Migliaia di persone da tutta la Spagna sono arrivate a Madrid, al Palazzo di Vista Alegre per partecipare al II Congresso di Podemos. In fila sotto la pioggia per entrare e muniti di ingressi scaricati dal sito dell’Assemblea del Congresso. Le stime dicono 9.000 partecipanti in media tra sabato e domenica: un record. Così come quello dei partecipanti alle votazioni online: 155.190 persone iscritte alla piattaforma digitale ‘participa.podemos’ (il 55% degli iscritti aventi diritto al voto e il 33,95 % dell’elettorato attivo) hanno votato per la scelta dei Documenti Organizzativo, Politico, Etico e di Uguaglianza e per l’elezione degli organi interni del partito-movimento.
“Unidad! Unidad!” intonano a ripetizione i presenti. Questo è il segno nel quale la base di Podemos auspica che si svolga l’assemblea per uscirne fortificati e dare una risposta agli attacchi mediatici da parte di giornali e programmi tv spagnoli, che dipingono Podemos come un partito in preda ad una lotta fratricida. Certo, lo scontro interno esiste: il Segretario generale, Pablo Iglesias, e il Segretario Politico, Íñigo Errejón, sono promotori di due progetti programmatici differenti.
Sabato è il giorno della presentazione delle proposte. Sebbene cinque siano i progetti presentati, solamente tre sono realmente in competizione: Podemos Para Todas, guidato da Pablo Iglesias; Recuperar la Ilusión con Íñigo Errejón e Podemos en Movimiento con l’eurodeputato Miguel Urbán e la Segretaria Generale di Podemos Andalusia, Teresa Rodríguez. Alla Segreteria Generale si presentano solo in due: Pablo Iglesias e Juan Moreno Yagüe. L’équipe di Pablo Iglesias si impone sugli altri in tutti i documenti con oltre il 50% delle preferenze e il Segretario uscente è stato riconfermato con l’89,09% dei voti. Cosa significa? I risultati dimostrano che la base attiva di Podemos predilige una cultura e una strategia politica di sinistra piuttosto radicale rispetto all’impronta populista e trasversale errejónista (uno degli ultimi slogan di Recuperar la Ilusión è “Né PSOE né IU. Recuperare il viola”). In questo modo l’impostazione organizzativa del partito continua ad essere la stessa, ma con una maggiore attenzione alla decentralizzazione, sia a livello territoriale che organico. Ma bisognerà giungere alla prova elettorale per testare la tenuta di un Podemos più apertamente a sinistra. Una cosa, infatti è lo spirito dei militanti e degli attivisti, altra è la prova delle urne. E la probabilità che il successo elettorale di Podemos potesse risiedere nell’ambiguità dell’ibrido “populismo versus sinistra radicale” esiste.
Il congresso si conclude domenica con la lettura dei nomi di tutti gli eletti in tutte le cariche. Una volta tutti sul palco, le mani aperte, i pugni chiusi e le due dita a simbolo di vittoria si alzano con il sottofondo de “La estaca”, la canzone catalana della resistenza antifranchista e “Playa Giròn”, la canzone cubana che ricorda il fallito tentativo di rovesciare la Rivoluzione cubana con lo sbarco alla Baia dei Porci. Quasi a ricordare, come ha fatto l’anticapitalista Miguel Urbán, che il nemico non è nel partito, ma fuori.
Dal clima nel quale si sono presentate le candidature e i progetti per il giovane partito e dalle prime dichiarazioni post-Congresso, Podemos esce rafforzato. Dunque, nonostante le perplessità a proposito della sua evoluzione, è in questo che Podemos non sembra somigliare ai vecchi partiti. Da un lato si potrebbe pensare che questa del Congresso rappresenti una tappa del processo di istituzionalizzazione del partito, nel senso di normalizzazione rispetto al restante scenario del sistema spagnolo; dall’altro l’istituzionalizzazione la si potrebbe percepire come una stabilizzazione nella diversità. La diversità interna sarà intelligenza collettiva e pluralità oppure darà vita a fazioni e fratture? Il dilemma sembra essere quello gramsciano a proposito di centralismo democratico e centralismo burocratico. Podemos farà il suo corso e con il tempo impareremo ad inquadrarlo e ad analizzarlo meglio, ma questo secondo Congresso traccia già la sua strada.
Raffaella Fittipaldi
Università di Firenze
16/02/17