La serie di Agora Europe “Otherside//Europe” si propone di raccontare l’Europa dall’altra parte, da oltreoceano e oltreconfine, e affronta il tema dell’acqua come frontiera insieme a chi il mare lo vive ogni giorno e in mare ha fatto l’esperienza di essere salvato e di avere salvato.
Pietro Bartolo è stato protagonista del quindicesimo episodio in cui si è parlato di salvataggio in mare, del Nuovo patto UE sulla migrazione e l’asilo e molto altro. Quanto segue è un estratto della nostra conversazione con lui.
La migrazione è un argomento capace di sollevare grandi speranze, ma soprattutto grandi paure. Immagini strazianti, ritratti di innumerevoli individui in fuga o in cerca di una vita migliore, riempiono da anni i mezzi di comunicazione di noi abitanti del mondo sviluppato. Come dimenticare i tragici naufragi al largo delle coste di Lampedusa, le persone appese tra il sogno europeo e la desolazione del deserto nelle enclave spagnole di Ceuta e Melilla, quelle a piedi scalzi nella neve del campo lager di Lipa, la Guardia costiera greca che respinge imbarcazioni di fortuna a suon di proiettili di gomma e manovre che chiunque porti rispetto per il mare e le sue leggi non può che guardare con sdegno. Al grido di umanità e speranza il mondo sviluppato ha risposto e continua a rispondere chiudendosi su sé stesso in un’apparente mancanza di empatia guidata da istinti di protezione verso la stabilità economica, la sicurezza e l’identità nazionale. Se si pensa al mosaico di lingue, culture ed etnie che è l’Europa, nonché alla sua lunga storia di migrazioni tanto interna quanto esterna ai confini dell’Unione, fa specie che ciò avvenga anche qui da noi.
Giornalisti e politici cavalcano l’onda dei timori che essi stessi instillano nelle persone. Ed è così che si parla di invasione e i migranti finiscono per diventare numeri. Quanti arrivi? Quanti sbarchi? Quanti morti? Non restano che numeri. Non possiamo però dimenticarci che dietro ogni numero c’è una persona, un essere umano.
Il fenomeno della migrazione, in Europa così come in gran parte del mondo, viene affrontato come fosse un’emergenza, il che è paradossale se pensiamo che le persone si muovono alla ricerca di condizioni migliori sin dall’alba dei tempi.
Siamo nati come popolazioni nomadi.
La migrazione è un fenomeno naturale, strutturale e strutturato che necessita di risposte concrete e dell’istituzione di sistemi prevedibili. L’approccio emergenziale mal si coniuga con il prendere misure che guardino al lungo periodo e che consentano dunque di affrontare il fenomeno con adeguatezza, e di comprendere anche l’orizzonte di opportunità che esso porta con sé.
La modalità emergenziale di pensiero e di azione fa sì che anche strumenti che potrebbero avere un impatto positivo vengano di fatto utilizzati in maniera scorretta. È il caso, per esempio, della cooperazione allo sviluppo e della pratica delle policy “aiutiamoli a casa loro”. Promuovere lo sviluppo, inteso in senso ampio e non meramente economico, potrebbe portare le persone a scegliere di restare. Tuttavia, l’utilizzo dei fondi della cooperazione spesso non è atto a promuove l’effettivo miglioramento delle condizioni nei Paesi di origine. Una fetta ampia viene di fatto utilizzata per il rafforzamento delle frontiere esterne e per finanziare azioni volte al management delle migrazioni e all’esternalizzazionedei confini.
Concretamente, i finanziamenti destinati allo sviluppo delle comunità riceventi vengono spesso concentrati in attività finalizzate al limitare le partenze, spesso e volentieri con la forza. In sostanza molto di quello che viene fatto è aiutare noi a casa loro. Dobbiamo inoltre riconoscere che dare soldi a Paesi terzi affinché si occupino di quello che noi, per sottrarci alle nostre responsabilità tanto nazionali quanto europee, così come alla legge del mare, non vogliamo vedere o fare – gli accordi con la Libia e la Turchia ne sono gli esempi più eclatanti – ha come unico risultato quello di rendere la migrazione piùcostosa sotto il profilo umanitario quanto su quello economico.
