L’articolo è tratto dalla rassegna La Risoluzione del Parlamento europeo
Politica, storia, memoria. Sono tre cerchi che non coincidono ma si intersecano necessariamente. La storia e la politica dovrebbero collaborare nel fare i conti con la memoria, come ci ricorda Tony Judt, che, in Postwar, constata con allarme come la ex-Germania Est non abbia fatto i conti col suo passato comunista, e i suoi giovani siano spesso convinti che il loro paese abbia combattuto insieme all’Unione sovietica contro Hitler. Le risoluzione del parlamento europeo di cui si discute in questi giorni è effettivamente superficiale e semplicistica, e la centralità attribuita al patto Molotov-Ribbentropp è piuttosto bizzarra. Però attenzione. E’ chiaro che non si può sostenere che la seconda guerra mondiale sia diretta conseguenza di quel patto; è altrettanto chiaro che quel patto consentì a Hitler di lanciare il suo attacco sul fronte occidentale. E’ vero che l’Unione sovietica aveva buone ragioni, di fronte alla evidente tendenza inglese all’appeasement con Hitler – il miglior testimone della quale è com’è noto Churchill – per non fidarsi degli occidentali, e per cercare di schivare quell’attacco che poi arrivò lo stesso, qualche anno dopo. E’ altrettanto vero che l’esito di quel patto fu una vergognosa spartizione della Polonia e l’occupazione delle repubbliche baltiche. Dovremmo portare più rispetto, oltre che alla storia, alla memoria dei polacchi e dei baltici. E dei cechi, degli ungheresi, di tutti i popoli che furono dominati dai sovietici. Ma vorrei sottolineare che sottovalutare il peso morale e politico di quel patto insulta anche la memoria dei comunisti occidentali, per i quali il patto fu un trauma enorme, difficile da metabolizzare. Molti lasciarono il partito comunista. Un nome per tutti: Paul Nizan, scrittore francese morto a Dunkerque combattendo contro i tedeschi.
Si obietta che la risoluzione è un documento politico che interviene sulla storia. Si può lamentare l’approssimazione con cui questo intervento si esprime, si può osservare che la verità storica è più complicata. Certamente. Credo però che non sia questo il punto. L’obiettivo di un documento come quello di cui stiamo parlando non è stabilire una verità storica, ma prendere una posizione politica su questioni che sono importanti perché attengono alla memoria europea. In Italia si è sollevato scandalo e indignazione per una presunta equiparazione di fenomeni così diversi come il nazismo e il comunismo. Indagare differenze e affinità tra fenomeni diversi è per l’appunto compito della storia e, in questo caso, anche della filosofia politica. Le questioni sono due: il confronto tra le ideologie e il discorso sulle pratiche che discendono dalle ideologie. Molti motivano il loro rifiuto della cosiddetta equiparazione con l’argomento che le ideologie erano diverse e anzi opposte: l’ideologia comunista mirava alla liberazione universale dell’uomo, quella nazista ad affermare la superiorità di una razza.
Poi, certo, nella sua realizzazione pratica il comunismo ha avuto una tragica evoluzione verso un regime oppressivo e tirannico. Ma non può essere paragonato al nazismo. Ora, questo discorso non si tiene. In generale, se una ideologia in sé buona si corrompe in una pratica pessima, vuol dire che c’era qualcosa che non andava nell’ideologia stessa. E infatti, se vogliamo fare un discorso serio, non possiamo non vedere che il comunismo intendeva raggiungere quell’obiettivo ultimo – la liberazione umana – attraverso la violenza e la dittatura. Come spesso avviene, l’obiettivo del bene giustificava e anzi rendeva necessario il male. Si voleva costruire una nuova umanità reprimendo l’umanità. Il comunismo come ideologia, o come immagine della società, è da respingere perché si basa sulla subordinazione della libertà reale all’eguaglianza presunta. Prima ancora dell’attuazione pratica, dunque, il comunismo si è opposto alla libertà e alla democrazia. Del resto negli anni Venti i comunisti, esattamente come i fascisti, pensavano che la democrazia fosse un orpello borghese, da abbattere per costruire una nuova società. Ciò che apparenta (nonostante tutte le differenze) il comunismo al fascismo e al nazismo è il rifiuto delle istituzioni democratiche, l’abbandono del valore fondante della libertà, il disprezzo della dignità umana.
Se poi guardiamo ai concreti regimi che da quelle ideologie sono nati, è certo che si trattò in ambedue i casi di regimi repressivi e violenti, che hanno commesso il crimine più orrendo: hanno ucciso i propri cittadini per ciò che erano: ebrei, in un caso; contadini, nell’altro. Come stupirsi quindi che la memoria dei regimi comunisti pesi sui popoli dell’Est europeo?
Detto ciò, sappiamo tutti che il contributo dell’Unione sovietica alla guerra contro Hitler è stato poi decisivo: decisivo quanto la resistenza inglese nella prima fase della guerra e quanto l’intervento americano nell’ultima fase. L’Urss ha pagato la sua vittoria con più di venti milioni di morti. Questo però non è qualcosa che possa essere messo sul piatto della bilancia per riequilibrare il peso del regime totalitario e repressivo instaurato dai sovietici in tutti i paesi che rientravano nella loro sfera di influenza. Che a trent’anni dalla caduta del muro di Berlino e dalla svolta di Occhetto, e a più di quaranta dall’affermazione di Berlinguer di sentirsi più sicuro di qua che di là, ci sia ancora chi nel Pd si sente in dovere di difendere il comunismo sovietico, è stupefacente. Le differenze tra nazismo e comunismo ci sono. Ma sono stati comunque due regimi totalitari, e si comprende che chi ricorda il giogo del comunismo non abbia molta voglia di soffermarsi sulle differenze. Quella che per la metà occidentale dell’Europa è stata una liberazione, per la metà orientale è stato l’inizio di una lunga servitù. La fine della guerra ha dato origine a due Europe diverse: ora è troppo facile per noi occidentali dimenticarlo. L’ispirazione più profonda della costruzione europea sta in questo progetto di superamento delle divisioni: non solo di quella della guerra tra la Germania e il resto del continente, ma anche di quella del dopoguerra tra Est e Ovest.