Le proposte della sinistra francese sono di particolare importanza per la sinistra italiana. La Francia ha sempre rappresentato un laboratorio di innovazione per l’Italia e per la sua politica; dunque, capire i trend francesi ci può aiutare a interpretare i possibili sviluppi della politica italiana, anticipando i temi di discussione.
Melénchon è un attore politico particolarmente significativo. Milita dal 1976 nelle fila del Partito Socialista francese, da cui si separa nel 2008, a seguito del Congresso del Parti Socialiste, tenutosi a Reims nello stesso anno. Durante il Congresso l’ala sinistra dei socialisti (“Un monde d’avance”) propone una visione differente dell’integrazione europea, ma la mozione è sconfitta dalla grande maggioranza del partito. Jean-Luc Mélenchon organizza la scissione con Marc Dolez, considerando che “la maggioranza socialista rimane orientata a una visione benevola dell’Europa e del capitalismo, e che null’altro possa essere ottenuto rimanendo all’interno del Partito” (Bouillaud 2014: 166). In questo senso, le posizioni di Melénchon sono particolarmente significative nel panorama francese: il partito socialista francese ha iniziato a scontrarsi con le necessità poste dall’integrazione dei mercati a livello europeo e globale fin dai primi anni Ottanta, quando l’esperimento del keynesismo a un solo Stato promosso da Mitterrand fallisce e il governo deve implementare la famosa tournant de la rigueur. Una simile reazione tocca anche l’ultimo governo socialista, guidato da Hollande. In campagna elettorale, la sua opposizione all’austerity viene salutata come “Hollandismo rivoluzionario” da Emmanuel Todd; il programma elettorale contiene specificamente la promessa di rinegoziare il Fiscal Compact europeo. Tuttavia, una volta al potere, è costretto ad accettare il Fiscal Compact negoziato da Sarkozy. I vincoli internazionali pongono ipoteche su politiche progressiste in vari ambiti.
Il primo obiettivo di questa nota è capire quali sono le politiche progressiste di Melénchon in materia di welfare, ecologia, lavoro ed economia. Il secondo obiettivo è capire come il programma de La France Insoumise (“il programma” nel resto della nota) si pone in relazione con lo spazio sovranazionale creato da integrazione europea e globalizzazione, e come intenda superare gli ostacoli che il Parti Socialiste si è trovato davanti sia a inizio anni Ottanta che nel 2012.
Welfare
Il programma introduce il tema dell’emergenza sociale. Negli ultimi anni, l’emergenza sanitaria ed ecologica ha posto ipoteche sugli spazi di libertà individuale e collettiva, e il programma propone di riconoscere l’emergenza sociale, creando tutele sociali (aumento del salario minimo e del reddito minimo garantito per far fronte a questa emergenza, oltre a requisire i dividendi ottenuti dalle compagnie ‘CAC 40’ quotate in borsa. La misura chiave è il blocco dei prezzi dei beni di prima necessità.
Nell’ambito della crisi sanitaria, esacerbata dalla pandemia covid-19, il programma propone di ricostruire la sanità pubblica riaprendo servizi di emergenza e riducendo i tempi d’attesa; il programma contiene inoltre proposte per sradicare malattie croniche legate a inquinamento e malnutrizione. La misura chiave è il rimborso al 100% delle cure mediche prognosticate.
Per quanto riguarda la politica abitativa, il programma prevede la costruzione di 1 milione di unità abitative in un periodo di 5 anni; oltre a questo, richiede di aumentare la quota destinata al social housing nelle città al 30%, modificando i parametri della legge Solidarité and Renouvement Urbain. La misura chiave è costituita dalla proibizione di effettuare sfratti senza che siano contestualmente offerte soluzioni abitative pubbliche adeguate.
Rispetto alla lotta alla povertà, il programma propone, oltre al già menzionato tetto sul prezzo dei beni essenziali, una ristrutturazione dei mutui delle famiglie più indebitate. La misura chiave è la creazione di un reddito minimo universale (guarantee of autonomy) che garantisca 1,063 € mensili a ciascuna persona.
Quest’ultima misura è considerata di importanza primaria anche per le politiche giovanili, che per il resto mostrano un mix di misure di attivazione, quali la creazione di lavori ‘giovanili’ del periodo di cinque anni nel settore pubblico atte a combattere il fenomeno dei NEETs e la disoccupazione giovanile.
Ambiente
Il programma riconosce l’esistenza di una “deviazione” che necessita una correzione: il rapporto tra uomo e natura deve essere riscritto su base sostenibile.
La misura chiave è la definizione del principio costituzionale della “regola verde”: non si può prendere dalla natura più di quanto la natura non sia in grado di rigenerare. In tema di obiettivi climatici, il programma propone di ridurre del 65% le emissioni entro il 2030 (anziché che del già previsto 40%).
