L’immigrazione apre uno spazio di contestazione attorno al significato di cittadinanza. I movimenti sociali che promuovono i diritti dei migranti si mobilitano da una posizione di svantaggio rispetto agli attori che, al contrario, ne desiderano un restringimento. Questo è dovuto a ragioni strutturali: chi persegue il cambiamento sociale gode di risorse e opportunità più scarse rispetto a chi vi si oppone. I migranti hanno inoltre una condizione particolarmente fragile, poiché il centro della controversia è la loro stessa legittimità come interlocutori. Questo rende l’immigrazione un campo di battaglia politica sui generis.
In molti paesi occidentali i nuovi arrivati non godono ad esempio del diritto di voto. Questo ne limita la leva politica rispetto a chi governa. A fronte di un’opinione pubblica scettica, sono pochi i politici che mettono a rischio il proprio consenso per favorire gruppi da cui non riceveranno invece alcun sostegno elettorale. I partiti della sinistra tradizionale, in particolare, sono spesso messi “spalle al muro” dai loro avversari della destra. Mentre quest’ultima si muove agilmente nella sua opposizione all’immigrazione, la sinistra si trova di fronte alla scomoda scelta d’inseguire i suoi rivali sul loro stesso terreno o esprimere invece una posizione solidale – pena tuttavia una possibile erosione dei consensi.
Alla luce di questa condizione, come può sperare nella propria emancipazione chi si trova, suo malgrado, ai margini della sfera pubblica? Come recentemente osservato dai ricercatori del Centre on Social Movement Studies della Scuola Normale Superiore, un movimento di solidarietà che faccia già parte della stessa sfera pubblica e che sia diffuso sui territori è un alleato imprescindibile per i migranti.
Si prenda il caso degli stati del Sud Europa: hanno fatto esperienza dell’immigrazione in anni relativamente recenti e sono rimasti spesso impreparati di fronte ai nuovi fenomeni migratori. Ne è conseguito un protagonismo da parte degli attori locali per sopperire a tale mancanza: non solo le istituzioni, ma soprattutto la società civile, che si è attivata nel fornire assistenza materiale, legale e medica di base – sovente nel silenzio di una fatica quotidiana. Questo impegno genera una conoscenza approfondita delle società locali, che può essere efficacemente tradotto in strumento di pressione politica: amministrare un territorio richiede risorse conoscitive che le istituzioni possono difficilmente reperire senza interpellare chi su quel territorio lavora da sempre.
Benché la narrazione dei politici contribuisca a costruire l’ostilità verso l’immigrazione, il risentimento monta più facilmente in situazioni di affanno e sfarinamento sociale, specialmente nei contesti periferici. Le politiche urbane possono invertire queste tendenze, riducendo tensioni e diseguaglianze. Chiedere quindi che i sistemi di welfare locali vengano espansi, partecipati e ben utilizzati è indispensabile affinché il razzismo e la segregazione non governino più i rapporti umani nelle città.
Raffaele Bazurli
Scuola Normale Superiore