Direttore dell'Osservatorio Sociale Mitteleuropeo (OSME)

La vicenda di Klubrádió, l’emittente radiofonica “dissidente” costretta dal governo Orbán a cessare le trasmissioni via etere, è una nuova pagina nera firmata dal sistema al potere in Ungheria in termini di violazioni della libertà di stampa. Ufficialmente il provvedimento è stato preso perché, secondo le autorità competenti, Klubrádió non aveva comunicato per tempo alle medesime quanta musica ungherese fosse stata inserita nelle sue trasmissioni. Si tratta di una regola alla quale tutte le stazioni radiofoniche devono attenersi sulla base delle norme vigenti in materia nel Paese. L’incongruenza in questo caso è che, secondo quanto ci è dato di apprendere, tale infrazione è stata commessa anche da altre radio che, però, hanno evitato la sanzione in quanto ormai in linea con il potere. Ora, le circostanze appena descritte chiamano in causa non solo problemi legati alla libertà di stampa ma anche condizionamenti nello svolgimento dell’attività giudiziaria non essendo stato, Klubrádió, l’unico soggetto radiofonico inadempiente.

Quello del mancato rispetto delle disposizioni esistenti in ambito mediatico non è che un pretesto: stiamo infatti scrivendo di quella che è considerata l’unica radio ungherese indipendente, un riferimento per quanti, nel Paese, non si collocano entro l’orizzonte politico descritto dal premier. Un’emittente critica verso il potere, tanto che già nel 2012 aveva rischiato di chiudere per poi salvarsi l’anno dopo, ma per il sistema la resa dei conti finale era solo rimandata. Questione di tempo. Ormai Klubrádió ha cessato di trasmettere sulla frequenza analogica di 92.9 MHz ma si è spostata sul web scegliendo per la sua ripartenza l’Inno alla gioia con un chiaro riferimento ai valori europei di democrazia e rispetto dei diritti fondamentali. András Arató, proprietario e direttore della radio, assicura ai suoi ascoltatori di voler portare il caso dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea e spera nella caduta del “regime”, nella conseguente approvazione di “leggi sui media più equi” e nell’insediamento di dirigenti “meno farisei”.

Come già precisato, la vicenda di Klubrádió è l’ultimo di una serie di episodi che ha già fatto vittime illustri, come lo storico quotidiano Népszabadság, scomparso dalle edicole e dal web, da un giorno all’altro, nell’autunno del 2016. Né va dimenticato il licenziamento, negli ultimi mesi dell’anno scorso, di Szabolcs Dull, allora direttore di index.hu, principale giornale online ungherese. Il clima in cui si sono verificati questi fatti è stato instaurato da un sistema che, dalla sua nascita, si è impegnato a esercitare un controllo sempre più diretto sulle diverse manifestazioni della vita pubblica a cominciare dai settori più strategici come quello dell’informazione.

L’asservimento dei vari organi di stampa e la neutralizzazione dei media non allineati è stato perseguito con lo strumento della legge sui media entrata in vigore nel 2012 e subito ribattezzata dai critici “legge bavaglio”. Un’espressione eloquente per descrivere la situazione in cui si trova il settore.

In questi anni i giornalisti non allineati hanno espresso la loro inquietudine a fronte delle manovre governative per silenziare le voci dissenzienti; manovre denunciate dall’opposizione politica e sociale che ha più volte manifestato nelle piazze contro questa politica antidemocratica. I pesanti colpi inflitti dal potere alla libertà di stampa sono ampiamente descritti e stigmatizzati dai dossier delle organizzazioni internazionali, attive su questo fronte, e da quelli della Commissione europea. Il problema figura fra le criticità che, nel 2018, hanno portato alla messa in moto dei meccanismi preliminari all’attivazione dell’Articolo 7 che ora, però, risultano un po’ bloccati con conseguente allungamento dei tempi per prendere una decisione sui casi rappresentati da Ungheria e Polonia.

La situazione è quindi critica in Ungheria, ma nel Paese qualcosa si muove: alla fine dell’anno scorso sei partiti dell’opposizione hanno raggiunto un accordo in funzione delle elezioni politiche che avranno luogo nella primavera dell’anno prossimo. Sul fronte della libertà di stampa e di espressione, poi, ci sono iniziative interessanti.

