Università degli studi di Trento

Seconda parte


Prima parte – Globalismo e globalizzazione: il problema

Terza parte – Globalismo e globalizzazione: cosa si può fare, linee di azione percorribili 


Walden Bello (Filippine) e Vandana Shiva (India) esprimono la visione da Sud: proclamando la fine di questa fase della globalizzazione, e auspicando, per i paesi del sud-est asiatico e dell’Africa, lo sviluppo di economie miste.

Bello e Shiva condannano la globalizzazione delle multinazionali sostenendo che il subappalto, da parte degli USA, di lavori in Asia impone agli agricoltori autosufficienti di quei paesi un regime di mercato che distrugge le società tradizionali. La de-globalizzazione (termine inventato da Walden Bello) fornisce ai governi asiatici l’opportunità di varare politiche economiche nazionaliste, a protezione dei settori di economia tradizionali.

A una conclusione analoga, pur da premesse opposte, giunge il populista americano Steve Bannon, ex vice-presidente di Cambridge Analytica e stratega della campagna elettorale di Trump. La crisi sociale che investe l’occidente, secondo Bannon, è il risultato di 20 anni di outsourcing in Asia da parte di aziende high-tech della Silicon Valley. Il crack del 2008 non è strutturale, bensì è il prodotto di politiche sbagliate dei governi democratici. Bannon accusa il ‘Partito di Davos’ di sostenere una globalizzazione irresponsabile, e nega l’esistenza di tutte le questioni (ad esempio il clima) che non possono trovare una soluzione nazionale.

A differenza di Bannon, Bello e Shiva, pur predicando la de-globalizzazione, mantengono una posizione globalista, sostenendo che la gestione delle risorse naturali, del clima e dei beni comuni deve essere coordinata tra i governi a livello mondiale.

Parag Khanna e Adam Tooze esprimono la visione della grande industria asiatica. Secondo Tooze, solo in una visione eurocentrica il presente appare caotico e incerto. Il capitalismo occidentale non è più protagonista. Il baricentro della globalizzazione impiegherà decine di anni per spostarsi da Ovest verso Est, ma nella visione dei politici cinesi rimarrà poi stabile per centinaia di anni.

Secondo Tooze, non esiste un momento analogo nella storia dell’occidente, dalle Crociate in poi. Parag Khanna osserva che il dominio dell’occidente, dal Cinquecento ad oggi, è una breve parentesi. Se si considerano tempi più lunghi, le culture indiana, cinese e araba sono state sistematicamente esportate nell’Ovest, mentre il contrario è avvenuto solo negli ultimi quattro secoli. L’ultimo episodio di globalizzazione, che inizia negli anni Ottanta, è ancora in corso, ma il modello del capitalismo occidentale è progressivamente sostituito dal modello asiatico di economia mista.

Nel suo libro The Future is Asian (2019) Khanna misura l‘avanzata dei paesi emergenti dell’Asia su tre dimensioni: la cultura asiatica ha ormai permeato l’Occidente, dal cibo alla moda, dallo yoga alla meditazione; la concentrazione finanziaria e manifatturiera continuerà a rafforzare la supremazia economica asiatica; la leadership occidentale è entrata in una crisi di valori e di credibilità difficilmente recuperabile, mentre il modello asiatico di economia mista è adottato da un numero crescente di paesi terzi.

Infine, la diffusione attraverso i media ha contribuito a creare sinergie tra culture asiatiche confinanti, creando un senso di identità collettiva sconosciuto finora ai popoli dell‘Asia. Un’autoconsapevolezza pan-asiatica sta per la prima volta rivaleggiando con l’identità occidentale.

 

McKinsey Global Institute si preoccupa di mediare tra il modello occidentale e il modello asiatico delle multinazionali. Riconosce l’aumentato potere economico dell’Asia, ma sottolinea alcuni limiti del modello di economia mista stato-privato, e indica alcuni correttivi che possono renderlo effettivamente globale. Di fatto, McKinsey offre consulenza strategica ai suoi nuovi clienti: le multinazionali asiatiche.  Contemporaneamente documenta in modo accurato i loro progressi: negli ultimi due decenni le società asiatiche sono passate dal 19% al 40% nella composizione delle Fortune global 500. Nella classifica 2018, “210 delle prime 500 aziende per ricavi erano asiatiche”. Ma le aziende asiatiche che giocano sul terreno globale non si limitano ai chaebol e keiretsu, ai grandi conglomerati coreani e giapponesi, o alle aziende controllate dal governo cinese: tra le prime 5000 aziende globali per ricavi quelle asiatiche formavano il 36 % nel 1997, e sono salite al 43% nel 2017. Questo dato consolida l’idea che l’Asia offra anche un modello di capitalismo imprenditoriale.  Al contrario, nell’industria digitale in occidente un numero limitato di grandi aziende “first take all” garantiscono ai loro azionisti e dipendenti ricavi largamente superiori alla media, mentre il resto delle imprese e di lavoratori comanda profitti e salari marginali. Se il panorama delle imprese asiatiche si sta almeno in parte occidentalizzando, la piramide dimensionale delle imprese occidentali appare sempre più schiacciata. Lo stesso accade per la distribuzione dei redditi privati.

 

Nel suo libro Open (2019) Kimberly Clausing promuove la visione “neo liberal” pura, condivisa finora dai partiti di governo delle democrazie europee. La globalizzazione, per Clausing, è un fatto ineluttabile, e gli stati occidentali devono affrontarne le conseguenze. Il libero mercato è il solo modello praticabile: occorre solo gestirlo meglio. La disoccupazione in occidente non è il risultato dell’outsourcing all’Asia, bensì dell’automazione in molti settori produttivi. D’altra parte, i singoli stati non riescono a ottenere dalle multinazionali il pagamento delle imposte sul reddito. Dunque la pressione fiscale sui ceti medi aumenta, mentre le opportunità di impiego diminuiscono. Un’azione coordinata globale consentirebbe di ottenere maggior gettito fiscale dalle multinazionali, e con il ricavato di finanziare programmi per agevolare la transizione dei lavoratori alla nuova economia globale.

 

Infine, Greta Thunberg e Alexandra Ocasio Cortez proclamano la visione “globalista”. Ci sono problemi che si pongono su scala globale, come clima e inquinamento, e solo su scala globale possono essere risolti. Ocasio Cortez ha presentato alla Camera Americana una proposta di legge, il Green New Deal, un pacchetto di stimolo economico centrato sullo sviluppo di energie rinnovabili e processi non inquinanti nella produzione industriale e nella distribuzione, non dissimile dalla politica industriale di Angela Merkel. Ocasio Cortez accusa il governo americano in carica di paralizzare ogni proposta di soluzione con la paura: paura degli altri, del futuro, e di non riuscire comunque a risolvere il problema.

Negli Stati Uniti la convergenza tra le proposte di Ocasio Cortez e il movimento della generazione di Greta Thunberg è un fatto politico acquisito, testimoniato dalla sviluppo del Sunrise Movement, una folta organizzazione di giovani ambientalisti sotto l’età del voto, che ha adottato il Green New Deal quale proprio programma.

La prossima puntata si occuperà di esplorare quali, tra le proposte promosse da queste posizioni, possono contribuire alla soluzione di alcuni dei problemi; e come si dovranno organizzare le forze in campo per aumentare la probabilità di successo.

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