La “Risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019 sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa” è l’ultimo documento di una lunga serie che, sul tema della memoria e della necessità di costruire una memoria europea comune, Parlamento, Commissione e strutture diverse della UE hanno sfornato negli anni sovvenzionando con milioni di euro ricerche, iniziative, ecc. Perché per la prima volta un simile intervento ha provocato tanta polemica, e perché solo in Italia, visto che altrove ciò non è avvenuto? È questo interrogativo che mi sembra più interessante affrontare, e non perché la risoluzione non meriti commenti, critiche, approfondimenti e precisazioni. Perché a volte le reazioni sono più significative degli atti che le provocano: e credo che questo sia il caso per quanto riguarda la sinistra (intesa in senso assai ampio) italiana.
Intanto credo che la polemica sia anche il riflesso di una posizione che vede nella “burocrazia di Bruxelles” qualcosa di esterno e astratto, e non un insieme di persone e organismi che noi eleggiamo e contribuiamo a fare eleggere. Sulla memoria è in corso da anni un percorso europeo, a volte ambiguo, a volte discutibile, spesso confuso, su cui, però, la sinistra italiana ed europea è stata il più delle volte assente e silente. E infatti anche questa risoluzione nasce altrove, nei partiti conservatori e moderati, se vogliamo riassumere sinteticamente. In genere sono state associazioni, università, comuni e organismi di sinistra a utilizzare – avendo progetti migliori – i tantissimi fondi che su questi temi (compreso l’affrontare, separatamente o insieme, ma messi insieme nella indicazione dei temi, comunismo e nazismo) sono stati distribuiti negli ultimi anni. Sulla necessità di costruire, o di provare a costruire, una memoria europea, sia pure conflittuale ma che tenda a superare i conflitti, e che soprattutto si fondi sui valori democratici e condanni i disvalori totalitari, si sta lavorando da anni e anche chi oggi grida alla “lesa storia” ne ha spesso, utilmente ed efficacemente, approfittato dando un ottimo contributo.
Perché allora questa grande polemica? Perché si sostiene – cosa che non si ritrova in nessuna riga della lunga risoluzione – che si è voluto “equiparare nazismo e comunismo”? L’unico momento storico preciso su cui la risoluzione si misura è – ed è stata questa la pietra dello scandalo – il patto russo tedesco (Molotov-von Ribbentrop) del 23 agosto 1939. Di cui si dice che “ha spianato la strada allo scoppio della seconda guerra mondiale”. Certamente un po’ generico e forse superficiale, ma certo non per questo lontano dalla verità storica. Forse un altro passaggio – la guerra è “iniziata come conseguenza immediata del famigerato trattato” – è ancora più superficiale e riduttivo nel riassumere le cause della guerra, ma, di nuovo, non è così lontano dalla realtà storica. Che vecchi comunisti si sentano in dovere di scomunicare la risoluzione come oltraggio alla storia perché sono ancora convinti che quello di Stalin fu un atto necessario, furbo, utile o in qualsiasi altro modo vogliano giudicarlo, non mi scandalizza; mi lascia perplesso che l’occupazione della Polonia da parte dell’Urss non faccia ancora parte della “memoria collettiva” della sinistra italiana, né la conquista dei paesi baltici o il tentativo di conquistare con una guerra di aggressione la Finlandia: tutte cose che si tendono, volutamente, a dimenticare, per ricordare solo la fase successiva, quella dell’aggressione subita e della tragedia collettiva del popolo russo.
Il cuore del Patto era proprio la conquista della Polonia e dei Baltici, non si trattava di una questione transitoria e secondaria. Tanto è vero che quando, nel corso della guerra, i sovietici si trovarono di fronte alla Vistola e i partigiani polacchi dettero avvio all’insurrezione di Varsavia pensando a un loro rapido e immediato intervento, questo non vi fu, perché l’obiettivo di Stalin era di liberare la Polonia ma solo dopo avere distrutto l’unica vera alternativa esistente al potere comunista, e cioè l’Armia Krajowa, che aspettò fosse Hitler a distruggere prima di lasciare attraversare la Vistola dalle proprie truppe.
Che si sia parlato tanto, e da parte di quasi tutti, in questi giorni, di “equiparazione” tra nazismo e comunismo dovrebbe lasciare trasecolato ogni storico che è attento alle fonti e cerca di leggerle con particolare attenzione. Torno a chiedere: ma dove mai, nel testo, si parla di equiparazione? In realtà quello che si è voluto rifiutare da parte di molti non è una inesistente “equiparazione”, ma la possibilità stessa di una “comparazione”, di un “confronto” storico tra questi due totalitarismi (chiamiamoli pure in un altro modo se non ci piace questo termine, che è ormai, però, è decisamente generico e non più connotato dalle polemiche storiografiche degli anni ’50-’70). Mi ero illuso, ventidue anni fa, quando organizzai a Siena un convegno internazionale su “Fascismo, nazismo e comunismo: totalitarismi a confronto”, che finalmente questa possibilità di comparazione si fosse aperta e accolta in Italia. Sul piano degli studi qualche cosa si è fatta (anche se i nostri storici assai poco rispetto a quelli tedeschi, francesi, inglesi), ma quello che non si vuole accettare è che la “comparazione” diventi elemento di discussione pubblica, di public history, di comunicazione e trasmissione più ampia, di divulgazione.
Al fondo mi sembra sia ancora presente, in troppa parte della sinistra italiana – e, per quello che vale, le reazioni che sono apparse sui social media condannano forse ancora più radicalmente la risoluzione – l’idea che il comunismo, anche se ha commesso dei crimini (che si condannano, ovviamente), ha una giustificazione storica, morale e politica, che il nazismo invece non ha e non potrà mai avere. Proprio per questo, quindi, più per motivi morali e politici che storici, nazismo e comunismo è bene non compararli: altrimenti ci dimentichiamo (l’hanno scritto in centinaia in questi giorni) dei venti milioni di morti di russi. Come se il ricordo di quei milioni morti nel Gulag – per qualche buontempone una realtà identica a quella delle fabbriche durante la rivoluzione industriale – si dovesse un po’ ammorbidire o minimizzare per via dei venti milioni morti nella guerra.
La sinistra italiana, se non ricordo male, quando ci fu la polemica tra Mandela e Tutu da una parte, e Thabo Mbeki dall’altra, che non voleva fosse pubblicato il rapporto finale della Commissione per la verità e la riconciliazione perché includeva anche i crimini commessi dai combattenti dell’African National Congress (con la motivazione che non si potevano “equiparare” le loro azioni esagerate ed eccessive ai crimini commessi dai difensori dell’apartheid), si schierò con quest’ultimo, perché era disdicevole parlare dei partigiani e dei combattenti per la libertà come autori di crimini.