In Italia, Paese col maggior numero di prodotti agricoli tutelati al mondo, le mafie continuano a fare affari d’oro radicandosi nella sua filiera agricola. Gli appelli della società civile e le sentenze dei tribunali non hanno scalfito la coscienza di una classe dirigente che sembra disinteressata a questo tema, tanto da non farne dibattito e ragione di impegno politico. Gian Carlo Caselli e Gian Maria Fara, nell’ultimo rapporto Agromafia dell’Eurispes e Coldiretti, affermano che le mafie riescono a “condizionare il mercato, stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del nostro vero o falso made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian sounding”. Tutto questo nonostante alcune importanti operazioni di polizia. A fine settembre 2017, ad esempio, è stato colpito il clan Ventura di Vittoria, in Sicilia, città famosa per il suo mercato ortofrutticolo, grazie alla Procura Distrettuale Antimafia di Catania, con due operazioni e circa venti arresti. Le mafie si radicano nella logistica, nel commercio, nella grande distribuzione organizzata, si specializzano nelle truffe ai fondi europei, nella sofisticazione, entrano nei grandi mercati ortofrutticoli, da quello di Fondi a quello di Milano passando per quello di Vittoria. Secondo Eurispes, il fatturato complessivo delle agromafie nel 2017 si aggirava intorno ai 21,8 miliardi di euro. Una delle operazioni di polizia più importanti ha riguardato la mafia di Gela, in Sicilia e, in particolare, il clan Rinzivillo coi suoi affari condotti a Roma, nel Nord Italia e in Germania. Attraverso fatture gonfiate, forniture di ortaggi mai ordinati, prezzi superiori a quelli pattuiti, i boss siciliani si sono imposti agli imprenditori del mercato agroalimentare romano di Guidonia facendolo diventare il centro dei loro affari. Questo sistema è stato scoperto dalle Procure di Roma e Caltanissetta, coordinate dalla Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, e ha portato alla custodia cautelare di 37 persone e al sequestro di beni e società per oltre 11 milioni di euro.
Le agromafie hanno, ormai, una dimensione sistemica. Esse sono presenti nel Sud come nel Nord del Paese a partire dall’Abruzzo, Emilia Romagna, Veneto e Lombardia. In Piemonte, ad esempio, il caporalato è diffuso nei distretti di Cuneo (Saluzzo e Bra), Alessandria (con Tortona e Castelnuovo di Scrivia), Asti (con Canelli, Castigliole e Motta) e Verbania (con Cusio-Ossola). Tra Canelli e Carmagnola, ad esempio, la Guardia di Finanza ha scoperto ad agosto del 2016 ben 106 lavoratori in nero e quasi 150 cooperative agricole che sottopagavano (anche 2 euro all’ora) i braccianti. A Carmagnola, un bracciante di 45 anni romeno è morto a causa del lavoro intensivo e dei 50 gradi in serra. A Saluzzo la situazione è gravissima e si ripete ogni anno. In Veneto, casi di caporalato si sono registrati nella provincia di Padova. In Toscana, diverse centinaia di braccianti migranti, soprattutto romeni, bulgari, bangladesi e albanesi, continuano ad essere impiegati sin dalle prime ore dell’alba, attraverso caporali, nelle aziende agricole tra Siena e Grosseto.
Tuttavia, alcuni imprenditori e categorie datoriali considerano il caporalato indispensabile alla loro attività. A Bari, ad esempio, alcuni imprenditori hanno manifestato contro la nuova legge sul caporalato (l. 199/2016), che peraltro venne promulgata dopo lo sciopero del 18 aprile del 2016 di circa 4000 braccianti indiani in provincia di Latina, che prevede la responsabilità penale del datore di lavoro, il sequestro e la confisca dei beni utilizzati per lo sfruttamento. Il caporalato è, invece, un reato che denota un agire e una mentalità mafiosa, spesso sedimentata attraverso pratiche di reclutamento e sfruttamento inserite dentro la dinamica propria del capitalismo contemporaneo. Il caporale e il padrone formano un’associazione a delinquere e i metodi di reclutamento e impiego sono fondati sulla violenza, prevaricazione e intimidazione. Alcuni istituti di ricerca indipendenti, come Tempi Moderni, riflettono da anni sulle ragione che inducono allo strutturarsi del fenomeno dentro i rapporti di produzioni vigenti a partire da quelli nei paesi del capitalismo più avanzato. Chi ritiene questo fenomeno marginale non fa o non vuole fare i conti con la realtà. In Italia ci sono, secondo l’ultimo rapporto Agromafie e Caporalato della Flai CGIL, circa 450 mila persone che vivono solo in agricoltura condizioni di sfruttamento lavorativo e di questi ben 100 mila sono obbligati a condizioni paraschiavistiche. Non solo caporalato e sfruttamento però. A tutto questo si aggiunge il traffico internazionale di esseri umani a scopo di sfruttamento lavorativo che porta in Italia centinaia di migliaia di donne e uomini originari dell’Africa subsahariana, India, Bangladesh, Pakistan, Libia e di molti altri paesi, al solo scopo di lavorare come schiavi nelle nostre campagne.
Un’interessante operazione di polizia è stata condotta a Latina dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma che ha portato a 37 indagati per associazione a delinquere con ramificazioni nella Capitale finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cittadini del Bangladesh, India e Pakistan, nonché di contraffazioni, falsi ideologici e di aver indotto in errore pubblici ufficiali adibiti al rilascio di nulla osta d’ingresso, visti e di permessi di soggiorno. I migranti, per ottenere la richiesta nominativa da parte del datore di lavoro ed entrare in Italia, pagavano tra i 5.000 e i 15.000 euro salvo poi lavorare nelle campagne senza alcuna tutela. Ne rappresenta bene la sintesi un interessante documentario, The Harvest, con riferimento alle condizioni di lavoro dei braccianti indiani pontini, realizzato in collaborazione con la coop. In Migrazione.
Lo sfruttamento lavorativo e il caporalato sono, dunque, un sistema a tutti gli effetti criminale che determina forme di impiego neo-schiavistiche e pienamente mafiose. Il governo dovrebbe agire con rinnovata consapevolezza e in modo risoluto, ad esempio riformando la grande distribuzione organizzata, le norme sulle migrazioni e il welfare, migliorare la giustizia e contrastare adeguatamente ogni mafia, sfruttamento e caporalato. Si devono cambiare le condizioni alla base che determinano la nascita di questo fenomeno.