Tratto dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli da Atti della Giunta per la inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, vol. IX, fascicolo I (Basilicata e Calabria), Roma, 1883 [Inchiesta Jacini]

 


Le relazioni che passano fra i lavoratori della terra ed il resto della popolazione campagnuola od urbana sono buone anzi che no. I contadini si recano spesso nei grossi centri e vanno al mercato per vendere i prodotti delle loro terre, delle piccole industrie o per acquistare quei prodotti o quelle merci di cui abbisognano, e poscia ritornano alle loro famiglie.

Le famiglie coloniche sono generalmente composte del padre, della madre e di un certo numero di figli variabile da 3 a 4. Quando i figliuoli sono piccoli da non prestare alcun aiuto nei lavori campestri, o quando mancano nella famiglia, si piglia un garzone ad anno, e quando i figliuoli sono molti, uno o due di essi giunti ad una età competente si danno per garzoni ad altri coloni.

Resta ordinariamente a convivere col padre soltanto l’ultimo figlio, ancorché prenda moglie, dappoichè il padre divenuto vecchio ed inabile al lavoro non può ac­cudire alle terre: tutti gli altri figli quando contraggono matrimonio lasciano il tetto paterno per aprire nuove famiglie.

L’alimentazione della popolazione agricola è abbastanza scarsa e spesso insufficiente a mantenerla sana, robusta ed atta al lavoro. Nei comuni in cui i lavoratori sono relativamente più agiati, essi mangiano tre volte al giorno, cioè nelle ore del mattino (verso le nove), a mezzogiorno in punto ed alla sera. Tanto alla mattina che a mezzogiorno il loro alimento consta o di pane solo o condito con olio e sale o con qualche altra cosa, come cipolle, peperoni crudi, ulive od altre frutta; alla sera, allorché sbrigati i lavori di campagna fan ritorno alle loro case, mangiano il così detto caldo. Questo caldo consiste in una vivanda sola, che nell’inverno è polenta o semplice o con cavoli, oppure fagiuoli secchi o patate; nelle altre stagioni legumi verdi, patate, peperoni ed altre verdure, con pane sempre di seconda qualità. Mangiano carne soltanto nelle festività dell’anno od in occasioni solenni come per matrimonio, battesimo, ecc.; il vino egualmente.

Nei comuni in cui i lavoratori della terra sono più poveri, il pane costituisce la loro principale alimentazione, ed è fatto di farina d’orzo o di orzo e segale; ma il pane che ordinariamente si consuma è di farina di lenticchie selvatiche dette fraca. Quando la pasta di questa farina è cotta al forno diviene di un colore nero così da prendere l’apparenza di un impasto di terra e tritoli di legno.

Quando sono in grado di aggiungere qualche altra cosa al loro pasto, scelgono la polenta, la minestra di cavoli, spesso non condita, di patate o fagiuoli.

E quando manca il lavoro e si è in annate tristissime, per cui il proprietario non può prestare alcun aiuto, i lavoratori della terra per campare la vita mettono a bollire le erbe selvatiche dei campi, e dopo cotte e premute, le mangiano incondite e senza pane! Nell’inverno 1877-78 si sono veduti contadini mangiare come il bestiame le cime crude di sulla, ed interi prati ne sono stati distrutti!

L’abitazione del contadino se non è molto buona, non è cattiva.

In generale consta di un solo vano a varie aperture, coperta di tegole, mentre la nuda terra ne forma il pavimento. Allorché queste case si trovano costruite nelle terre sottoposte a coltura per uso dei lavoratori, si dà loro il nome, non davvero giusto, di case coloniche. Ivi, oltre a dormire, il contadino mangia, tiene la paglia, e il fieno pei pochi animali domestici, e nell’epoca opportuna mette anche la sua bigattiera per l’allevamento del bombice da seta. Raramente però l’asino, il pollame, il maiale, ecc., dormono nella stessa abitazione. Nei campi e nei locali di montagna si costituiscono pagliai più o meno grandi con canne e piante secche per dar ricovero ai pastori od agli agricoltori, quando debbono eseguire lavori campestri o guardare i frutti pendenti.

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