Le nette sconfitte di Marine Le Pen in Francia e Geert Wilders nei Paesi Bassi, così come la vittoria di Pirro della prima ministra britannica Theresa May, ex “remainer” convertitasi alla fede della “Hard Brexit”, hanno indotto diversi osservatori a decretare il riflusso dell’euroscetticismo. Ma è davvero così?
Ci sono, in effetti, altri segnali che sembrano corroborare un’inversione di tendenza. In Finlandia, ad esempio, diversi deputati del partito eurofobico di destra “Veri Finlandesi” hanno abbandonato il gruppo pochi giorni fa per consentire la sopravvivenza del governo del moderato Juha Sipilä. Nel contesto italiano, la scelta di Beppe Grillo – poi naufragata maldestramente – di tagliare i ponti con Nigel Farage a Bruxelles, dà conto di uno spostamento del dibattito: un dato non indifferente se consideriamo la tradizione del M5S di costruire il proprio discorso individuando la posizione più diffusa su ciascuna tematica.
A ben vedere infatti, un recente sondaggio Deloitte/SWG rivela che la maggioranza degli europei – italiani compresi – ritiene indispensabile la cooperazione tra Paesi UE per competere nel mondo. Tuttavia, i tifosi “pro” o “anti” Europa sono in minoranza rispetto a coloro che mantengono una posizione di sostanziale neutralità. Questo non vuol dire, come dimostra ancora il sondaggio, che non serpeggi una sfiducia maggioritaria nei confronti dell’UE e le politiche di austerità: piuttosto, sembrerebbe esistere un euroscetticismo latente, ma di bassa intensità.
In questo senso, è bene inquadrare l’attuale congiuntura continentale. Per quanto l’Unione Europea e gli Stati che ne sostengono il disegno politico non siano più in grado di proiettare un progetto di società seducente, riescono ancora a neutralizzare una serie di domande sociali e ad impedire la loro coagulazione in un progetto che minacci l’ordine costituito. La prolungata crisi politica ed economica configura una perdita di potere egemonico, ma non suppone un collasso istituzionale tout court. Crisi di autorità, ma non di Stato dunque. In Italia, le schermaglie tra Renzi e l’Europa sull’incremento del deficit di pochi punti percentuali vanno intese proprio come il tentativo di assorbire una contestazione alle istituzioni europee di ben più ampia portata.
Altri due fattori ostacolano l’euroscetticismo. Da una parte, il carattere sovranazionale dell’UE e la sua lontananza rispetto alla vita quotidiana della gente la mantiene al riparo da un’ulteriore virulentazione dell’indignazione. Dopo il disciplinamento della Grecia avvenuto nell’estate del 2015, sono poi mancati episodi altrettanto fragorosi. Si potrebbe quindi azzardare che esiste una difficoltà intrinseca all’euroscetticismo affinché questo si possa convertire nel punto di articolazione privilegiato di una messa in questione complessiva dello status quo. Da noi, la linea divisoria tra onesti e disonesti gode di un primato al momento incontestabile, mentre l’asse destra/sinistra – largamente rimaneggiato – ritiene comunque vigenza presso alcuni settori.
Dall’altra parte – e riprendendo quest’ultimo punto – è bene ricordare che i portabandiera della lotta anti-UE più visibili appartengono alla destra radicale. Ciò ha permesso dei riallineamenti favorevoli al campo avversario: di fronte a soggetti portatori di consegne considerate dai più come oscene, l’opzione moderata è riuscita ad ammantarsi di una posizione salvifica che détta contestualmente l’impossibilità di un fronte unico di tutti gli euroscettici. Non solo: tali soggetti politici fanno fatica a tracciare in maniera convincente un orizzonte alternativo di società. In Francia, il successo di Macron deve molto alla percezione di un filo che congiunge il regime di Vichy a Le Pen e all’approssimazione delle proposte programmatiche di quest’ultima.
In definitiva, è prevedibile che l’euroscetticismo continui ad esercitare un’influenza nel dibattito pubblico europeo. Tuttavia, le sue fortune sono legate alla capacità di dar vita a un discorso di società complessivo e persuasivo, prospettando un modello di integrazione europeo alternativo alla UE che restituisca sovranità lì dove la sua cessione sembra aver creato scompigli economici e deficit democratico, ma mantenendo una forte cooperazione su aree di interesse continentale ineludibili.
La charge, giornale satirico francese, N.20, 1870