Economista

Pubblichiamo qui un estratto dal volume di Joseph E. Stiglitz, Il ruolo economico dello stato, Il Mulino, Bologna 1997, p. 37-38 e 45. Ringraziamo la casa editrice per la gentile concessione.

Il 4 novembre segui l’intervento di Joseph E. Stiglitz per Ok Europe. Quattro strade per una cittadinanza europea. Con Anne Hidalgo, Tommaso Vitale e Patrick Braouezec.


Sono portato a sostenere che esistono due caratteristiche peculiari dello Stato, da cui discende la maggior parte delle altre differenze con le altre organizzazioni economiche:

lo Stato è l’unica organizzazione l’appartenenza alla quale sia universale, e lo Stato ha un potere coercitivo non concesso a nessun’altra organizzazione economica.

Gli individui possono scegliere di appartenere ad un club, possono scegliere di comprare delle azioni di una società, possono scegliere di lavorare per un’azienda piuttosto che per un’altra. All’interno del settore pubblico c’è sicuramente un qualche grado di libertà: i cittadini possono scegliere di vivere in un posto invece che in un altro, possibilità su cui mi soffermerò in seguito. Ma, in linea di massima, i cittadini non considerano il paese in cui vivono come una questione di libera scelta, e avendo deciso di vivere in un certo paese, ne vengono assoggettati alle leggi.

E proprio il fatto che l’appartenenza allo Stato sia obbligatoria, dà a questo un potere di coercizione di cui nessun’ altra organizzazione dispone. Se a un cittadino non piace l’impresa per cui lavora, o quella che gli fornisce un certo servizio, ha sempre il diritto, per usare un’espressione di Albert Hirschman, di uscire. L’opzione di uscita pone dei limiti ben precisi a tutte le organizzazioni volontarie, cioè a tutte le organizzazioni diverse dallo Stato.

Più in generale, tutti gli scambi tra soggetti diversi dallo Stato (a parte i furti e gli incidenti) sono volontari. Da ciò possiamo trarre delle conclusioni molto chiare: ad esempio, che ogni scambio deve essere proficuo per entrambe le parti. Ciò non è vero per gli scambi tra gli individui e lo Stato: qualunque cittadino può rimanerne svantaggiato, proprio perché lo scambio non è necessariamente volontario.

C’è una lunga tradizione di pensiero che considera lo Stato come un’organizzazione volontaria, in cui gli individui si coalizzano per intraprendere attività cooperative che altrimenti non potrebbero essere perseguite con ugual efficacia. Nozick ha avanzato l’idea che questo principio della partecipazione volontaria dovrebbe porre dei limiti molto stretti alle attività dello Stato, ad esempio all’ estensione della redistribuzione: nessuno dovrebbe ritrovarsi in una posizione peggiore di quella in cui sarebbe senza l’operato dello Stato. Purtroppo, nello stato di anarchia in cui ci si ritroverebbe in assenza di un governo, il livello di benessere di ogni individuo potrebbe essere così basso che il principio che gli individui non debbano risultare danneggiati dalla presenza del governo di fatto non pone limiti allo Stato.

La mia idea è in qualche modo diversa: e precisamente che il ruolo peculiare dello Stato derivi dalle caratteristiche di appartenenza universale e di potere coercitivo.

Il problema a cui dobbiamo cercare di rispondere è: che vantaggi e svantaggi, rispetto alle altre organizzazioni economiche, può l’organizzazione economica «Stato» ricevere da queste caratteristiche?

[…]

I vincoli fiduciari posti dalla particolare posizione dello Stato non influenzano solo la sua politica dell’occupazione, ma anche la sua politica di spesa, per la quale il principio cardine è che i programmi pubblici debbano essere gestiti in maniera equa. Più in generale, la giustizia è il principale criterio secondo cui valutare la desiderabilità dei programmi pubblici.

Il vincolo dell’equità pone due problemi. Il primo è che non è sempre (né spesso) chiaro cosa sia giusto. Se tutti gli individui fossero identici, il criterio di equità si potrebbe applicare facilmente: basterebbe trattare tutti al­la stessa maniera. Ma gli individui sono diversi tra loro e ciò crea il problema di quali siano le appropriate differenze di trattamento.


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