Il Brasile sta vivendo una delle più sconvolgenti ed evidenti transizioni contemporanee, passando dal dominio della biopolitica alla necropolitica. Che cos’è la necropolitica che sentiamo così poco menzionare? Diciamolo in modo semplice, con l’aiuto di Michel Foucault: è un dispositivo governativo per far morire le persone, anzi, per non lasciarle vivere. La morte delle vite per il controllo del potere sui “migliori”, sui pochi “migliori” che resterebbero in vita. Un concetto atroce.

 

Una fase particolarmente difficile che lo scrittore e professore di letteratura comparata João César Castro Rocha definisce “una guerra culturale bolsonarista[1]”.  Secondo Rocha, il governo di Bolsonaro vive della morte, fa dello sterminio una parte essenziale del suo programma. Il filosofo Achile Mbembe afferma che: “[…] il Brasile sta vivendo anche una strumentalizzazione generalizzata dell’esistenza umana, accompagnata da distruzione materiale di corpi e popolazioni[2]“.

 

La pandemia ci ha offerto la possibilità di pensare le cose in modo diverso. Uno stesso argomento può volgersi al segno positivo o negativo: il corpo dell’altro diventa un nemico o qualcuno di cui avere nostalgia, i luoghi che fanno incontrare i corpi sono il pericolo (soprattutto perché in questi luoghi si incontrano le idee) oppure sono il desiderio da anelare. Il filosofo Kohan, cresciuto alla scuola statunitense di Lipman, ideatore della Philosophy for Children, da sempre attento al potenziale filosofico dei bambini, ha in più occasioni pubbliche denunciato, in questi giorni, la doppia faccia del virus: da un lato, infetta, contamina, atrofizza principalmente odore e sapore; attacca i polmoni, causando mancanza di respiro che, in molti casi, porta alla morte. È letale e, come ogni virus, vive della morte del corpo che lo ospita. È un necrofilo. Tuttavia dall’altro lato ha sospeso un sistema che sembrava inarrestabile, inevitabile, poiché il sistema che sta sospendendo vive, naturalmente, il tempo della morte: possiamo dire che, implicitamente, è contemporaneamente necrofilo e biofilo. Il virus ama la morte e la vita che almeno indirettamente rilascia, attraverso il desiderio di tornare alla vita. Non c’è dubbio che tutto il mondo tornerà alla “frenesia” – positiva e negativa – della nostra contemporaneità. Il tempo sospeso della necropolitica, in Brasile, è solo un tempo. Per questo si è sentita l’esigenza di riflettere su pandemia e populismi/sovranismi.

Il mondo proposto da questi populismi è senza odore né sapore, perfettamente in sintonia col virus. Esistono però ovunque intellettuali impegnati che provano a sollecitare il tempo della scuola e ricordano come la scuola a distanza non sia per tutti, in particolare per molte zone indigenti del Brasile.

Dorella Cianci (Università Lumsa)

 

A colloquio con …

Dal biopotere alla necropolitica.

 

 

Professor Kohan, in Italia abbiamo vissuto momenti duri per la pandemia e in Europa siamo stati i primi a subirne pesanti conseguenze. Impaurisce sentire la presenza di nuovi focolai, tuttavia qui da noi la situazione sembra essere molto più tranquilla e contenuta! Il Brasile, invece, è il secondo Paese al mondo, dietro gli Usa, sia per contagi sia per morti. Continua a oggi a essere un gravissimo focolaio mondiale. Che cosa sta accadendo in quella che ha definito “politica per la morte”?

Lavoro spesso nelle università italiane e in quelle di varie parti del mondo. Ho seguito la vostra tragedia iniziale, con le pesanti immagini di Bergamo e posso dire che qui la situazione è molto molto più grave di quella che era già pesante in Italia. Abbiamo in corso un’emergenza democratica oltre che sanitaria, peraltro siamo in un pericoloso intrappolamento culturale. Viviamo tempi molto difficili in Brasile. Poco tempo fa il ministro della Pubblica Istruzione, Weintraub, è stato “licenziato”, facendogli dire di aver rassegnato le dimissioni. È stato definito “onesto, ma incapace”. Onesto? Bolsonaro ha potuto dire che è stato mandato via anche perché “faceva errori di ortografia”, ma i problemi sono ben altri nel suo Governo! Il licenziamento di un ministro, peraltro già implicitamente molto antidemocratico nel suo modus operandi, è stato un atto esplicitamente autoritario e contro ogni principio democratico da parte di Bolsonaro in persona. È necessario evidenziare come la pandemia stia accelerando l’antidemocrazia brasiliana.

