Nel 2018 la Cina ha celebrato un anniversario molto significativo, legato ai 40 anni dall’avvio delle riforme strutturali di Deng Xiaoping che hanno garantito uno sviluppo economico, industriale, sociale e istituzionale della Cina inaspettato per la sua ampiezza e profondità. Seguendo il modello della “economia socialista con caratteristiche cinesi”, lo Stato ha mantenuto una forte presenza in ambito economico, con un’apertura al mercato progressiva e controllata. Si sono poste le basi per consentire alla Cina di riappropriarsi del ruolo centrale che rivestiva nei secoli passati, in termini di capacità innovativa, superiorità̀ militare ed economica, oltre che ricchezza nelle arti e nella produzione culturale.
Nei primi decenni di riforma la crescita economica è stata considerata l’obiettivo prioritario da perseguire, dando centralità allo sviluppo dell’industria manifatturiera in chiave capitalistica ma con il costante controllo dello stato (“non importa se un gatto è nero o bianco; finché catturerà i topi, sarà un buon gatto” come indicava la politica di Deng Xiaoping). Obiettivi quali la lotta alla povertà, il rispetto dell’ambiente, la promozione di una migliore qualità della vita sono stati solo nei decenni più recenti riconosciuti come fondamentali. Crescendo progressivamente il benessere della popolazione, sono aumentate le domande di accesso all’istruzione, alla mobilità, al tempo libero, alla qualità del cibo e dell’ambiente (acqua, terra, aria) e, soprattutto, alla salute.
Lo scambio complesso e dinamico tra consenso e legittimazione politica, tra la classe dirigente e la nuova borghesia, ha nei decenni funzionato e ha reso sostenibile quel vorticoso cambiamento strutturale della società cinese che è stato trainato da quattro decadi di continua crescita economica. In tale prospettiva, lo shock dovuto al Covid ad inizio 2020 è stato indubbiamente un colpo molto duro per le istituzioni del “capitalismo dalle caratteristiche cinesi”.
In primo luogo, perché ha messo in discussione, per alcuni mesi, la capacità dello Stato e del Partito di garantire sicurezza e salute ai milioni di cinesi delle classi medie che hanno offerto per decenni il proprio consenso al processo di continuo cambiamento strutturale della società cinese. Del resto, esattamente nella stessa prospettiva, l’apparente successo nella gestione dei successivi sviluppi della pandemia, sia sul fronte sanitario che economico, è stata fonte di un orgoglio nazionale che ha ricompattato il consenso nei confronti della leadership politica.
Un percorso di crescita sostenibile: il New Normal di Xi Jinping soppianta il Turbocapitalismo
L’avvento di Xi Jinping, nel 2013 in un contesto di gravi ferite provocate all’ambiente e di crescente domanda di benessere diffuso, ha assicurato alla Cina il lancio di un nuovo set di politiche industriali, volte a stimolare cambiamenti strutturali dell’industria, delle istituzioni e della società, alla ricerca di una nuova dimensione del percorso di crescita, sempre virtuoso ma più orientato alla sostenibilità ed alla qualità (New Normal).
Le linee principali di questa nuova fase dell’ascesa cinese sono strettamente legate alla necessità di una crescita a tassi più contenuti, oltre che compatibili con la protezione dell’ambiente, con una maggiore stabilità sociale e benessere della popolazione, nonché con la riduzione delle disuguaglianze e dei divari ancora molto presenti in Cina a livello territoriale (aree rurali vs aree urbane, provincie industrialmente evolute vs provincie arretrate, classi sociali deboli vs classi connotate da ricchezza estrema). Al contempo, Xi Jinping ha iniziato a riconosce l’importanza di organizzare una base industriale più qualificata ed orientata alla qualità, focalizzata su industrie a più alto valore aggiunto, meno voraci di energia, e servizi avanzati.
Il 13° Piano quinquennale (2016-2020) ha tracciato le linee di azione del cambiamento atteso del sistema industriale e della base infrastrutturale del Paese, favorendo anche lo sviluppo sociale e il benessere della popolazione.
Tra le principali politiche sviluppate a partire da queste premesse e tese a favorire la transizione strutturale della Cina verso la piena modernità, vi è il piano Made in China 2025. Lanciato nel 2015, mira a guidare la trasformazione della Cina da produttore di beni di basso valore aggiunto in settori tradizionali, anche altamente inquinanti ed energivori, a ideatore e sviluppatore di beni e servizi ad alta intensità di innovazione e tecnologia.