In tema di energie rinnovabili, il programma propone uno stop ai sussidi sui carburanti fossili, oltre all’uscita dal nucleare. I risparmi saranno realizzati con l’isolamento termico degli edifici residenziali (700,000 all’anno) e riducendo l’impatto climatico grazie alla previsione di nuovi criteri ecologici da rispettare nella costruzione degli edifici. Allo stesso tempo, il programma propone di usare fonti di energia differenti su base territoriale, in base alle condizioni geografiche, morfologiche e metereologiche. La misura chiave è la pianificazione della transizione verso l’uso esclusivo di energie rinnovabili.
In tema di protezione ambientale, il programma è incentrato sulla protezione dei beni comuni: aria, acqua, foresta, e protezione animale. Anche in questi casi si prevede l’applicazione di criteri rigidi in costituzione (la “regola blu” per garantire il diritto alle fonti idriche), o programmi di compensazione (per le vittime dell’inquinamento), fino alla regolazione sul taglio degli alberi (proibendo i “tagli netti”, fatta eccezione le circostanze giustificate da motivi di salute pubblica).
Lavoro
Sul tema lavoro, la misura cardine è il pieno impiego, che tratteremo nella sezione dedicata alla politica macroeconomica. In termini di misure di politica del lavoro, una misura chiave consiste nella creazione di una job guarantee, la quale prevede che lo stato funga da “datore di lavoro di ultima istanza”, fornendo a qualsiasi disoccupato di lungo termine offerte di lavoro su questioni di interesse generale (transizione ecologica, azione sociale, fra le altre). Allo stesso tempo, il programma propone di mettere un tetto al numero di lavoratori precari (del 10% sul totale del personale per quanto riguarda le PMI e del 5% per le grandi compagnie).
Una parte importante del programma riguarda la conciliazione vita-lavoro: anche in questo caso vengono proposte soluzioni strutturali e trasversali ad ogni settore, come ristabilire la settimana di 35 ore, abbassandola ulteriormente per i lavori usuranti; misura affine è il pensionamento a 60 anni dopo 40 anni di contributi. Come ulteriore complemento a questo disegno del “mondo del lavoro”, viene proposto il riconoscimento del burnout come malattia professionale. Inoltre, all’interno delle aziende si propone la creazione di un tetto ai salari più alti, secondo una regola per cui il differenziale tra il salario più basso e quello più alto non possa superare il rapporto di 1 a 20.
Questo punto del programma ricorda molto l’iniziativa promossa nel 2013 dai Giovani Socialisti in Svizzera, che chiedeva di imporre per legge un limite ai compensi dei dirigenti rispetto ai lavoratori meno pagati in azienda nel rapporto di 12 a 1. L’iniziativa fu oggetto di un referendum e venne bocciata in tutti i cantoni.
In termini di salari, la proposta avanzata nel programma è quella di alzare il salario minimo mensile a 1400 euro. Inoltre, in tema di disoccupazione, il programma propone di rigettare la riforma Macron e ristabilire il principio assicurativo, per cui l’assegno di disoccupazione è proporzionale all’ultima paga ricevuta.
È da segnalare il fatto che vi sono molte similarità fra le proposte contenute nel programma e la riforma del mercato del lavoro che è stata recentemente approvata in Spagna, la quale affronta in maniera organica e complementare molti di questi temi. Infatti, tale riforma prevede un disegno in controtendenza rispetto alle liberalizzazioni e l’introduzione di nuove rigidità o diritti (a seconda del punto di vista) riguardanti la regolazione dei rapporti di lavoro, con l’obiettivo di ridurre il lavoro temporaneo. La Spagna, peraltro, nel 2020 aveva già introdotto un reddito minimo vitale ed aumentato il salario minimo legale.
Macroeconomia
Il disegno complessivo propone di creare l’economia sociale e solidaristica, rafforzando il ruolo delle cooperative di interesse collettivo, e facendo leva sulla società civile in contrapposizione alle spinte neoliberali. La misura chiave è la creazione di una politica di pieno impiego come obiettivo complessivo macroeconomico. Nel realizzarla, il programma prevede un programma di spesa pubblica che passa attraverso la creazione di eco-jobs, necessari alla luce dell’adozione di piani ambientali ambiziosi (il disinquinamento dei tratti di mare mediterranei nel territorio francese, e così anche per le sponde atlantiche), e un piano infrastrutturale che prevede la riqualificazione dell’infrastruttura esistente e la riapertura delle stazioni ferroviarie chiuse negli ultimi 30 anni.
Il programma contempla anche una svolta protezionista in termini ecologisti (protezionismo ecologista), che consiste in dazi doganali su base ecologica (per esempio, le produzioni che impiegano troppa CO2). Questo protezionismo dovrebbe garantire l’indipendenza strategica francese, consentendo, contestualmente, la ricostruzione industriale della Francia per ridurre la dipendenza in settori strategici (come farmaci e semiconduttori) e per sostenere la biforcazione ambientale.
Una nota peculiare è il contrasto alle partnership pubblico-privato che sono entrate nel novero degli strumenti di governance dei paesi europei.