 

Ho letto di un ultimo provvedimento di questo ministro “licenziato” in materia di politiche culturali. Può raccontarlo? Credo sia un ottimo esempio del razzismo imperante lì, insieme a una politica machista.

 

Sì, c’è stata la revoca dell’ordinanza dell’11 maggio 2016, che aveva incoraggiato le quote di posti vacanti per disabili, immigrati, in particolare popolazioni dalla pelle nera in condizioni di difficoltà economica, stabilendo un accesso meno “controllato” e notevolmente facilitato nei corsi di laurea di Istituzioni Federali di Istruzione Superiore (IFES). E anche se questa misura di revoca dovesse essere annullata a sua volta dal legislatore, come spero, il provvedimento resta un simbolo pauroso della gestione Bolsonaro e dei suoi (quelli più vicini e quelli che vanno via): un disservizio totale all’istruzione pubblica brasiliana, un attacco frontale alle classi più escluse, un affronto e un disonore per il Paese di Freire. E credo che questo nome significhi tanto anche per la scuola in Italia. L’ex ministro fa parte, a mio giudizio, di una band company che sta conducendo una guerra non dichiarata, mascherata, velata, senza armi al momento. In un certo senso la guerra non è nuova, la conosciamo già, ma si riconfigura con abiti e attori diversi, sottoforma di un progetto di colonizzazione, sbarcato in America più di cinque secoli fa. È una guerra permanente, silenziosa e persistente, che nasconde un progetto razzista, misogino, omicida.

 

Ma chi sono gli esclusi? Esiste una relazione con il governo Trump?

 

Quelli che, come si diceva nell’introduzione, non sono ritenuti i “migliori”. Gli emarginati sono i soliti di sempre. Le comunità indigene, nere, LGBT e, più in generale, le società di scarto, come le chiama Papa Bergoglio: sono vittime e testimoni, come nessun altro, di una guerra senza cuore e implacabile che attraversa tutta l’America, anche gli Usa di Trump, non solo quella latina ovviamente. Il carattere più specifico della band company che attualmente governa il Brasile è la virulenza e il carattere ostensivo e brutalmente sterminante della loro strategia. Ecco come sintetizzare: il governo di Bolsonaro vive della e nella morte. Ciò si rivela nei simboli, nella sua liturgia politica, nella guerra e nell’estetica militare, ma anche nella sua politica economica, educativa, culturale, diplomatica e sanitaria. È lo scenario più eclatante della necropolitica: un dispositivo governativo per, come direbbe Foucault, far morire le persone e non lasciar vivere i più svantaggiati.

 

E che cosa accade all’istruzione nello scenario della necropolitica?

L’istruzione in Brasile è intrappolata dalla pandemia. La situazione di emergenza sanitaria attuale sembra essere il terreno più favorevole per il governo al fine di poter accelerare la politica di allontanamento dall’istruzione ed eliminazione fisica di scuole e università. Che ragionamenti fa il governo Bolsonaro? Eccoli. Se le pratiche educative si svolgono a distanza oggi, si potrebbero continuare anche dopo in questa modalità online. Perché spendere soldi in istituzioni con deficit che a malapena riuscivano a fare il lavoro prima dell’emergenza sanitaria?

 

Lei si occupa tanto di bambini e come abbiamo fatto in Italia con Amica Sofia ha trovato il modo di mantenere un filo con i loro pensieri dalla pandemia. Che cosa ci racconta?

 

