fra nuove modalità (co)lavorative e nuove forme di rappresentanza
Il 2015 si è aperto con un numero dell’Economist dedicato a lavoratori alla spina e economia on-demand. Supportata dagli sviluppi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), l’espansione di questo tipo di economia rappresenta un elemento importante delle trasformazioni che hanno interessato i processi organizzativi del lavoro nel contesto postfordista. Le recenti riflessioni sull’economia on-demand si innestano, quindi, su una più generale tendenza alla flessibilizzazione del lavoro. Ambito nel quale va progressivamente emergendola centralità del lavoro indipendente a autonomo. In un recente report commissionato dallo European Forum of Independent Professionals, Patricia Leighton e Duncan Brown rilevano la forte e rapida crescita dei lavoratori indipendenti – i cosiddetti iPros – nelle economie europee. Secondo lo studio, l’Unione Europea sta assistendo al rapido incremento di questa categoria di lavoratori, che sono passati da poco più di 6 milioni nel 2004 a 8,9 milioni nel 2013. Definiti come professionisti autonomi senza dipendenti impegnati in attività intellettuali (sono, quindi, escluse quelle agricole, artigianali e commerciali), i lavoratori riconducibili alla dicitura iPros sono estremamente eterogenei fra loro: da designer ad avvocati, da neolaureati al loro ingresso nel mondo del lavoro a pensionati ex lavoratori dipendenti. Leighton e Brown evidenziano come questi professionisti vengano spesso dimenticati dalle politiche economiche e per il lavoro, nonché dal mondo della ricerca.
Come sottolineava il professor Mingione nell’intervento tenuto lo scorso settembre alla Palazzina Liberty, la destandardizzazione, l’eterogeneità e la discontinuità delle modalità e dei profili lavorativi contemporanei hanno messo in crisi le tradizionali forme associative e di rappresentanza. Al tempo stesso, assistiamo all’emergere di nuove soluzioni e configurazioni. I “nuovi professionisti” e le loro pratiche lavorative ci sembranoemblematici per riflettere su questo tipo di dinamiche. In particolare se inquadriamo la realtà dei nuovi professionisti nel panorama milanese, dove stanno emergendo nuove forme di aggregazione e di rappresentanza.
Interessante, in questo senso, è il coworking: pratica particolarmente diffusa e consolidata nel territorio milanese, e che gode del sostegno dell’amministrazione comunale. In un precedente studio abbiamo visto come, a certe condizioni, gli spazi di coworking possano diventare terreno di confronto, networking, collaborazione e scambio di informazioni, e come questa pratica lavorativa possa contribuire ad ampliare i network di collaborazioni e prestazioni lavorative dei coworker. Per un futuro sviluppo della ricerca, ci interessa osservare se e in che modo queste esperienze di socialità e condivisione siano funzionali all’emergere di soluzioni “politiche”, di risposta al deficit di rappresentanza e di rottura rispetto all’individualismo della condizione lavorativa di molti freelance. Allegri e Ciccarelli osservano come gli spazi di coworking e i relativi legami fra lavoratori siano strettamente connessi alle trasformazioni promosse dal Quinto Stato a livello di autotutela, cooperazione e condivisione. Arvidsson parla, piuttosto, di solidarietà debole, imprenditoriale, fra coworker, che non si traduce in critiche e risposte collettive a mercato e individualismo. Al tempo stesso, sottolinea come si tratti di “earlydays” e non si possano perciò escludere dei risvolti più collettivisti anche per gli “imprenditori del sé che popolano il mondo del lavoro creativo contemporaneo”. Lo scenario è in divenire e, attraverso le attività di Spazio Lavoro, cercheremo di osservarne ed interpretarne l’evoluzione.
Lucia Parrino
Approfondimenti
Palazzina Liberty. Il professor Enzo Mingione interviene sui nuovi profili lavorativi e le nuove domande di rappresentanza:
Scopri QUI i ricercatori di Spazio Lavoro.