Di particolare rilievo è quella che fa capo a Nyomtass te is! (Stampa anche tu!) che data da qualche anno ed è apparsa ancora più motivata dopo la vicenda di Klubrádió. Si tratta di un foglio settimanale, formato A4, stampato in oltre cinquanta località del Paese, infilato nelle cassette della posta, lasciato nei luoghi pubblici, distribuito di mano in mano nelle strade, nelle piazze e nelle stazioni degli autobus. Il settimanale si può scaricare da Internet, stamparlo come invita a fare il nome dell’iniziativa, e distribuirlo. Circola nelle città ma l’obiettivo è cercare di diffonderlo nei piccoli villaggi dove prevale la propaganda asfissiante del governo che addormenta le coscienze. Ed è nelle piccole comunità che gli attivisti distribuiscono questo foglio preferibilmente nelle ore notturne, secondo quanto è dato sapere.

L’iniziativa ripropone la pratica dei samizdat e cerca di risvegliare le coscienze e veicolare un’informazione libera e veritiera; segno della presenza di una società civile in formazione, specie nelle città, che si attiva e si rende protagonista di un impegno volto a gettare i semi di un futuro cambiamento. Circa tre anni fa la scrittrice Zsófia Ban si esprimeva, in un’intervista, sulla necessità di creare un nuovo linguaggio per comunicare e diffondere valori da contrapporre al martellamento governativo e trovare nuovi canali informativi. In quella circostanza, la Ban aveva fatto riferimento all’eventualità di ricorrere ai samizdat, magari in mancanza di nuove piattaforme dalle quali far partire messaggi dissidenti. La scrittrice ritiene che i sistemi di una volta si possano riproporre in una forma aggiornata e che forse occorra tornare alle modalità della “guerriglia culturale”[1].

Qualcosa si muove anche in ambito partitico, come abbiamo visto. Il sistema lo sa e pensa a come neutralizzare tali tentativi in funzione del voto dell’anno prossimo. Alcuni osservatori sostengono che il governo è impensierito e che si sente meno sicuro di prima. Vedremo.


Si chiama Nyomtass Te Is, che vuol dire ‘Stampalo’ e ha riesumato l’antica pratica dei samizdat, le pubblicazioni illegali che in Unione Sovietica e non solo sfidarono per anni la censura del regime. Il riferimento non è ironico, né esagerato. «Nelle piccole comunità i nostri lettori percepiscono davvero i nostri stampati come pubblicazioni illegali distribuite senza il consenso del potere» dichiara Janos Laszlo, uno dei coordinatori del movimento. Ogni settimana il team editoriale del movimento opera una selezione dei media indipendenti, in particolare da Internet a cui molti abitanti delle zone rurali non accedono, sulle questioni principali che riguardano il paese: povertà, corruzione, educazione, sistema sanitario. Le notizie vengono riscritte in articoli brevi e facilmente comprensibili. La pagina quattro di ogni numero è riservata alle notizie locali, che vengono suggerite da attivisti del luogo.

Il settimanale viene edito in formato A4, e stampato in cinquanta diverse località del paese, infilato nelle cassette della posta, distribuito a mano nelle strade e nelle stazioni degli autobus, lasciato nei luoghi pubblici. Chiunque, inoltre, può scaricare il settimanale da internet per distribuirlo nella propria comunità. Ogni settimana vengono stampate fra 5.000 e 10.000 copie. La distribuzione è cominciata nelle città rurali, ma l’obiettivo è di raggiungere anche i piccoli villaggi. Per ora, non ci sono stati aperti tentativi di disturbare o impedire questo lavoro ma nelle piccole comunità comunque gli attivisti distribuiscono il settimanale solo in segreto e di notte. Il movimento opera senza grandi donatori, ma si affida a un gran numero di volontari e a un gran numero di piccole donazioni.

Nyomtass te is!, or Print It Yourself! is a weekly newsletter edited by our activists. It can be downloaded, printed and distributed by anyone.

Our mission: deliver fact-based news withheld in pro-government media to small villages.

Besides democratic backsliding, media has undergone radical restructuring. Hungary has slipped to 87th place in RWB press freedom ranking (=Sierra Leone). 90 percent of outlets are in the hands of oligarchs allied with PM Viktor Orban, TV and radio channels, print and online papers.
Our answer is: distribute and deliver news and information through a samizdat–style movement in the digital age.

[1] Un’altra Ungheria, a cura di Massimo Congiu, Bologna, Bonomo Editore, 2018

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