Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

La_guerra_che_verraCamminando lungo un corridoio circolare, si incontrano oggetti emersi da scavi archeologici. A Punta Linke, a 3.629 metri di altitudine nel gruppo Ortles-Cevedale, gli archeologi hanno recuperato sagome in metallo per feritoie blindate, scudi individuali da trincea, copriscarponi per vedetta in paglia intrecciata e legno, pantaloni e calzettoni da montagna, elmetti, coperte da campo e altri oggetti lasciati dagli austriaci che tenevano la postazione. L’archeologia può sondare anche il passato recente, o i territori della modernità, se il paesaggio ha ripreso in sé le tracce di quel passato e può restituirle come reperti – se per esempio il ghiaccio si ritira e quelle tracce tornano alla luce e offrono un punto di attacco agli scavi più sistematici degli archeologi (paradossalmente, accade che dobbiamo anche scavare, per riportare alla luce le tracce di un evento che sconvolse il paesaggio d’Europa e segnò l’inizio del Novecento). E affissi alle pareti del Museo, oggi, questi oggetti si mostrano come tracce in modo intensificato, perché evocano i corpi assenti che essi, in vario modo, dovevano proteggere, dal gelo della montagna o dai colpi del nemico. I corpi sono scomparsi con la morte e molti non saranno mai recuperati, ma i loro gusci restano e ne richiamano, tracce residue, la perdita e l’assenza.

2.-Giacomo-Balla-La-guerra-1916L’intera esposizione del MART sulla Grande Guerra – ma non è che uno dei modi per attraversarla, naturalmente – amplifica questa impressione di tracce che rilevano la perdita e l’assenza. Sono tracce eterogenee – reperti archeologici, materiali della propaganda, letteratura, disegni e dipinti, fotografie, video –, che ripetono le voci e le immagini dei morti in una varietà di forme e sistemi simbolici e così ne intensificano, articolano, accentuano il pensiero (come accade con il volto di Cesare Battisti, che torna nelle fotografie, sui periodici, nei dipinti, sui manifesti…). E sono tracce che, proprio per la loro eterogeneità, richiedono posture ermeneutiche diverse, dallo sguardo analitico che si porta sul reperto al dialogismo critico con cui possiamo rileggere i manifesti della propaganda, alla disposizione estetica alla quale ci invitano la pittura o la letteratura. L’eterogeneità sollecita a riflettere sulla molteplicità dei modi in cui possiamo tornare sul passato e riappropriarcene.

Accade allora, mentre tentiamo questo gesto di riappropriazione, che la massa dei materiali a cui ci rivolgiamo suggerisca che l’evento della Grande Guerra non sia davvero esaurito e che le sue onde, storiche e simboliche, si propaghino ancora fino a noi. Si rovescia così l’impressione iniziale: i corpi di coloro che vissero la guerra sono scomparsi, ma nelle loro tracce materiali e simboliche perdura la loro presenza nella storia. Lo scavo archeologico si prolunga nel dialogo ermeneutico, la loro storia, se cerchiamo di rileggerla, ridiventa la nostra.

Stefano Ballerio
Ricercatore del progetto “La Grande Trasformazione

 


La guerra che verrà non è la prima 1914 – 2014

MART, Rovereto ( TN)
4 ottobre 2014 – 20 settembre 2015.
Direzione del progetto di Cristiana Collu, curatela di Nicoletta Boschiero, Saretto Cincinelli, Gustavo Corni, Gabi Scardi e Camillo Zadra

 

 

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