Editorialista, Corriere della sera

La vittoria del partito dei gemelli Kaczynski apre a nuovi screzi con Mosca

 

Schlussbericht Finanzmonitor 2011

La vittoria nelle ultime elezioni polacche di Diritto e Giustizia, il partito dei gemelli Kaczynski, piacerà a tutti gli esponenti del nuovo nazional-provincialismo europeo, da Nigel Farage in Gran Bretagna a Marine Le Pen in Francia. Il risultato del voto e il possibile ritorno al potere di Jaroslaw, il gemello sopravvissuto dopo il disastro di Smolensk, sembrano dimostrare che nazionalismo, populismo ed euroscetticismo sono ormai i soli caratteri veramente comuni della grande Europa da Dover al Pireo. Eppure vi sono differenze di cui occorre tenere conto.

In Polonia, e per certi aspetti in Ungheria, esistono gruppi sociali che non hanno mai smesso di considerarsi vittime di una storia ingiusta. La Polonia non ha mai dimenticato le grandi spartizioni della seconda metà del Settecento e le sanguinose insurrezioni contro la Russia nell’Ottocento. Quando le circostanze le restituiscono la libertà, come è accaduto dopo la Grande guerra e dopo fine della Guerra fredda, ha quasi sempre ceduto alla tentazione di mirare alla riconquista del potere perduto nelle regioni (l’Ucraina, la Galizia, il Baltico) che appartenevano alla sua area d’influenza. Il caso dell’Ungheria è diverso, ma anch’essa ha un passato regale che condiziona i suoi istinti e le sue reazioni. Persino qualche leader comunista, a Budapest, ricordava privatamente le umilianti mutilazioni territoriali del Trattato di San Germano, nel 1919, quando una parte considerevole dei domini ungheresi divenne cecoslovacca, jugoslava, romena.

Nessuno di questi Stati vittime è privo di colpe e di errori. Anche Polonia e Ungheria sono state in molte circostanze aggressive e tracotanti. Anche la Polonia ha una sua parte di responsabilità nelle convulse trattative che precedettero la dichiarazione di guerra della Germania hitleriana il 1° settembre 1939. Ma i maestri delle scuole polacche, in particolare, non hanno mai smesso di ricordare agli alunni che la loro patria nel corso della storia è stata tradita, umiliata, crocifissa. Il clero cattolico ha recitato la sua parte facendo della Polonia il baluardo della fede di Roma contro quella di Bisanzio. Quando diceva che l’Europa, dopo la morte del comunismo, avrebbe respirato con i due polmoni dell’Ovest e dell’Est, Giovanni Paolo II lasciava comprendere che era giunto il momento in cui i cristiani del grande scisma si sarebbero infine riunificati sotto la guida di un prete polacco.

Questa storia, che i polacchi non smettono di raccontare a se stessi da qualche secolo, ha influito sulle loro scelte politiche. Quando hanno chiesto di aderire all’Unione Europea, non erano probabilmente maggioranza quelli che aspiravano a costruire con altri europei uno Stato federale nello spirito di Spinelli, Monet, De Gasperi, Adenauer. Chiedevano di entrare in un club dove avrebbero trovato, grazie al grande alleato americano, la possibilità di riemergere, magari saldando qualche vecchio conto, come potenza regionale. Per la Polonia, come per altri Paesi dell’Europa centro-orientale, l’alleanza americana conta molto più di Bruxelles e Strasburgo. Sostenuti da Washington, questi Paesi, con l’eccezione della Ungheria di Viktor Orbán, hanno cercato d’indurre l’Ue a fare una politica antirussa; e vi sono in parte riusciti .

Prepariamoci quindi, dopo il successo elettorale di Beata Szydlo e, soprattutto Jaroslaw Kaczynski, a nuovi screzi con Mosca. Ma non dimentichiamo che questi inconvenienti sono il risultato di un allargamento prematuro e frettoloso dell’Unione Europea. Quando si cominciò a parlare delle politiche che l’Ue avrebbe dovuto fare per favorire il ritorno alla democrazia degli Stati post sovietici, Jacques Delors, allora presidente della Commissione di Bruxelles, propose a François Mitterrand la creazione di due organizzazioni di cui la prima avrebbe aspirato a una Federazione e la seconda avrebbe formato con i vecchi membri una grande zona di libero scambio. Finché non saremo riusciti a stabilire una distinzione formale fra chi vuole l’Europa per l’Europa e chi la vuole per altri motivi, l’Ue sarà il peggiore dei condomini: quello in cui una minoranza intralcia il percorso della maggioranza.

Sergio Romano
Editorialista, Corriere della sera

*L’Articolo è stato pubblicato dal Corriere della sera il 27 ottobre 2015

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