“Abbiamo la possibilità, in quanto membri della razza umana, abbiamo i mezzi e abbiamo la capacità di eliminare la fame dalla faccia della terra nell'[arco della] nostra vita. Abbiamo solo bisogno della volontà”. Con queste parole, il 35° Presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy inaugurava il World Food Congress nel 1963. Erano gli anni ’60, l’Africa e l’Asia avevano da poco intrapreso il difficile cammino della decolonizzazione, la cosiddetta “rivoluzione verde” che avrebbe portato un portentoso aumento della produttività agricola (e un altrettanto considerevole inquinamento) era ancora nella sua fase di pieno sviluppo. Era, insomma, un mondo estremamente diverso, animato anche dallo spirito pionieristico degli anni post-bellici. Tuttavia, le parole di JFK non solo sono ancora estremamente attuali, ma, soprattutto, sottolineano quanti pochi progressi siano stati fatti in questi decenni per garantire un diritto umano, quello al cibo, di cui tutt’oggi milioni di persone non godono appieno.
Garantire che il cibo sia sano, sicuro e sufficiente può apparire come qualcosa di ovvio, quasi banale. Ma se consideriamo che su circa 190 nazioni nel mondo, solo 23 Costituzioni riconoscono in maniera esplicita e diretta il diritto al cibo abbiamo una prima fotografia di quanto tale diritto sia ancora lungi dall’essere una realtà operativa. Il diritto al cibo come diritto umano fondamentale, infatti, si completa considerando i tre aggettivi che necessariamente devono accompagnare la nozione di “cibo”: sano, sicuro e sufficiente. Sano (food safety) poiché il cibo deve dare salute e vigore, non malattia. Sicuro (food security) e sufficiente perché la quantità di cibo minima per garantire un completo sviluppo psicofisico dell’individuo deve essere garantita durante tutto l’arco della vita, in maniera continuativa e non discontinua. Solo qualora sussistano tutti e tre questi aspetti si può dire che il diritto al cibo sia rispettato.
La Carta di Milano nasce proprio dall’urgenza di garantire il diritto al cibo come diritto umano fondamentale. Rappresenta l’eredità culturale di Expo Milano 2015, un momento unico di riflessione globale attorno ai temi del cibo, della nutrizione e della sostenibilità socio-ambientale. è, e non poteva essere altrimenti, un documento plurale: solo ascoltando tutte le voci, tutti gli attori, talvolta anche in disaccordo tra loro, si è potuto creare un documento partecipato e partecipativo, dunque efficace. Grazie alla sua genesi e alla sua struttura, la Carta di Milano non è un mero documento, ma uno strumento di coscienza e responsabilità da parte della cittadinanza globale.
Oggi fattori quali il cambiamento climatico, la crescente urbanizzazione, la crescita demografica e l’insostenibilità della produzione industriale globale stanno ponendo serie e concrete minacce al benessere futuro dell’umanità. Il diritto al cibo dunque non può che realizzarsi all’interno del quadro più ampio della sostenibilità ambientale, con un uso più equo, efficiente e razionale delle risorse, e della sostenibilità sociale, ovvero una lotta contro le discriminazioni e la disparità di opportunità tra persone e popoli. Non esiste impegno se non ci assumiamo la responsabilità di cambiare ciò che ancora ostacola l’obiettivo di garantire il diritto al cibo, e non esiste responsabilità senza una presa di coscienza. Su questa struttura si innesta il contenuto vero e proprio della Carta di Milano, che, in maniera abbastanza innovativa, inserisce il diritto al cibo come diritto umano fondamentale all’interno del dibattito globale sulla sostenibilità socio-economica e, quindi, sulla gestione del futuro della nostra umanità. La food safety e la food security non possono essere garantite se non generalizziamo un utilizzo cosciente e razionale delle risorse del pianeta.
Affermare che ancora oggi, nel 2015, ci siano 800 milioni di persone che soffrono la fame o che 5 milioni di ettari di foresta scompaiano ogni anno, o ancora che più di un miliardo di tonnellate di cibo vengano sprecate lungo tutto l’arco della filiera è fondamentale, ma può essere fuorviante. I numeri globali sono enormi, il singolo si può sentire schiacciato e dunque rifiutare di prendere coscienza di queste realtà. Per questo la Carta di Milano si rivolge al cittadino, di qualsiasi genere, nazionalità o status sociale. Finché non è il cittadino stesso a prendere coscienza che egli stesso, come chiunque altro, è coinvolto in questi grandi numeri, non potrà assumere degli impegni affinché questo cambi. In tal senso la Carta di Milano più che un documento è uno strumento. Infatti, il cittadino che firma la Carta non è un soggetto astratto, idealizzato: la Carta si rivolge al mondo reale, produttivo, della società civile e delle istituzioni. Per riuscire a rendere concreto un documento su un tema così fondamentale, ma altrettanto delicato, il percorso che ha portato alla stesura del testo ha visto il coinvolgimento di tutte le principali voci che operano nel settore agroalimentare e nella promozione della sostenibilità.
Estratto da: G. Destro, La Carta di Milano, uno strumento di cittadinanza globale per il diritto al cibo, in G. Morini, V. Sironi, Le declinazioni del cibo, ed. Laterza, 2016
Giacomo Destro
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
28/04/2016