A pagarne il prezzo sono soprattutto le persone che si imbarcano in questi viaggi sempre più pericolosi verso il sogno europeo.
Chi scappa dalla guerra e dalla fame non si fa certo intimorire dalle difficoltà, sa che rischia la vita e lo accetta, cosa ha da perdere in più? I trafficanti di esseri umani troveranno sempre un modo, ci saranno sempre nuove rotte che si aprono o che riprendono ad essere percorse. È esattamente quello a cui stiamo assistendo tanto sulla rotta balcanica, quanto su quella atlantica. Il problema viene allontanato dagli occhi e dal cuore ma continua ad esistere. Ci stiamo lavando le mani sporcandoci la coscienza. Non possiamo fingere che non sia così.
Non dovrebbe esserci colore politico che giustifichi l’accettare di essere conniventi o addirittura complici di tutte le atrocità che continuano a verificarsi lungo le rotte migratorie. Abbiamo reso la culla delle civiltà un cimitero, che altro deve succedere per capire che dobbiamo fare di più, che dobbiamo cambiare approccio?
Purtroppo, complice la crisi economica, il contrasto alle migrazioni è diventato cavallo di battaglia dei populismi, delle destre e di coloro che scelgono di macinare consensi sulla pelle dei più deboli. Con pochezza d’animo parlano alla pancia delle persone rendendole incolpevoli complici della banalità del male.
Le persone non sono cattive, ma cattivamente informate.
Gli propongono un nemico che non esiste, costruiscono muri, fisici e ideologici, dividono “noi” da “loro”. In tal modo il noi si stringe per racchiudere solo chi si inscrive nel pensiero identitario e il “loro” si allarga per includere anche il connazionale che decide di opporsi. Pensiamo alla criminalizzazione delle ONG che operano in mare o lungo le rotte migratorie così come alle persone comuni che nel loro piccolo fanno quello che possono per opporsi alle narrative dominanti. Si tratta di persone che non sono né vogliono essere definite eroi, tantomeno ricevere applausi o premi per quello che fanno.
Salvare vite non è un atto eroico, è un atto umano. Disumano è fregiarsi di opporsi a tali gesti così come bersagliarli di fango e calunnie.
Dispiace che complice e artefice della disumanizzazione dell’operato della società e della flotta civile sia spesso la politica, che dovrebbe essere il motore del cambiamento ma finisce per annegare in un bicchier d’acqua laddove gli interessi lasciano sempre meno spazio ai valori. La Politica, quella giusta, vera, è qualcosa di sublime, con un potere straordinario per cambiare le cose, non può essere asservita a interessi personali di potere o di denaro, come ci insegnava già Machiavelli.
Oggi chi è al potere sceglie spesso di prediligere l’imperativo del breve periodo per cui è indispensabile prendere provvedimenti e firmare decreti che abbiano effetto, anche solo apparente, in tempi brevi, per accaparrarsi qualche voto in più. Poco importa poi che tali atti più che a soluzioni diano luogo a problemi, basta nascondersi dietro al poter proclamare di aver fatto qualcosa. Pensare a soluzioni che daranno frutti svariate legislature dopo non è efficace e in tal senso è una strada che difficilmente si sceglie di intraprendere. Anche volessimo spogliarci di qualsivoglia ideologia politica o opinione sul tema, per appoggiarci a una scienza esatta come la matematica o la statistica, perverremmo ai medesimi risultati: noi di queste persone abbiamo bisogno. Ne abbiamo bisogno perché l’Europa si avvia a essere il Vecchio continente, e questa volta più per una questione anagrafica che per romantici riferimenti a un passato glorioso.
I tassi di nascita rasentano e talvolta sono addirittura inferiori al tasso di sostituzione. Cosa significa tutto ciò?
Che senza migrazioni ci troveremo senza chi porti avanti l’economia reale e senza fondi per pagare le nostre pensioni. Abbiamo bisogno di queste persone e dobbiamo loro la dignità e il rispetto che ogni essere vivente si merita e cui ogni lavoratore ha diritto.
