La Grande guerra inaugurò linee di tendenza destinate ad attraversare tutto il secolo successivo e a informare – più nascostamente, ma non per questo in modo marginale – anche il modo in cui la guerra è concepita e praticata ai giorni nostri. Che cosa rivelarono, infatti, i primi bombardamenti aerei sulle città inglesi e, più tardi, su quelle tedesche, austriache e anche italiane?

Nel senso più immediato, l’avvento dell’arma aerea comportò uno sconfinamento della violenza oltre i limiti di quello che Clausewitz aveva potuto ancora rappresentare come il “centro di gravità” della guerra, e cioè la battaglia.
Proprio il rovesciamento dei rapporti tra campo di battaglia e retrovie fu individuata sin dal principio come la più “promettente” trasformazione resa possibile dalla nuova guerra industriale. Invece di dissanguare i rispettivi eserciti09a3af10 nelle battaglie senza fine della Grande Guerra, gli Stati Maggiori dei principali Stati europei cominciarono a immaginarsi le guerre future come guerre combattute e decise lontano dal fronte – e indirizzate, piuttosto, contro quello che venne non casualmente ridefinito “fronte interno”. L’idea che le capacità industriali e il morale del nemico dovessero diventare uno se non il principale obiettivo della guerra accomunò sia l’immaginazione letteraria sia la riflessione strategica degli anni venti.
Toccò proprio a un italiano, il generale Giulio Douhet, svelare e portare in fondo la logica terroristica implicita nella dottrina del bombardamento strategico. Nella sua opera pionieristica – Il dominio dell’aria – all’aviazione venne assegnato esplicitamente il compito di trasformare la guerra in una catastrofe allo scopo di spingere le sue vittime a cercare scampo nella pace:

Un Paese reagisce contro l’imposizione nemica finché conserva energie morali da sostenere la sua volontà di reazione… Occorre dunque produrre tali condizioni intollerabili per l’avversario… Il mezzo più rapido e più spiccio è quello di agire direttamente… contro le popolazioni disarmate delle città e contro i grandi centri industriali. Una popolazione che si senta colpita… dopo un certo tempo, grida: Basta!

Da un lato, in quanto forma particolare della guerra psicologica, la minaccia e l’uso del terrore promettevano una sproporzione tra il risultato immediato delle azioni e le loro conseguenze psicologiche. Come aveva suggerito già nel novembre 1917 il primo comandante della RAF, Lord Trenchard, «l’effetto morale del bombardamento di città industriali può essere grande anche là dove l’effetto materiale sia trascurabile».
Dall’altro lato, una volta che la guerra industriale aveva fuso insieme combattenti e non combattenti, cominciò ad apparire legittimo «scambiare» la vita dei primi con quella dei secondi.
Questa fu, e per molti commentatori resta ancora, la giustificazione del bombardamento atomico su Hiroshima e Nagasaki: quello sterminio preordinato di civili, si disse, aveva «risparmiato» la vita di centinaia di migliaia di militari americani e giapponesi.

Ma la stessa promessa di risparmio era ciò che aveva già reso plausibile, all’indomani di cinque anni di Grande guerra, l’obiettivo dichiarato delle neonate teorie del potere aereo: quello di arrivare alla fine delle ostilità nel minor tempo possibile, anche a costo di colpire gli obiettivi civili prima ancora di quelli militari.

Alessandro Colombo
Curatore scientifico de La Grande Trasformazione 1914-1918, un progetto di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli


Consigli di letturacover_colombo

Per approfondire i contenuti dell’articolo, leggi l’ebook La grande trasformazione della guerra contemporanea scritto da Alessandro Colombo, pubblicato per Quaderni, collana digitale di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.

La grande trasformazione della guerra contemporanea esamina sinteticamente ed efficacemente le forme della guerra dalla Prima guerra mondiale a oggi. La prima guerra mondiale, per tutti “la Grande guerra”, è tornata al centro delle celebrazioni pubbliche sull’onda della ricorrenza del centenario.  Il secolo scorso, il 24 maggio 1915, l’Italia entrava in quella guerra.  La guerra che ricordiamo è ancora la  guerra di oggi?

CLICCA QUI per accedere alla pagina di approfondimento.


Approfondimenti

Per una riflessione sulle tematiche affrontate nell’articolo, scopri l’approfondimento de “La Grande Trasformazione 1914-1918” dal titolo La Fabbrica della modernità.

La fabbrica della modernità è il processo che trasforma la società tra immagine_02Ottocento e Novecento e in cui la “Grande
guerra” costituisce un passaggio ineludibile. 
Si entra in guerra con una struttura industriale ancora “piccola”, “locale”, a“scala bassa”, talora artigianale. Se ne esce con la grande impresa in cui si è “anonimi”, “disumanizzati”. Come in trincea. Una massa stracolma di individui che condividono sentimenti…

CLICCA QUI per accedere alla pagina di approfondimento.

Condividi
La Fondazione ti consiglia
pagina 10884\