L’articolo è tratto dal percorso editoriale dedicato alla figura e alle eredità di Margaret Thatcher in occasione di quarantanni dalle elezioni del 4 maggio 1979 che avrebbero cambiato per sempre la Gran Bretagna e l’Europa
Molte sono state le polemiche suscitate dalla politica dei governi Thatcher e varie le opinioni sui suoi effetti nel lungo periodo. Ma su alcune cose tutti sono concordi. In primo luogo, sui suoi effetti recessivi nel periodo 1979-1981, che portarono a un arretramento del Pil di alcuni punti, salvo poi una ripresa nella seconda metà degli anni Ottanta. In secondo luogo, sul costo sociale delle nuove politiche liberiste che, sfidando apertamente i sindacati operai, portarono alla chiusura di miniere e fabbriche, e un conseguente picco di disoccupazione che superò i tre milioni di persone nel 1983. Infine, vi è accordo sulla crescente disuguaglianza nei redditi che influì sulle caratteristiche della società britannica anche nei successivi decenni di crescita.
Un punto di vista poco utilizzato per valutare i cambiamenti del periodo sono invece i consumi e le spese familiari, angolazione invece molto utile per comprendere le variazioni di stile di vita e le trasformazioni interne alla società. Usando questa prospettiva, emergono alcune conferme e alcune novità.
Da un punto di vista generale, gli anni Ottanta sono un periodo di notevole crescita dei consumi per tutti in Gran Bretagna. Il classico paniere delle spese obbligate subì una trasformazione, per cui scesero percentualmente le spese per cibo e bevande, ma non quelle per la casa; salirono le spese per servizi e i nuovi consumi legati a mobilità e entertainment. L’elemento più caratterizzante del periodo 1979-1992 è la crescita della disuguaglianza all’interno dei consumi stessi: le fasce più povere, o meglio quelle che consumano meno, risultarono via via composte da un crescente numero di individui e il divario tra i loro consumi e quelli dei ricchi si accentuò. In altre parole, anche nella distribuzione dei consumi si nota una crescente disuguaglianza sociale, come nei redditi. Come suggeriscono studiosi come Alissa Goodman e Steven Webb, il 40 per cento della popolazione più povero vide salire le spese più del reddito, mentre per tutte le fasce più alte avvenne il contrario: gli introiti crebbero più delle spese, permettendo quindi risparmi e investimenti.
In questo quadro è interessante osservare alcuni dati che riguardano la classe operaia. In realtà, in questo periodo sembra di assistere a una profonda trasformazione dell’identità operaia: la “sconfitta” delle lotte nelle miniere e nelle fabbriche, con conseguente perdita di lavoro o diminuzione di salario, sembrò intaccare la tradizionale cultura di classe. Dal punto di vista dei consumi, a fine Ottanta i nuclei operai non si differenziavano più significativamente da altri gruppi di fascia bassa. L’identità basata sulla classe sociale si diluì in uno stile di vita sempre più influenzato dai media e dalla cultura popolare, al punto che molte analisi ritennero che gli elementi più qualificanti per valutare i consumi fossero ormai divenuti aspetti come il genere e l’età. Non solo. Un dato sorprendente segnala come nella fascia più povera della popolazione (primo decile), sempre nel periodo 1979-1992, si sia registrata una forte crescita dei consumi, del tutto indipendente dal reddito. La spiegazione ipotizzata, secondo Goodman e Webb, è che fino al 1979 la grande parte di questi poveri fosse composta da pensionati, con basse pretese in fatto di consumi, mentre nel corso degli anni Ottanta a loro si siano aggiunti i “nuovi poveri”, di età più giovane, e cioè ex operai disoccupati, lavoratori part-time, autonomi precari e simili, con esigenze di consumo più elevate. Pur senza reddito, questi ultimi cercarono di mantenere un discreto livello di consumi attraverso l’indebitamento, poiché lo ritenevano parte irrinunciabile del loro stile di vita.
La decadenza dei tradizionali consumi operai è documentata in molti modi. Prendiamo il consumo simbolo per eccellenza della socialità operaia britannica, la birra. Consumare birra insieme aveva da sempre rappresentato un fattore importante nello stabilire relazioni tra pari, al di fuori della fabbrica. Si tratta infatti di una pratica sociale, specificamente maschile, che connota la classe operaia dal suo insorgere, attingendo a una lunga tradizionale pregressa. John Burnett ha documentato come nel secondo dopoguerra il consumo di birra abbia registrato il suo massimo picco proprio nel 1979, con 27,1 galloni pro capite (124 litri), per declinare subito dopo: 24,3 galloni nel 1990; 22,4 nel 1993. Nello stesso periodo 1979-1990, il consumo di vino ha conosciuto al contrario un’impennata del 58 per cento e quello di bevande analcoliche è cresciuto anche di più. Anche in questo caso, il declino sembra legato all’impoverimento e alla riduzione numerica della classe operaia, e in particolare di minatori e operai delle fabbriche, che riconoscevano nella birra uno specifico valore culturale. Il risultato è stato un “imborghesimento” dei gusti in fatto di bevande.
Negli anni Ottanta, i consumi legati ai modi di vita tradizionali della classe operaia registrano quindi un progressivo slittamento, sotto i colpi della crisi e delle politiche neoliberiste. Ma non dappertutto. John Clarke, nei suoi studi sul calcio e la realtà operaia, ha mostrato come i consumi e gli stili tipici delle classi lavoratrici, cacciati dai posti di lavoro e da molti ritrovi sociali, si siano riprodotti nel calcio. Ovviamente non nello spettacolo “borghese” dello sport, ma nella partecipazione attiva, nei cori, nelle curve, nelle bevute, nei rituali a volte violenti degli spettatori popolari. I figli della classe operaia in crisi, magari divenuti skinhead, diedero nuova vita a forme di partecipazione diretta, purtroppo anche con derive drammatiche. Il governo Thatcher rispose agli hooligans con la creazione di un organo specifico, con compiti di polizia e repressione. Ma il problema non era semplicemente di ordine pubblico: forse, si trattava della reazione alla fine di un certo mondo operaio, con i suoi consumi e i suoi spazi.