Se l’approccio umanitario non smuove le coscienze, i dati numerici sopra riportati dovrebbero se non altro essere un incentivo per la creazione di canali migratori legali, non foss’altro che per la salvaguardia del nostro sistema pensionistico. Ebbene una delle debolezze della politica migratoria europea sta proprio nel fatto che poco o nulla viene fatto per promuovere e facilitare la migrazione legale, nonostante sia un elemento ricorrente in più accordi e programmi. La promozione dei canali legali, accattivante solo sulla carta, sul piano pratico non viene perseguita con altrettanta convinzione, e non sono pochi gli Stati Membri la cui volontà sembra essere che nulla cambi.
Anche il Nuovo Patto Europeo su Migrazione e Asilo attualmente in discussione, che certamente contiene degli aspetti postivi quali ad esempio l’istituzione di nuovi criteri per l’attribuzione dello Stato Membro responsabile o l’istituzione di monitoraggio per il rispetto dei Diritti Fondamentali dei migranti, nella pratica non va a risolvere nessuno dei problemi rilevanti della politica migratoria europea né a modificare l’approccio sostanzialmente emergenziale di cui si parlava poc’anzi.
Basti pensare che non modifica nemmeno il tanto criticato Accordo di Dublino 3. Per quanto rappresenti un passo in avanti, è pur chiaro che di nuovo l’Europa non sta facendo abbastanza in materia di protezione dei diritti umani e di attivazione di canali legali. Il focus rimane la deterrenza e la promozione dei rimpatri. Si può infatti affermare che più che a istituire sistemi prevedibili per la gestione delle migrazioni, questo patto risponde all’ossessione degli Stati Membri per la sicurezza ai confini, ovvero per l’impedimento, di fatto, al passaggio delle frontiere esterne e all’arrivo in territorio europeo.
L’idea che gli screening pre–ingresso e i sistemi di rimpatrio consolidati rappresentino effettivamente dei deterrenti nella scelta di partire è fallace ed estremamente riduttiva.
Nessuno prende alla leggera la scelta di abbandonarsi tutto alle spalle; se il pericolo di perdere la vita non è un deterrente, può esserlo la possibilità di essere rimandato indietro?
Rattrista inoltre come emerga nuovamente la mancata inclinazione alla solidarietà tra molti Stati Membri. Scarsi sono infatti i provvedimenti per alleggerire il carico di responsabilità, che continua a pesare sulle spalle dei Paesi di primo ingresso.
Con questo patto l’Europa si volta ancora dall’altra parte e sceglie di non impedire ulteriori fallimenti della sua politica migratoria. Fallimenti che avvengono anche al suo interno e alle sue porte come ampiamente testimoniato dalla recente missione di un gruppo di Europarlamentari sul confine tra Croazia e Bosnia, argomento ampiamente discusso all’interno dell’evento online “Lungo la rotta balcanica: prospettive dell’Unione Europea”, organizzato da Agora Europe e disponibile sul canale Youtube dell’organizzazione.
È inaccettabile che nel cuore e ai confini dell’Europa esistano campi finanziati dall’Unione Europea dove avvengonopalesi violazioni dei diritti umani: la storia non ci ha insegnato niente, eppure un giorno ci riterrà tutti responsabili.
Chissà in quanti altri luoghi i migranti in rotta verso l’Europa subiscono gli stessi soprusi, chissà quante altre volte verrà impedito l’accesso ai campi a chi ha pieno diritto di entrare, di vedere, di documentare. Chissà quanti luoghi costruiti per difenderci da un nemico che non esiste celano al loro interno simili crimini. Quei luoghi e quegli abomini devono venire a galla, è giusto che se ne parli, che si provi vergogna. La testimonianza ha il compito di svegliare le coscienze e far smettere di essere complici.
Si può essere contrari a politiche migratorie permissive ma ciò non dovrebbe andare di pari passo con l’accettare che le persone muoiano a causa delle nostre scelte. Prima si salva, dal mare, dal freddo, dalla fame, dalle guerre, o da qualsiasi altro evento, e poi, solo poi, si discute. Dobbiamo assumerci la responsabilità, smettere di essere solo esseri umani e diventare umani.
Pietro Bartolo, Viola Malingri di Bagnolo, Caterina Di Fazio