Direttore servizi scolastici ed educativi Comune di Milano

Tutto sospeso, chiuso. Inattivo. Fermo.

Niente scuola (nel senso tradizionale del termine), nessuna attività di aggregazione, nessun supporto scolastico diretto, nessuna attività educativa integrativa, nessun progetto in funzione, nessuna azione positiva per il successo formativo.

Nessun servizio può essere erogato, o quantomeno non nelle forme che siamo abituati a conoscere: dalla ristorazione scolastica ai trasporti, dai servizi per l’orientamento scolastico alla lotta alla dispersione, dai progetti sulla legalità a scuola natura, dalle attività di mediazione e riparazione al progetto legalità.

Contratti attivi, progetti pronti, fondi stanziati ed impegnati, personale in servizio: pensiero, energie, attività amministrative, programmazione e pianificazione, linee di indirizzo, collaborazioni, partenariati, accordi, analisi, diagnosi, confronti. Tutto bloccato.

Questa emergenza ha colpito tutti, ma nella realtà dei nostri servizi e del nostro mandato istituzionale, se ci fermiamo a guardare solo la superficie, il coronavirus rischia di azzerare completamente la nostra stessa ragione di esistere.

Eppure i problemi restano. E non solo, ad emergenza finita saranno ancora più evidenti e più drammatici.

La dispersione scolastica a Milano raggiunge in alcuni quartieri quasi il doppio della media dell’unione europea, circa 50 scuole tra primarie e secondarie della città presentano indici di segregazione scolastica, diverse scuole periferiche hanno perso la loro attrattività e sono attraversate dal fenomeno del white flight, circa 20.000 bambini a Milano vivono al di sotto della soglia di povertà e fruivano di un vero pasto solo a scuola.

L’emergenza coronavirus non è democratica: non colpisce tutti allo stesso modo ma ancora una volta acuisce il divario, già evidente, tra scuola e scuola, tra studente e studente, tra famiglia e famiglia, tra quartiere e quartiere. E quelli più in difficoltà, i più fragili, usciranno dalla crisi ancora più compromessi.

Di fronte a tutto questo, il primo nostro impegno è non fermarsi ma utilizzare questo tempo in modo attivo, in due direzioni.

La prima direzione è quella dell’oggi: dobbiamo cercare di rispondere alla domanda “cosa possiamo fare oggi, a condizioni date”.

Questa domanda presuppone uno sguardo diverso, che ha a che vedere con il come, con le modalità di erogazione dei servizi, ripensandoli, ridisegnandoli, adattandoli, ma non rinunciando ad erogarli.

Per fare questo è assolutamente necessario farlo insieme: rafforzare le alleanze e le reti, tra ente locale, scuola e terzo settore. Occorre trovare la sintesi in un equilibrio tra diritto alla salute, diritto allo studio, diritto al lavoro.

È in questa direzione, ad esempio, che abbiamo provato a trovare soluzioni alternative per erogare l’assistenza educativa agli studenti con disabilità: attività anche presso l’abitazione dello studente e attività on line, all’interno di un piano educativo individualizzato seppure temporaneo e specifico.

Ed è in questa direzione che ci siamo attivati per promuovere forme di supporto alla didattica on line, con una call per la ricerca di attrezzature da destinare agli studenti che ne sono sprovvisti.


Didattica online


Ma la direzione più impegnativa resta quella del dopo emergenza.

Ed è la più impegnativa anche perché ha a che fare con una dimensione in qualche misura ignota.

Innanzitutto non sappiamo quando questa emergenza rientrerà e quando sarà possibile riattivare i servizi, né possiamo prevedere, al momento, se le modalità tradizionali (penso, ad esempio, ai centri estivi che organizziamo in 41 sedi scolastiche milanesi, o ai soggiorni nelle nostre 5 case vacanza) saranno consentite.

Poi, la difficoltà è in ordine alla lettura dei nuovi bisogni che inevitabilmente si presenteranno.

Ad emergenza finita le esigenze di conciliazione delle famiglie e le necessità di socialità e di aggregazione ed educazione dei nostri bambini saranno esponenzialmente più alti.

Occorrerà supportare le famiglie costrette a rientrare al lavoro senza possibilità in estate di fare ferie, oppure costrette a Milano per impossibilità di spostarsi in altri territori.

Come aiutare le scuole e le famiglie a ritrovare la normalità? Quali azioni mettere in campo per superare il trauma (perchè di questo si tratta) determinato da una interruzione non poco significativa, anche in termini temporali, della frequenza scolastica, della routine quotidiana, dei tempi dello studio, dell’esercizio dell’attenzione, dell’impegno della relazione?

Prima dell’emergenza, in un tempo che oggi mi appare come un’era fa, le direzioni politiche sociali ed educazione del Comune di Milano hanno elaborato un progetto incentrato sul tema del benessere dei minori 0-18, declinato in sette dimensioni: avere buone relazioni, avere accesso al sistema socio-sanitario, avere accesso a educazione e formazione, avere accesso a opportunità di attività fisica, poter esprimere talenti e creatività, avere opportunità/capacità di autodeterminazione, avere accesso a spazi comuni di qualità.

L’attualità di questo progetto, approvato e finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del topic Urban Innovation Action , è impressionante, anche in tempi di coronavirus. E in qualche modo costituisce per noi il sentiero, la traccia, la direzione verso la quale procedere.

Wish Mi, questo il titolo del progetto, rimane il fremework strategico nel quale collocare le nostre azioni per supportare la partecipazione ai servizi scolastici nella fascia di età 0-6 – e in particolare 0-3 – delle componenti più fragili della popolazione; per promuovere la partecipazione ad attività extra-scolastiche tra i ragazzi più vulnerabili; per riattivare la ridotta funzione di “ascensore sociale” delle scuole superiori dove il livello di scolarizzazione dei genitori è una variabile predittiva degli outcome scolastici dei figli e per promuovere una performance scolastica migliore che si manifesta in maniera trasversale nella fascia 0-18.

La centralità degli aspetti educativi e dell’istruzione rimane inalterata, ed anzi rafforzata, da questa emergenza, in una visione complessiva dei servizi dove l’ente locale è il primo luogo da cui partire, perché i comuni sono i più vicini ai bisogni non solo educativi dei cittadini.

In una grande città come Milano, la scuola non può essere lasciata sola ad affrontare queste complessità: la città può essere in grado di farsi carico, con un approccio integrato, i problemi multidimensionali che si verificano sui territori, cogliendo le interrelazioni e le diversità dei contesti.

Senza sostituirsi allo Stato, che in ambito scolastico rimane il maggior responsabile delle politiche, i comuni devono diventare i luoghi migliori in cui attuare i cambiamenti, anche in epoca di coronavirus.

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