Il Bairro da Torre è un quartiere autoprodotto della regione metropolitana di Lisbona nella quale oltre 1800 famiglie vivono in baracche, costituendo, ancora oggi, una realtà quasi invisibile nell’agenda politica portoghese.
Nato dall’occupazione, avvenuta oltre 50 anni fa, di un terreno pubblico che confina con l’aeroporto (concesso in uso a NAV-Aeroportos de Portugal) e di un terreno attiguo ma privato, il quartiere ospita una piccola comunità di famiglie prevalentemente gitane e africane, riunite nell’associazione Torre Amiga.
Nel 2000 vivevano nel quartiere oltre 300 famiglie di cui molte ricollocate nel 2007 e nel 2011 nell’ambito del Programa Especial de Realojamento (PER). Le abitazioni dei soggetti non coinvolti dal PER furono demolite, eppure diversi nuclei familiari decisero di restare a vivere nel quartiere, autoproducendo nuovamente le proprie case. Dopo alcuni eventi avversi, come il taglio dell’energia elettrica nel 2016 e un incendio nel 2018, altre famiglie sono state ricollocate singolarmente, privandole così delle reti di solidarietà e cooperazione da cui dipendevano. Grazie alla loro capacità di rimanere unite e al sostegno di alcuni collettivi, circa 15 famiglie vivono ancora oggi nel quartiere insieme alla loro comunità.
Seppur stigmatizzato e segnato da disuguaglianza ed emarginazione sociale e spaziale, nonché da gravi lacune infrastrutturali e abitative, il Bairro da Torre rivela diverse e ricche esperienze di appropriazione e autoproduzione dello spazio ed è oggetto di azioni che ne incarnano l’energia, promuovendone la riqualificazione e contrastando così le posizioni favorevoli al suo sradicamento.
Dal 2014, il Grupo de Estudos Sócio-Territoriais, Urbanos e de Ação Local (GESTUAL) della Facoltà di Architettura dell’Università di Lisbona collabora con l’associazione Torre Amiga e con le istituzioni locali alla ricerca di soluzioni. Sono stati condotti un’indagine socio-abitativa delle famiglie per identificare le priorità da affrontare, uno studio dei vincoli urbanistici e della situazione catastale e un rilievo architettonico di ogni abitazione. Sono state implementate con i residenti alcune piccole migliorie utilizzando materiali e processi low tech e a basso costo, coinvolgendo anche studenti di architettura in laboratori didattici.
photocredits GESTUAL
Il GESTUAL ha, inoltre, accompagnato l’associazione locale nella partecipazione all’Assembleia de Moradores, esperienza di auto-organizzazione che unisce la Torre Amiga ad altri collettivi di quartieri periferici e autoprodotti della regione metropolitana con lo scopo di rivendicare il diritto a un abitare dignitoso. Gli studi sulle condizioni di vita dei residenti e i racconti delle famiglie ricollocate in altri quartieri lontani tra loro, hanno rivelato i legami che uniscono i residenti di etnia africana e gitana in una sola comunità e il loro sogno di costruire un nuovo quartiere dove poter vivere più decorosamente e insieme. Pertanto, il GESTUAL ha elaborato una proposta per un nuovo quartiere in una striscia di terra, libera e pubblica, che confina con quello attuale, cercando di motivare i poteri politici con un tipo di intervento più innovativo e partecipato. I quartieri autoprodotti su terreni occupati, infatti, soprattutto quelli che possiedono una localizzazione strategica per il mercato immobiliare, sono stati tendenzialmente oggetto di interventi di tabula rasa.
Gli interventi del GESTUAL nel Bairro da Torre sono solo piccole azioni puntuali sullo spazio costruito, con risultati palliativi rispetto ad una riqualificazione strutturale del quartiere e delle singole abitazioni. Tuttavia, queste sono state sempre realizzate in stretta collaborazione con gli attori locali, coinvolgendoli costantemente nei processi decisionali. Nonostante conflitti e limiti, l’intervento del GESTUAL rappresenta perciò, un esercizio di immaginare delle forme più orizzontali di articolazione tra il mondo accademico e la società civile, alla ricerca di un’alternativa rispetto alla crescente tecnicità dell’intervento pubblico e ad una pratica di architettura cosiddetta ‘d’autore’.
photocredits GESTUAL
I processi sviluppati nel Bairro da Torre mettono in atto pratiche impegnate nell’inclusione, nella partecipazione e nell’emancipazione sociale, analizzando e smantellando i ‘modi di fare’ e le ‘condizioni di produzione’ attuali dell’architettura. Si costituiscono come pratiche di un’architettura che rifiuta logiche tecnocratiche e approcci top-down, caratterizzandosi al contrario per una stretta interazione con le comunità locali, per la promozione di processi aperti alle particolarità di ciascun tempo e territorio e di piccoli progetti su base locale che coinvolgono gli abitanti in quanto autori della trasformazione del proprio spazio, privilegiando così la coesione sociale e territoriale, la valorizzazione delle preesistenze (costruite e sociali), il rafforzamento delle identità e delle solidarietà locali. Andando oltre il disegno di edifici e utilizzando tattiche estranee agli strumenti consolidati di gestione del territorio, questi processi costituiscono dispositivi di riattivazione che mirano a imparare a osservare e trasformare collettivamente e creativamente la città. Gli ‘architetti ribelli in azione’ (modo in cui David Harvey nel suo Spaces of Hope definisce tutti quelli che, attraverso l’immaginazione, provocano la rivelazione delle contraddizioni del modo di produzione capitalista e delle possibilità per superarlo), sfidano i paradigmi globali d’intervento e collaborano all’apertura di spazi di resistenza, dove un nuovo diritto all’abitare viene costruito insieme.
Nel Bairro da Torre è stato promosso questo approccio investigativo, immaginativo e sperimentale, un approccio di ascolto dei luoghi, alternativo a un sistema che cerca di sorvegliare e limitare la complessità contemporanea all’adempimento di norme. L’architettura diventa in questo modo, una scienza imprevista e aperta a deformazioni, metamorfosi, a volte aberrazioni, intuizioni e casualità. La città si costituisce, così, come testo aperto e i suoi abitanti si trasformano in scrittori di geografie più umane nelle sue trame dimenticate. È questa città fatta collettivamente che, come architetti, dovremmo curare e coltivare per provocare l’immaginazione di un altro futuro.