Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.
“Ma qual è la pietra che sostiene il ponte?” chiede Kublai Kan.
“Il ponte non è sostenuto da questa o da quella pietra”, risponde Marco, “ma dalla linea dell’arco che esse formano.”
Kublai Kan rimase silenzioso, riflettendo. Poi soggiunse: “Perché mi parli delle pietre? E’ solo dell’arco che mi importa.”
Polo risponde: “Senza pietre non c’è arco.”
Italo Calvino, Le città invisibili
Parlare di mestieri della sostenibilità lascia sempre un senso di indeterminatezza, di mancata definizione, di pressapochismo: si parla infatti di innovatori sociali, architetti, docenti, ingegneri, lavoratori del mondo della cultura, dipendenti delle pubbliche amministrazioni, imprenditori, ma anche esperti del mondo della finanza e startupper. Cosa unisce queste persone, che affermano e sentono di far parte tutte di una medesima categoria di “lavoratori della sostenibilità”?
Per cercare di dare una risposta a questa domanda, abbiamo lanciato un momento di dibattito che offrisse l’opportunità a ciascuno di raccontare la propria esperienza lavorativa, cercando i punti in comune, gli elementi distintivi, i problemi quotidiani e strutturali da affrontare per descrivere una categoria che non esiste sulla carta ma che ritiene di esistere nella realtà di ogni giorno e ha grande voglia di raccontarsi proprio perché animata da una grande passione.
Una categoria che non è nemmeno scarsa di persone: in oltre 70 hanno assistito ad un webinar on-line, ascoltando pareri e partecipando alla discussione con i mezzi più disparati: commenti taglienti, domande, esperienze personali: a partire da un esercizio di tag-cloud, le parole che descrivono al meglio il lavoro nella sostenibilità per i partecipanti al webinar sono “futuro”, “innovazione”, “responsabilità”, “equità”. Ma anche “sfida”, “rispetto” e “umanità”.
Per contro, gli ostacoli percepiti dai partecipanti al webinar raccontano di una diffusa ignoranza, di mancanza di una cultura della sostenibilità, di difficoltà a farne un lavoro a causa della diffidenza nei confronti del termine, forse abusato, soprattutto della mancanza di riconoscimento, empatico ed economico, delle competenze e dell’impegno necessari al professionista della sostenibilità.
In sostanza, il cambiamento di percezione, per poter parlare di “lavori della sostenibilità” dovrebbe essere culturale, innanzitutto, pervasivo nelle pratiche economiche e gestionali, nella vita di tutti i giorni: essere sostenibili, per qualsiasi attore, ormai dovrebbe essere ovvio.
Si tratta di una riflessione che ricade sull’educazione, naturalmente, pur riconoscendo che la scuola formale ha dei tempi di innovazione e di reazione che non sono così veloci come sarebbe necessario, e soprattutto realizza che non è più possibile la semplice trasmissione di conoscenze: servono competenze riconosciute e riconoscibili, serve una leadership in grado di proporre una svolta culturale che consenta di rompere la resistenza al cambiamento e di combattere i preconcetti.
Le istituzioni culturali hanno grande peso in questo ruolo, meno formalizzato, di educatori e formatori: la stessa cura nel linguaggio da adottare è forse la prima soluzione e, se la parola “sostenibilità” è ormai stata superata e decisamente abusata, non ha ancora perso il suo valore intrinseco. Tuttavia, affiancata a concetti come quello della “rigenerazione” o della “creazione di valore”, consente di affinare un lessico (e una grammatica) capaci di mettere d’accordo linguaggi e approcci molto differenti tra loro, favorendo quella lettura transdisciplinare che tutti dobbiamo e vogliamo avere.
Si tratta di superare distanze culturali e di visione che impediscono una lettura organica e integrata della realtà, verso un approccio che sia olistico e capace di vedere e descrivere la realtà lavorativa da più punti di vista, uscendo dai “silos” disciplinari. E’ grazie a questo tipo di approccio che diventa possibile lavorare in modo integrato su un territorio, cogliendone gli asset e coinvolgendo tutti gli attori interessati, dalle pubbliche amministrazioni, alle aziende, al terzo settore, alla cittadinanza attiva.
Forse, il vero punto di partenza per parlare dei “mestieri” della sostenibilità, è proprio la capacità di stare a cavallo tra più mondi, di essere capaci di porsi come un fulcro attorno a cui ruotano mondi diversi e attori differenti, facendoli dialogare tra loro e mettendoli in rete. Questa capacità di porsi al baricentro di un sistema produttivo, sociale ed economico, consente di essere un mediatore importante nella catena di creazione del valore, affiancando una filiera e facilitandone le sinergie, sfruttando la creazione di reti e di relazioni a bassa intensità ed elevata efficacia.
Non si tratta più solo di marketing, Corporate Social Responsibility o di green jobs, ma si parla di migliorare la performance aziendale gestendo meglio il proprio profilo di rischio aziendale, si tratta di rendere più resiliente la propria azienda o il proprio ente di appartenenza. Niente di davvero realizzabile senza l’integrazione dei concetti di qualità e di merito come testimonianza e misura del lavoro e degli output prodotti, trasformando la reazione alle crisi da risposte emergenziali di breve termine in una forma di cultura aziendale in cui abbia grande spazio il dialogo e l’ascolto tra le diverse discipline e i diversi ruoli.
Così come per le università italiane è diventato un tema di grande attualità e importanza, tanto da essere direttamente delegato dal Rettore, la ricerca e l’accademia non devono smettere di agire come grandi disseminatori e divulgatori, sia attraverso la terza missione, sia come centri di diffusione di strumenti tecnologici e digitali, ormai diventati un driver indispensabile.
Hanno partecipato portando la propria esperienza, tra gli altri, Eric Ezechieli (CEO Nativa), Piero Pelizzaro (Chief Resilient Officer Comune di Milano), Matteo Colleoni (UNIMIB), Andrea Paoletti (innovatore sociale, progetti Wonder Grottole e Casa Netural), Marco Morganti (Direzione Impact Intesa Sanpaolo), Simone Molteni (Lifegate), Maddalena d’Alfonso (architetto, curatrice e Board member ICOM-ICAMT), Giulia Detomati (CEO di InVento Innovation Lab Impresa sociale).
Moderatore: Giacomo Magatti (UNIMIB)