Europa e globalizzazione
Le politiche interne hanno chiaramente dei riflessi esterni: in una situazione globalizzata, è difficile seguire i flussi di denaro pubblico in uscita. Come evitare che siano le imprese e i lavoratori tedeschi, e non i francesi, a beneficiare dalla spesa pubblica? D’altronde, il programma è orientato a una forte ripresa dello Stato nel sociale e nell’economia, usando i concetti di economia sociale e solidaristica e di transizione verde come volano per gli investimenti. Come contenere questi investimenti sul suolo francese? In questo senso, il programma è orientato a rafforzare la posizione della Francia nel contesto europeo, attraverso tre mosse: un maggiore uso del diritto di veto, in seno al Consiglio Europeo, un aumento delle condizioni sulla contribuzione della Francia al budget europeo, e contando sulla mobilitazione della società civile europea (da realizzare coinvolgendo gli alleati politici) per rafforzare l’autorità del punto di vista de La France Insoumise. Per quanto riguarda la pars construens, questa vede una preferenza per la cooperazione bilaterale, con altri Stati, sui temi ecologici, sociali, culturali, educativi. In termini invece di politiche europee, il programma prevede l’abolizione delle euroregioni.
Rispetto alla globalizzazione, la prima misura proposta (come misura chiave) è il ritiro dal comando integrato NATO e, gradualmente, dall’organizzazione stessa. Seguendo questi punti programmatici, inoltre, la Francia dovrebbe contribuire a riorientare organizzazioni internazionali (come IMF, World Bank e WTO) su un paradigma diverso da quello neoliberale. Allo stesso tempo, la Francia dovrebbe spingere per un rafforzamento dell’ONU e delle organizzazioni collegate come la Conferenza su Commercio e Sviluppo dell’ONU. Interpretando queste proposte, si potrebbe ragionevolmente concludere che il tipo di cooperazione internazionale proposta dal programma è di natura politica, più che tecnica: l’oggetto di attacco non è la cooperazione internazionale in sé, ma la cooperazione internazionale fatta sulla base di principi invariabili. È in questa critica che si inserisce la proposta di rifiutare il libero commercio su base internazionale.
Discussione
I risultati elettorali ottenuti da Melénchon durante il primo turno delle presidenziali francesi impongono una riflessione.
Com’è possibile che un programma per molti versi di rottura rispetto al mainstream neoliberale possa raccogliere questi livelli di consenso?
Una prima ipotesi operativa è che Mélenchon abbia aggiustato la propria strategia rispetto al 2017. Tuttavia, anche ad una lettura rapida dei due programmi, appare evidente come la proposta di Mélenchon sia rimasta sostanzialmente invariata rispetto alle elezioni precedenti: lo schema portante è infatti quello di un programma che era e che rimane (diremmo) di opposizione, e che non evidenzia nessuna sterzata verso il centro. Alla luce dell’entusiasmante risultato ottenuto da La France Insoumise alle presidenziali 2022, è ragionevole ipotizzare che sia l’elettorato francese a trovare più accettabile il programma di Mélenchon rispetto al passato. È possibile, infatti, che il combinato disposto della pandemia Covid-19 (e conseguente scenario economico negativo) e del mutato scenario geopolitico internazionale abbia giocato un ruolo non indifferente nel rendere più “digeribile” a un certo elettorato il programma di Mélenchon. Ribaltando un detto famoso, potremmo dire che in questo caso sia stata la montagna, cioè il popolo francese, ad essere andata da Maometto.
In questo senso, infatti, non emergono formule particolarmente innovative rispetto agli ostacoli che la sinistra francese ha trovato, posti specialmente da attori sovranazionali, ai suoi programmi di riforme.
Emerge un rifiuto generale della governance, del paradigma tecnocratico, dell’approccio di politica pubblica; contestualmente, vengono messi al centro i diritti, come inalienabili e non soggetti ad aggiustamento pragmatico; l’attore che deve garantire la tutela dei diritti e politiche giuste è lo Stato.
La risoluzione dei problemi di cooperazione internazionale non è demandata a misure concrete, ma a un assunto di metodo – cioè la prevalenza della politica e della logica della ‘contingenza’ rispetto alla logica della ‘necessità’ caratteristica della tecnocrazia – che mette di nuovo al centro la ‘prassi’: Mélenchon propone di difendere i francesi agendo nelle sedi internazionali e lasciando da parte il galateo diplomatico proprio delle sedi UE. Ad oggi chiedersi se questo sia sufficiente per cambiare un’integrazione troppo squilibrata sul lato economico è tema di speculazione. Quello che è sicuro è che queste posizioni godono ormai di ampio consenso politico anche a sinistra, e derubricarle come euroscetticismo senza prenderne in considerazione i contenuti, costituisce un rischio crescente sia per la creazione di coalizioni progressiste, che per il futuro e la stabilità della cooperazione internazionale.