Un’intervista a cura di Massimiliano Tarantino, Direttore di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli


Hadia Ibrahim Khel è nata 22 anni fa in un campo rifugiati in Afghanistan. Come milioni di altri ragazzi e ragazze del suo Paese, non ha mai vissuto sotto il dominio dei Talebani, almeno fino al 15 agosto 2021, quando Kabul è di nuovo caduta nelle loro mani. Nei primi 20 anni della sua vita ha avuto la possibilità di andare a scuola come gran parte delle sue connazionali, fino all’iscrizione all’Università di Kabul, dove ha frequentato Management Information Systems (MIS) ed Economia. Da più di un anno, questo diritto è negato a lei e a milioni di ragazze e bambine in tutto l’Afghanistan. Per questo motivo Hadia Ibrahim Khel si batte per i diritti delle donne nel suo Paese e non solo, impegno che l’ha portata a essere ambasciatrice di pace nel mondo. 

Hadia, cos’è oggi l’Afghanistan?
In questo momento il mio Paese è uno Stato ferito e fallito, governato da un’organizzazione terroristica. Un Paese abbandonato dai politici del resto del mondo, ma che nonostante le difficoltà enormi che attraversa ha ancora un popolo che nutre grande fiducia per il futuro. Che lotta per un avvenire migliore, giorni più felici e soprattutto per riguadagnare il diritto alla sua educazione. Un popolo che non rinuncia a battersi per la propria libertà.

L’Occidente ha dimenticato l’Afghanistan?
Non è tanto una questione di dimenticare, quanto di ignorare. Tutti vedono cosa sta accadendo, ma hanno deciso in modo deliberato di non considerarlo. Eppure negli ultimi due decenni si è creata una forte relazione tra numerosi Paesi occidentali e il mio, con ambasciate aperte nella capitali e relazioni che andavano dal commercio ai viaggi. In realtà questa relazione prosegue, solo che ora sono cambiati gli interlocutori con cui trattare i propri affari. 

Cosa sono i Talebani?
I Talebani devono il loro nome a una parola araba che significa “studenti”. Quello che studiano è l’estremismo religioso che gli ha permesso di arrivare a controllare lo Stato. Erano poco più di un centinaio quando hanno creato il loro primo nucleo, ma si sono diffusi a macchia d’olio grazie all’ignoranza e alla disperazione di tante persone. Molti si sono uniti a loro in opposizione al governo democratico dell’Afghanistan. Ed è sicuro che abbiano ricevuto fondi e armamenti anche dall’estero, da Paesi e organizzazioni che avevano tutto l’interesse a destabilizzare l’Afghanistan. 

Cosa è cambiato dopo il 15 agosto 2021?
Sono cresciuta senza avere mai a che fare direttamente con i Talebani. Erano presenti nei racconti degli adulti, dei miei genitori o di amici con più anni di me. Li conoscevo tramite i libri e i film. Ma il mio impegno come attivista è iniziato prima dell’agosto 2021. Anche se non avevo direttamente a che fare con loro, la mia vita è stata comunque influenzata dalle loro azioni durante il passato regime. Ma è quando hanno preso il potere che io e i miei coetanei abbiamo perso tutto. Abbiamo perso la libertà, ossia la possibilità di scegliere. La possibilità di decidere se studiare o meno, se uscire o no di casa, se e come essere un membro attivo della società. Mi hanno portato via il mio denaro e la mia indipendenza economica. Mi hanno tolto la voce.

In Occidente, per un breve attimo, abbiamo creduto alle rassicurazioni dei Talebani sui diritti delle donne. Voi gli avete mai creduto?
No, sapevamo quali erano le loro intenzioni. E credo che anche i governi occidentali lo sapessero, già durante i colloqui di Doha tra amministrazione statunitense e rappresentanti dei Talebani. I Talebani si sono presentati con un programma molto simile a quello degli anni Novanta: lotta all’educazione, negazione dei diritti delle donne, censura di ogni forma di musica e di divertimento. L’unica apertura era una maggiore tolleranza verso i media. E forse questo ha ingannato l’Occidente. 

Cosa può contribuire a cambiare la situazione in Afghanistan?
Molti pensano che serva di nuovo un intervento armato per rovesciare i Talebani. Ma questo non è più il XVI esimo secolo. Se vogliamo una pace davvero duratura nel mio Paese, questa va fondata sul diritto all’istruzione e sulla formazione. L’accesso al sapere e alla conoscenza è la cosa che i Talebani temono di più in assoluto. Per questo la possibilità di studiare è sotto attacco: per disarmare le persone e renderle degli automi che non pensano.

Vedi delle similitudini tra la situazione nel tuo Paese e ciò che sta accadendo in Iran nelle ultime settimane?
Le violazioni dei diritti umani sono come un’epidemia. Non si fermano in una sola area del Pianeta, ma si propagano se non vengono fermate. Così, come in Afghanistan abbiamo i Talebani a violare i diritti umani, in Iran ci pensa la “polizia morale”. Nel mio Paese puoi essere picchiata e anche uccisa per una ciocca di capelli non coperta come si deve. Lo stesso succede in Iran. Entrambi i Paesi hanno assassini, ladri e stupratori che circolano liberamente per strada. Si indignano meno per il crimine che per i nostri capelli. 

Masha Amini, la ragazza iraniana la cui morte ha scatenato le proteste in Iran, può essere un simbolo della lotta per i diritti umani?
Masha Amini aveva 22 anni, la mia stessa età. E questo rende la sua morte ancora più traumatizzante. Una ragazza giovane come me, che ha aveva ancora così tanto da fare e da vedere nella sua vita, uccisa per non aver indossato il velo secondo la legge. Un motivo così stupido che non poteva che scuotere il mondo. Ora tutti la conoscono. 

Noi, come Occidente e come comunità internazionale, cosa possiamo fare?
Potete fare tantissimo. In Afghanistan milioni di persone soffrono la fame o vivono con meno di un dollaro al giorno. Sostenere le Ong che direttamente nel Paese assistono queste persone è fondamentale. Un’altra cosa è informarsi e diffondere la verità su ciò che succede nel mio Paese. Da questo punto di vista, ognuno di noi può dare un contributo enorme. Anche facendo pressione sul proprio governo perché non faccia più affari con quello dell’Afghanistan. 

Cosa vedi nel tuo futuro e in quello dell’Afghanistan?
Prima ancora del futuro, vedo oggi i miei coetanei della generazione Z e la loro magnifica follia mentre combattono per il diritto di studiare. Vedo con quanta passione difendono il loro diritto di andare a scuola. Negli Stati Uniti e in tanti altri Paesi fanno film e commedie su “quanto sia tremendo e stressante andare a scuola”, in Afghanistan ragazzi e ragazze sono disposti a farsi uccidere per poter avere di nuovo quello stress nelle loro vite. Questo mi riempie di fiducia. Persone disposte a sacrificare ogni cosa per il loro diritto di ricevere un’educazione. Questo i Talebani lo sanno e ne hanno una paura terribile. E questo mi dà fiducia. E speranza. Una speranza che dalla capitale Kabul si sta diffondendo in tutto l’Afghanistan, anche nel più remoto dei paesi.

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