Università di Napoli "L'Orientale"

Dalla rubrica, Il lavoro delle donne


Proponiamo qui un estratto del saggio di Marina Calloni Povertà materiale e immateriale in una società neoliberista contenuto nel volume Le eredità delle crisi, a cura di Paolo Frascani.


Se un tempo le condizioni di povertà erano causate da forme diversificate di discriminazione e di marginalizzazione sociale sulla base del reddito, la crisi degli ultimi decenni indica nuove forme di pauperismo sociale che fanno regredire tenori di vita e diritti previamente acquisiti. Ovvero, in molti casi la condizione della classe media tende a unificarsi con quella che un tempo era considerata la classe proletaria in termini di rendita economica, a causa della perdita dei posti di lavoro usualmente connessi alla società industriale.

Tradizionali disuguaglianze si uniscono così a nuove discriminazioni, dove il fattore economico è inevitabilmente connesso alla mancanza dello sviluppo delle capacità umane: sviluppo tecnologico ed educativo non determinano più necessariamente un’occupazione remunerata. Vecchie povertà si assommano a povertà nuove o di ritorno, così come viene indicato da varie analisi svolte nell’ambito degli Inequality Studies e degli Human Dignity and Humiliation Studies. Si prenda il caso della questione di genere, dove forme tradizionali di discriminazione continuano a perpetuarsi, nonostante i diritti acquisiti e le mutate condizioni educative e lavorative delle donne. Il grafico sotto riportato indica a livello comparativo la condizione delle donne nei diversi paesi.

 

Come si può evincere, l’Italia presenta ancora molte disparità, come messo in evidenza dal Global Gender Gap Report, edito annualmente dal World Economic Forum, con l’intento di misurare il divario di genere esistente in 149 paesi, come misurato secondo diversi parametri e in quattro aree principali: partecipazione e opportunità economiche, livello di istruzione, salute e condizioni di vita, responsabilizzazione politica, indicando come marginalizzazione e povertà di opportunità coincidano. Il caso dell’Italia è estremamente interessante da analizzare. Se apparentemente le donne italiane sembrano perlopiù affrancate da dettami patriarcali, godendo di libertà individuali e di diritti, tuttavia i dati indicano non soltanto un mancato avanzamento, ma addirittura un regresso rispetto a statistiche precedenti. L’Italia si attesta al 70° posto, retrocedendo rispetto al 2015, quando eravamo collocati al 41° posto. Rimane la sottorappresentazione delle donne nel mercato del lavoro, nonostante i sempre maggiori titoli di studio e le qualificazioni professionali. Fra i 34 paesi dell’OCSE l’Italia è al quarto posto per disoccupazione femminile dopo Grecia, Spagna e Turchia. Rimangono sempre maggiori i carichi di lavoro per la cura familiare: è il 19,2% la quota di tempo che le donne dedicano giornalmente al lavoro domestico e di cura senza essere retribuiti, a fronte del solo 7,4% impiegato dagli uomini per le medesime occupazioni. Tali differenze sono rinvenibili nel gap salariale, misurato sui salari lordi di lavoratori full time e dipendenti da aziende private. Rimane la lacuna sistemica per quanto concerne le politiche strutturali per la genitorialità. L’unica sfera che mostra un avanzamento è la sfera educativa con un crescente numero di donne laureate. Alcuni miglioramenti sono riscontrabili anche nella rappresentanza politica nei consigli comunali e nel Parlamento, ma non nei consigli Regionali e nelle rappresentanze istituzionali.

Il trend demografico indica inoltre profondi squilibri esistenti nella società italiana: continuano a calare le nascite (natalità al 1.32%), diminuisce la popolazione residente in Italia, aumentano le persone che lasciano il nostro paese, decrescono i decessi nonostante continuino a rimanere superiori alle nascite, si amplia l’aspettativa media di vita: 80,8 anni per gli uomini e 85,2 per le donne. Sono anche in diminuzione i figli nati da immigrati con regolare permesso di soggiorno, che si attestano a poco più di 5 milioni.

Unitamente a tradizionali forme, tali statistiche adombrano nuove povertà, non solo presenti, ma prospettate nel futuro. Riguardano le giovani generazioni, dove l’attuale carenza di lavoro si assomma ad una prevedibile mancanza di assistenza socio-sanitaria e pensionistica negli anni a venire. Nuove e vecchie povertà si assommano a discriminazioni e marginalizzazioni.

Un paese come l’Italia, riconosciuto fra le maggiori potenze industriali al mondo, ma che gode solo del 49% di donne regolarmente retribuite e che ha il 34% dei giovani fra i 15 e 24 anni disoccupati, non può essere un paese giusto: povertà economica e mancato sviluppo delle capacità umane si assommano, con terribili conseguenze sul futuro. Il Gender Gap Index indica invece chiaramente che i paesi più poveri sono quelli dove è minore l’occupazione femminile e dove mancano politiche di sviluppo per i giovani. Quanto potrà durare la ricchezza accumulata in Italia? Investire sul futuro significa pensare a una società più equa e ad ambienti più sostenibili per le generazioni presenti e che verranno.

 

 

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