Il termine democrazia è oggi usato con accezione positiva, e bollare qualcuno come antidemocratico è diventato un insulto. Ma in passato il termine era invece usato in maniera dispregiativa dai potenti, e dagli intellettuali che da questi potenti in qualche modo dipendevano. Veniva usato per indicare forme di governo a controllo popolare che ai potenti non piacevano. Quando le rivendicazioni popolari resero ineluttabili alcune concessioni democratiche, i potenti decisero di appropriarsi del termine. La carica sovversiva della democrazia venne catturata ed addomesticata. Oggi il riferimento alla democrazia è uno degli strumenti preferiti di chi la democrazia vera non la vuole, di chi ha paura del governi popolari. Le élite hanno dunque dovuto sviluppare una nuova retorica per stigmatizzare il governo popolare: la retorica anti-populista. Certo, il populismo è un oggetto proteiforme, variabile, con molte sfaccettature. Ma, nonostante le complicazioni, proprio per l’uso dispregiativo che ne fanno le élite economiche e politiche, ha senso provare a vedere come alcuni aspetti del populismo possano essere declinati politicamente in chiave emancipatrice, per migliorare e amplificare la democrazia.
Un fattore che accomuna i populismi è il voler porre l’accento sulla distinzione tra il popolo e le élite. Questa distinzione può essere articolata in modi più o meno utili e più o meno pericolosi. Qual è quindi il modo migliore di articolare la distinzione tra la gente e le élite? Il modo migliore di farlo è un modo antico che si basa su delle costanti antropologiche estremamente robuste. Si tratta della distinzione Aristotelica tra i pochi e i molti, di quella romana tra plebe e patrizi se volete, e ancora meglio di quella machiavelliana tra le moltitudini e i grandi.
Machiavelli scrisse: “… in ogni città si truovano questi dua umori diversi; e nasce da questo, che il populo desidera non essere comandato né oppresso da’ grandi, e li grandi desiderano comandare et opprimere el populo.” Machiavelli inoltre, rimarcando la robustezza antropologica del fenomeno fondamentale in questo contesto, scrisse anche: “i pochi sempre fanno a modo de’ pochi”. La distinzione tra i pochi e i molti fu volutamente messa da parte dai creatori e dai sostenitori della democrazia rappresentativa moderna. Ma in un contesto come quello attuale in cui le risorse economiche e il potere politico sono sempre più concentrati, la distinzione tra i pochi e i molti ridiventa fondamentale.
La democrazia per essere veramente tale deve essere governo sbilanciato a favore dei molti. Deve essere governo che tiene a bada quelli che Machiavelli avrebbe chiamato gli appetiti dei grandi. Il contro-bilanciamento va pensato come una forma di affirmative action, come una forma di discriminazione positiva. Non si tratta di un’idea incompatibile con le concezioni individualiste e liberal delle protezioni a cui le persone devono avere accesso. Non si tratta di perseguire il progetto del partito unico della gente. Non si tratta di fare il partito del popolo che parla direttamente attraverso un leader carismatico, il quale una volta giunto al potere diventa despota o dittatore, o che mette a rischio i diritti delle minoranze. Si tratta semplicemente di contro-bilanciare le forze di chi dispone di enormi risorse economiche, e dunque di enorme potere politico, per poter distribuire libertà.
La libertà politica individuale è un valore fondamentale in questo contesto. Every man a king, diceva uno slogan populista dell’America degli anni ‘30 del novecento. Dobbiamo essere tutti, individualmente, sovrani. Ma la libertà politica dei molti può solo esistere con un contro-bilanciamento a favore dei molti, altrimenti questa libertà viene sopraffatta dal dominio di pochi.
Il populismo democratico rifiuta l’autoritarismo, e il fascismo, e il razzismo, e la xenofobia, e cerca invece di costruire una maggioranza vasta ed intensa attorno ad alcuni temi fondamentali, puntando sulla parziale solidarietà e sulla parziale convergenza di interessi tra tutti coloro che non fanno parte delle oligarchie e dei potentati. È a questa parziale ma importante convergenza che, in maniera imprecisa ma diretta e semplice, si riferiva “We are the 99%”, lo slogan populista di Occupy Wall Street. L’aumentata concentrazione di risorse economiche e di potere politico, portata dalla globalizzazione e da vari fenomeni che ad essa si associano, sta avvantaggiando i pochi e sta trasformando i molti in un mare sterminato di precari. Precari non nel senso stretto di chi ha un contratto di lavoro di un certo tipo, ma in un senso ampio, secondo il quale le nostre vite sono affette da precarietà perché sono vite sempre più alla mercé degli appetiti e delle volontà dei grandi. Il populismo può e deve servire ad opporsi a queste spinte epocali.
26/10/2015