Esiste la necessità “ingiustificabile” di formare insegnanti che lavorino esclusivamente dediti alle scuole, in modo che possano essere gli insegnanti che vogliono essere. I bambini sanno che esiste questa urgenza. Loro ne sono consapevoli Le evidenti disuguaglianze della società brasiliana, con una parte molto alta della popolazione senza le condizioni minime di connettività e attrezzature tecnologiche di base, rendono impossibile frequentare un’istruzione a distanza, da remoto. Tuttavia questa scuola è impossibile per tutti, anche per chi ha le giuste strumentazioni. L’impossibilità di rendere la scuola senza corpi presenti, senza corpi che toccano, abbracciano, odorano e persino spingono è una assurdità. Inoltre esiste un altro fattore non trascurabile: la necessaria “tensione” tra casa e scuola o, in altre parole, l’importanza che la scuola abbia un suo spazio separato, a parte, separato dalle altre istituzioni sociali e perfino dalla famiglia; Kohan mette in luce l’impossibilità di essere contemporaneamente madre e insegnante, padre e insegnante o figlia / figlio e studente. Queste considerazioni sono vere ovunque, ma diventano qui da noi. Con il mio gruppo di ricerca dell’Università di Rio abbiamo condiviso, con i bambini, le riflessioni sulla pandemia.  Per esempio ricordo con Isabel, insieme ad altri bambini delle Azzorre e del Brasile. Durante la pandemia, Isabel ha continuato la sua esperienza educativa a distanza. Alcune settimane fa, Isabel era molto arrabbiata con la sua insegnante di letteratura. Qual era la ragione? L’insegnante le aveva chiesto di leggere un libro con un appuntamento temporale. C’era una scadenza entro cui leggere, dovevano leggere il libro fino a martedì e a quello, (solo a quello!), Isabel ha deciso di ribellarsi: “come è possibile?!”. E ha aggiunto: “la lettura è imprevedibile”. La parola im-pre-vedibilǝvisibile è molto espressiva, infatti. Significa letteralmente “non prima di vedere”, potremmo dire: non vedere prima di vedere, non anticipare prima di vedere, non leggere prima di leggere. Cioè leggi quando leggi, leggi e ricordati di leggere, leggi immerso nella lettura, leggi senza fare altro che leggere. Quando si legge un libro non c’è modo di fissare scadenze o qualsiasi altra temporalità. I sovranismi, invece, conoscono solo la temporalità fissa, imprigionata. Non amano le cose imprevedibili. L’idea di “accomodare” la lettura nei modi del khrónos, come fatto a scuola con Isabel, può essere necessaria, qualche volta, eppure ricalca l’esperienza antidemocratica, poiché ha in sé qualcosa di violento:un aggettivo estraneo  all’esperienza di lettura.

 

E le Università? In fondo in Europa sono ripartite, in un certo senso. E nell’America Latina?

 

Europa e America Latina (e Americhe in generale) non si possono paragonare in questo momento; né si può paragonare la nostra situazione a nessuna vera democrazia. Tuttavia penso che, in un certo senso, nonostante le politiche del nostro governo, la scuola stia diventando più forte con la pandemia. Un paradosso. Più la depotenziano, più cresce.  Non credo che le nuove tecnologie siano nemiche o poco interessanti! Anzi… Ho partecipato, come molte persone, a diversi tentativi di esperimenti educativi remoti in questi mesi di pandemia e credo che la digitalizzazione delle relazioni pedagogiche non sia del tutto negativa. Al contrario, possono succedere molte cose interessanti. In fondo è un mezzo che non è mai solo un mezzo e che può accogliere significati pedagogicamente e politicamente attraenti. Tuttavia, anche con tutti questi aspetti più o meno soddisfacenti, la sensazione che predomina, in ciascuno degli incontri da remoto, è che qualcosa dello studente assente è insostituibile, impossibile da digitalizzare. Proverò a spiegare meglio quest’ affermazione. La pandemia ci ha mostrato alcune cose con chiarezza diafana. Ad esempio la differenza radicale tra l’educazione pubblica e quella privata in Paesi con un alto tasso di povertà, come il nostro. Per dirla chiaramente con Simón Rodríguez, il Socrate di Caracas, filosofo e pedagogista venezuelano, la scuola (…che dobbiamo inventare qui da noi e per il futuro) non può che essere comune, per tutti… E una scuola digitale, fatta dunque di sole tecnologie, non è per tutti, esclude, in Brasile e non solo, i più disagiati: quando diventa speciale, in senso negativo, gli effetti pedagogici e politici diventano anti-educativi e vanno a svantaggio delle classi più deboli. Il Brasile deve mostrare al mondo queste evidenze che dovrebbero essere già scolpite nelle teste dei legislatori.

 

 

 

Per conoscere Walter Omar Kohan…

Walter Kohan ha compiuto i suoi studi all’Università di Parigi VII, ed è professore ordinario di Filosofia dell’educazione a Rio de Janeiro (UERJI), allievo di M. Lipman. È ricercatore del Consiglio Nazionale di Ricerca e del programma nazionale universitario FAPERJ. Dal 1999 al 2001 è stato presidente dell’Associazione Internazionale di Filosofia con i Bambini (ICPIC). È autore o coautore di numerosi libri, in Italia spesso tradotti da Aracne. Tra questi, Infancia. Entre Educación y Filosofia (Barcelona:Laertes, 2004), Socrate. Enseigner, ce paradoxe (Paris: L’Harmattan, 2013) e Maestro inventor (Buenos Aires: Miño Y Dávila, 2013). Alcuni titoli italiani: Infanzia e filosofia (Perugia: Morlacchi, 2006) e, con Vera Waksman, Fare filosofia con i bambini (Napoli: Liguori, 2013).

 

Bibliografia consultata.

[1] ROCHA 2020.

[2] MBEMBE 2018: 10-11

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