiamo che le istituzioni e gli Stati faranno fatica ad andare contro la Turchia che è membro della NATO, alleato dei paesi occidentali, e uno dei Paesi con cui l’Italia, per esempio, ha più import/export rispetto a tutti gli altri paesi europei.

Però, tutti insieme possiamo fare qualcosa, soltanto se rimaniamo uniti possiamo farlo e proprio come sono rimasti uniti i combattenti nel nord della Siria quando hanno dovuto combattere contro l’ISIS. Erano arabi, jazidi, circassi, armeni, curdi: tutti si sono uniti per un’unica causa, che era quella di salvaguardare l’umanità, per cui oggi noi ci dobbiamo sentire in obbligo di avere un’unica causa, di salvaguardare il nord della Siria perché loro lo hanno fatto per noi, penso che il popolo italiano lo abbia percepito e lo abbia dimostrato in questi giorni con le manifestazioni.

Se viene eliminato il popolo curdo, la nascita dell’ISIS è a un attimo. Ci sono 40 mila jihadisti al confine del nord della Siria. Non si può assolutamente far finta che non ci siano, e non si può non pensare ai campi in cui sono imprigionati i membri dell’ISIS. L’obiettivo della Turchia è liberare i miliziani dell’ISIS, ricreare il caos in quelle terre e reinserire i jihadisti nel nord della Siria. Non possiamo dimenticare quello che è successo a Parigi, a Londra, in Germania a Berlino.

FGF: Qual è la tua speranza o l’aspettativa per i prossimi giorni, per le prossime settimane?

HK: Che il governo italiano ritiri i propri soldati nel nord della Siria: ci sono 130 soldati italiani con il mandato della NATO che difendono la linea aerea della Turchia. Mi aspetto un ritiro urgente dei nostri soldati perché il mio popolo, i nostri soldati non possono essere complici di un genocidio. Il governo italiano intervenga politicamente e con urgenza attraverso l’embargo con la Turchia, l’Europa riconosca che Erdogan è un criminale di guerra e che si sia solidali con il Confederalismo democratico curdo nel nord della Siria.

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