Nei suoi tratti essenziali il voto consegna un paese diviso (anche geograficamente) dove il peso dell’insoddisfazione, della sfiducia e della protesta si staglia come la sfida maggiore proveniente dall’interno stesso dell’ordine democratico.

La fiducia dei cittadini nei confronti della politica e degli intermediari sembra confermare l’esistenza di un vero e proprio gap tra cittadini e istituzioni. L’astensione elettorale e il voto di protesta, anche con declinazioni radicai, sono i due frutti di queste dinamiche.

Forse è presto per leggere compiutamente i dati.  Ma appare abbastanza chiaro l’imperativo per la politica di rispondere alle inquietudini evidenziate dal voto, che impongono di guardare alle pieghe della società reale, alla correlazione tra recessione economica e crisi della democrazia.

Per questo è necessario indagare l’impatto che le crescenti diseguaglianze sul piano sociale hanno sui comportamenti e le emozioni politici mostrando disaffezione e delegittimazione delle istituzioni e delle forme canoniche della partecipazione (per esempio il voto) e contribuendo sia all’emergere di apatia sia all’adesione a movimenti populisti anti-establishment. La precarietà e la crisi delle identità collettive in connessione con lo sgretolamento dei tradizionali intermediari del conflitto sociale e politico contribuisce ad aggravare il senso di esclusione sociale e di conseguenza politica.

Gli ultimi dati ISTAT e il rapporto ASVIS 2017 raccontano di laceranti tensioni economiche. Nel 2016, le famiglie in povertà assoluta erano 1,6 milioni (il 6,3% delle famiglie residenti) per un totale di 4,7 milioni di individui. Il Mezzogiorno, secondo l’ultimo rapporto ASVIS, registra l’incidenza più elevata di soggetti in povertà assoluta (8,5% delle famiglie e il 9,8% di individui). Ancora più preoccupante è la condizione di bambini e adolescenti, ma anche dei giovani tra i 18 e i 34 anni, su cui l’incidenza della povertà assoluta è triplicata in circa dieci anni. L’Italia appare come uno dei paesi più diseguali in Europa, se guardiamo alla distribuzione del reddito tra il 20% che ha di più e il 20% che ha di meno.

Elezioni 2018

La situazione è ulteriormente aggravata dall’altissimo tasso di disoccupazione, che, seppur in calo, racconta di un paese dove un giovane su tre non ha lavoro.

Ecco, in un quadro così preoccupante, è fondamentale alimentare la riflessione attorno ai presupposti sociali, economici e politici della democrazia. Su questo sfondo, ora più che mai, dobbiamo forse non accontentarci di una concezione procedurale dei regimi democratici, perché in condizioni di crisi, quale quella che attraversiamo, una democrazia unicamente procedurale presenta argini troppo fragile rispetto al pericolo di derive pericolose.

Occorre, invece, immaginare percorsi inclusivi, all’insegna di una visione più sostanziale della democrazia, con approcci che sappiano rispondere alle domande provenienti da una società sempre più complessa, a partire dalla necessità di aggredire il groviglio di contraddizioni rappresentato dall’impatto che le diseguaglianze hanno sulla democrazia e sulla partecipazione alla cosa pubblica.

Dovremmo guardare con attenzione ai profondi mutamenti relativi al livello di partecipazione al di sotto del quale la democrazia viene svuotata del suo contenuto più alto. Ci chiediamo quale sarà il futuro delle nostre democrazie e delle nostre società, soprattutto se la tendenza alla de-politicizzazione, la disaffezione, la rabbia e lo smarrimento si dovessero affermare come il sentimento prevalente con il quale guardiamo alla cosa pubblica.

Perché il voto consegna anche un paese che, per ripartire, ha necessità di riscoprire il valore del dialogo e di progettare con fiducia il proprio futuro.

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