Dalla crisi del sapere contemporaneo – ci ha detto a più riprese Salvatore Veca – si esce in due modi: 1) producendo proposte che siano fortemente in dialogo e in conflitto tra loro e 2) facendo propria la lezione di Isaiah Berlin, ossia: “pensare la società perfetta e pensarla con un catechismo dato, non aperto a contraddizioni, è stato ed è responsabile di un numero piuttosto impressionante di catastrofi morali e politiche”.

Il rinnovamento, dunque, non implica un nuovo principio a cui giurare fedeltà, nessun «buen retiro» dove trovare rifugio, nessun fascino della novità per la novità. La premessa è semmai la comune percezione dell’incompletezza di ciò che crediamo di comprendere della realtà allorché proviamo a esaminarla e insieme la convinzione che quella ricerca sarà fruttuosa se si mettono insieme competenze che attingono a discipline diverse tradizionalmente non in dialogo tra loro.

È un cambio di passo epistemologico che ha però un’immediata portata politica e incrocia il modo in cui Salvatore Veca fa ritorno agli scritti di Karl Marx. Rileggere Marx significa, prima di tutto, abbandonare una visione teleologica della storia. Significa

porre più attenzione allo spazio delle domande che alla fisionomia delle risposte, quando queste ultime, per un motivo o per l’altro, si siano rivelate insoddisfacenti. Marx ci ha insegnato dove guardare. Questo mi sembra senz’altro più importante di quanto Marx ha visto. Sta semplicemente a noi esercitare lo sguardo e mettere a fuoco, per prove ed errori, il nuovo.

Non ci sono «princìpi di fede», ma domande «eretiche» da rivolgere al tempo presente. Ci sono piste di ricerca alternative da seguire, per immettere «aria fresca». Ci sono voci eterogenee da sollecitare per favorire la costruzione di competenze e sensibilità.

Ben presto, per Salvatore, il tema diventa la giustizia, l’attenzione ai soggetti deboli, la ripresa della riflessione sulle sfere della libertà. Più estesamente, il tema non può che essere ripensare l’identità della sinistra. La sua in quegli anni è un’idea di sinistra molto lontana da quella che, a partire dalla metà degli anni Settanta, ha per esempio Mario Tronti, ma ciò non toglie che proprio quella riflessione avrà spazio sia nei seminari della Fondazione Feltrinelli nel 1976, sia negli “Opuscoli”, una collana di testi agili per la lettura per la quale esce nel 1977 L’autonomia del politico, un testo che accompagnerà la riflessione pubblica sulle identità della sinistra e che Salvatore Veca non mancherà di criticare civilmente e aspramente. Altro tratto caratteristico del suo profilo pubblico.

Un’idea di sinistra che ha al centro molte cose, quella che Salvatore Veca ha in mente: un nuovo scaffale di letture; parole chiave; un setting profondamente rinnovato e inquieto di preoccupazioni che, a sinistra, gli sembrano spesso trascurate.

Forse, il “messaggio nella bottiglia” è dato dall’immagine che Salvatore Veca sceglie di mettere in copertina di Una filosofia pubblica, il primo libro che pubblica con Feltrinelli. Quell’immagine propone un particolare del frontespizio dell’Encyclopédie (altro cantiere intellettuale, ma anche umano a cui era particolarmente legato) volto a raffigurare l’inventario delle arti meccaniche e liberali. Salvatore non chiede di riprodurre l’intera immagine, ma sceglie un particolare: la parte bassa di quella tavola e sottolinea la nobiltà dello sforzo e dell’ingegno delle arti meccaniche.

Quel taglio dell’immagine, scelto intenzionalmente da lui, è un autoritratto e, forse, anche un manifesto: dice che sono le pratiche a essere indispensabili e centrali per «fare». Il libro, del resto, esce nei giorni in cui il centenario della strage di Haymarket a Chicago (1° maggio 1886) mette al centro un rinnovamento radicale del Primo maggio come Festa dei lavoratori non tanto in relazione alla memoria, ma al tema della «trasformazione contemporanea del lavoro».

Quell’immagine fa suo il messaggio che Jean-Baptiste d’Alembert svolge nel Discorso preliminare: per poter fare cose, occorre riconoscere la missione dei mestieri. I mestieri, le pratiche artigianali e più genericamente il «saper fare», come dimensione dell’attività dell’individuo a lungo negletta o confinata ai margini dei luminosi spazi in cui dominava il sapere contemplativo.

Per questo per Veca parlare di ragione non era un modo per ingaggiare una dotta querelle tra eruditi, ma un modo per rimboccarsi le maniche chiamando a raccolta esperienze e conoscenze, riconoscendo a tutte le diverse competenze – ovvero alle persone – pari dignità, senza dimenticare nessuno. «Tutte e tutti». Per ripetere un’altra espressione cara a Salvatore.

È interessante dunque che la questione della ragione torni nell’introduzione di uno dei suoi ultimi libri, Qualcosa di sinistra. Perché ragionare, lo dicono le parole di Salvatore meglio delle nostre, è un modo per mettere un punto di domanda laddove prova a mordere la tirannia del dogma.

È un modo per riaprire la strada del progresso e dell’emancipazione dove il presente minaccia di chiudersi sul passato:

L’idea stessa di “dire qualcosa di sinistra” – scrive – “sembra oggi fatua e grottesca. E molti di coloro che hanno avuto a cuore un grappolo di valori, di speranze e di ideali di una sinistra plurale in Europa e nel mondo sembrano colpiti da una sorta di afasia depressiva o, più semplicemente, sono inchiodati in una situazione da “terra desolata”, in cui si dissolvono e perdono forza le loro ragioni e motivazioni per credere e per agire nelle circostanze del mutamento e del grande disordine mondiale. Proprio per questo, mi propongo qui di abbozzare alcuni tratti distintivi di una prospettiva politica progressista per una sinistra europea da ventunesimo secolo, come mi piace dire. Per perseguire lo scopo principale, propongo una gamma di temi su cui ragionare insieme nei tempi difficili del declino e del collasso delle agenzie politiche, dei movimenti e dei partiti eredi della tradizione della sinistra in Europa, e in giro per il mondo. Ragionare insieme sembra a me cruciale in tempi come quelli che ci sono contemporanei.

 

Ragionare non è twittare compulsivamente. Ragionare con altre e con altri vuol dire semplicemente cercare di ricucire e ridisegnare con lo strumento delle ragioni, degli argomenti e del pensiero critico una visione dei fini che valgono la pena di essere perseguiti, se non vogliamo rinunciare alla voglia, alla passione e al desiderio di disegnare, e non di subire, un futuro più degno di lode. Un futuro in cui possiamo riconoscere e far fiorire, in circostanze così drasticamente mutate, l’antico “sogno di una cosa”, il sogno e l’emozione di una emancipazione per uomini e donne nel tempo. Il sogno e l’emozione dello sviluppo umano come libertà delle persone. Non più schiave, né suddite di poteri dai molti volti, arbitrari e dispotici, che ledono e negano l’elementare dignità di ciascuno, chiunque sia e ovunque sia”.


Questo testo rielabora parte della premessa di David Bidussa al libro Ragione plurale, (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli).


Consigli di lettura

I Quaderni di Salvatore Veca sono appunti di viaggio. Testi brevi che hanno accompagnato e scandito la riflessione di Salvatore Veca, note di lavoro che hanno avuto il merito di porre problemi e aprire una riflessione pubblica.

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