La leadership della Cina si dovrebbe affermare in settori quali la robotica, la nuova information technology, la biotecnologia e le apparecchiature mediche, l’energia green.
Il Piano ha guidato e sta tuttora guidando la trasformazione radicale della base industriale, mediante sia la digitalizzazione delle imprese e delle catene del valore domestiche, sia la ristrutturazione della manifattura e la sua globalizzazione, sia la promozione del settore dei servizi. La guerra dei dazi e le tensioni diplomatiche con gli USA sono il segno evidente della efficacia di tale politica e delle ripercussioni internazionali della nuova supremazia cinese. Difatti, come risultato del massiccio sforzo finanziario ed organizzativo dello Stato, la Cina sta effettivamente conquistando un ruolo rilevante in termini di ricerca, sviluppo e capacità di innovazione, soprattutto in campo scientifico (dallo spazio, alla genomica, alla biologia, alla fisica) e nelle aree con chiara applicazione tecnologica (dalle telecomunicazioni, all’energia, alla salute). Il Covid-19 e le politiche di fronteggiamento del rischio di diffusione hanno consentito di testare e mostrare al mondo il livello di innovazione raggiunto dalla Cina in diversi ambiti.
La Cina Post Covid: il 14° piano quinquennale
Il 2021 segna l’inizio del 14° Piano quinquennale della Cina, in cui si gettano le basi per il passaggio da una società moderatamente prospera a un paese socialista moderno. I prossimi cinque anni costituiscono un periodo cruciale, in cui la Cina avrà l’opportunità di sperimentare e consolidare la “strategia della doppia circolazione”.
La Dual Circulation Strategy (DCS) indica da un lato la volontà di mantenere una leadership internazionale fondata su interscambio commerciale e flussi di investimento. Dall’altro lato, indentifica come leve della crescita economica e sociale cinese i consumi interni e la qualità delle produzioni cinesi.
Il piano della Cina post-pandemia ribadisce alcuni aspetti ormai consolidati nella politica economica cinese. Tra questi: un sentiero di crescita orientato alla qualità e sostenibilità (ambientale, economica, sociale), la necessità di raggiungere l’autarchia tecnologica nelle industrie strategiche (tra cui quelle dei semiconduttori), l’importanza della gestione dei rischi interni (si pensi alla fragilità del settore finanziario o di quello immobiliare) ed esterni (come la guerra dei dazi, il progressivo decoupling rispetto all’economia USA e la fragilità della globalizzazione). Cruciale per l’implementazione della DSC saranno le modifiche strutturali dal lato sia della domanda, sia dell’offerta.
Sul tema domanda aggregata, sarà fondamentale la capacità di stimolare i consumi. Questo non potrà prescindere da una crescita dei redditi, quindi trasferimenti di risorse alle famiglie, distribuzione più equa della ricchezza, salari maggiori per i lavoratori, lotta alle disuguaglianze interne.
Sarà inoltre necessario indurre nel lungo termine una maggiore propensione al consumo, modificando le abitudini radicate dei cinesi e ampliando il contributo delle aree rurali del Paese.
D’altro canto, sul lato dell’offerta aggregata, occorrono ulteriori stimoli ad una produzione di qualità e tecnologicamente all’avanguardia (per bilanciare anche la crescita inevitabile dei salari e dei costi di produzione), nonché ulteriori passi in avanti in termini di riforme delle imprese statali, stimolo alla concorrenza interna e contrasto degli oligopoli locali.
In conclusione, la sfida che attende la Cina di Xi Jinping nei prossimi anni verso l’“anniversario” dei 100 anni dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese riguarda la sostenibilità del suo sentiero di crescita ed il tramonto definitivo del Turbocapitalismo. Oltre alla sostenibilità economica, quella ambientale e quella sociale emergono come un imperativo. Vi è l’evidente imprescindibilità di contrastare l’inquinamento e ridurre (tendenzialmente eliminare) le disparità sociali e territoriali in ambiti fondamentali quali l’accesso all’istruzione, alla salute, all’assistenza ai bambini e agli anziani.
Fonti
- Cesif (2021), Rapporto Annuale Fondazione Italia Cina 2021.
- Francesca Spigarelli (2018), Politica industriale e cambiamenti strutturali: la via cinese alla crescita, L’Industria, n. 4
- Marco R. Di Tommaso, Francesca Spigarelli, Elisa Barbieri e Lauretta Rubini (2020), The Globalization of China’s Health Industry. Industrial Policies, International Networks and Company Choices, Palgrave.