Nel 1923, a un anno dall’investitura di Mussolini a Primo Ministro, Giacomo Matteotti e Giovanni Amendola stilano un bilancio del primo anno di governo fascista.
Secondo il deputato socialista, l’organigramma statale era stato svuotato dei suoi poteri per essere sostituito dai quadri organizzativi del Partito Nazionale Fascista; Ministri, professori, magistrati, impiegati dello Stato venivano esonerati perché non graditi al partito fascista. Tale logica, che finiva col calpestare le libertà e violare le procedure di uno Stato di diritto, aveva portato ad una condizione per cui l’essere fascisti rappresentava una “seconda e più importante cittadinanza italiana”. La peculiarità del fascismo non consisteva solo nell’aver avocato a sé un potere amministrativo che gli permetteva un controllo capillare del territorio, il regime aveva gettato le proprie basi anche strumentalizzando l’immaginario e la memoria pubblica, deformandoli conformemente al proprio volere, facendo diventare l’anniversario della marcia su Roma una festa nazionale.
Quasi a riecheggiare le considerazioni di Matteotti, Giovanni Amendola mette in guardia i lettori, esortandoli a non trascurare “lo spirito totalitario” del fascismo, una caratteristica in grado di creare “asservimento indotto” al regime in fieri, manipolando gli usi, i costumi, la coscienza degli italiani. Dunque, già nel 1923, Amendola aveva intravisto nella breve esperienza fascista una forma “totalitaria” di gestione e ricreazione del potere, anticipando così le analisi che Hannah Arendt svilupperà nel secondo dopoguerra, concentrandosi sullo studio dei tre regimi liberticidi della prima metà del Novecento: nazionalsocialismo, fascismo, stalinismo.
Giacomo Matteotti, LO STATO ASSERVITO AL PARTITO, in Un anno di dominazione fascista, (1923)
[pubblicato in Scritti sul fascismo, a cura di Stefano Caretti, Nistri-Lischi Editori, Pisa 1983]
– “La milizia fascista pagata sul bilancio dello Stato si è sostituita a una polizia imparziale reclutata fra tutti i cittadini, violando l’art. 24 dello Statuto, secondo il quale «tutti i cittadini egualmente sono ammissibili alle cariche civili e militari».
– Il Gran Consiglio Fascista si è sostituito al Consiglio dei Ministri disponendo delle cose della Nazione.
– La Direzione del Partito Fascista il 9 ottobre 1923 dichiara che è interdetta ogni forma di interferenza o ingerenza di rappresentanti del partito nell’opera degli organi del Governo; ma contemporaneamente chiama continuamente, a rapporto i Prefetti dello Stato italiano (es.: Girgenti, Trapani, Pesaro, Grosseto, ecc.), e impartisce ad essi istruzioni o ordini, dei quali uno dei più curiosi è in nota [1].
A Palermo sono riuniti tutti i Prefetti della Sicilia, sotto la Presidenza del sig. Teruzzi [2] che è nulla nello Stato, ma che è soltanto un membro del Comitato diligente il Partito fascista.
– I Prefetti, i Questori, i Comandanti dei Carabinieri devono sempre sentire localmente, nelle più importanti questioni, l’avviso del dirigente del Fascio locale.
– Alcuni Prefetti partecipano addirittura alle dimostrazioni di piazza fasciste contro altri partiti (es.: il Prefetto di Trapani, 4 ottobre 1923).
– Il 28-30 ottobre è celebrato come festa nazionale, l’anniversario della conquista violenta del potere da parte dei fascisti. Anche il Re vi interviene.
– La Federazione sindacale fascista emana proclami come questo: «Constatata la formazione, da parte degli agricoltori, di squadre armate di offesa verso i sindacati fascisti; constatata l’assenza dell’autorità prefettizia; gli intervenuti dichiarano di costituirsi localmente in comitato segreto di difesa, alle dirette dipendenze della Segreteria generale della Federazione Sindacale Fascista di Padova». (Padova, 15 agosto 1923).
– I Ministri della Marina e della Guerra invitano le Medaglie d’oro alla commemorazione fascista, e le autorizzano a ritirare l’indennità di viaggio dalla sede del Partito Fascista (21 ottobre 1923).
– A Napoli la Giunta Esecutiva dell’Associazione nazionalista italiana comunica: «… La Giunta constatata la situazione particolarmente grave in quelle province dove, come a Napoli, le autorità si sono apertamente fatte complici delle sopraffazioni tentate dai fascisti ai danni delle sezioni nazionaliste…» (30 dicembre 1922).
– Ancora a Napoli il Prefetto Coffari, che non era in sede al momento degl’incidenti tra fascisti, è destituito d’urgenza, e sostituito con un altro (ottobre 1923).
– «A Torino – dice lo stesso «Popolo d’Italia» – non c’era il Prefetto e nemmeno il Questore, ragione per cui la polizia non ha funzionato ed ha abdicato completamente i suoi poteri nelle mani delle squadre d’azione» (29 dicembre 1922).
Si è arrivati fino al punto che la Federazione Fascista Polesana dirama la seguente circolare: «Allo scopo di dare alla Federazione un sistema di amministrazione, il Consiglio propone di ripartire i contributi sulla base degli accertamenti erariali di reddito catastale e di reddito imponibile di R.M., e di far eseguire l’esazione dagli esattori delle imposte. Firmati: Luigi Arcangeli e ing. Enzo Casalini» [3] (Rovigo,2 aprile 1923).
– Abusando della legge dei pieni poteri (che dovrebbe avere periscopo la… semplificazione dell’amministrazione) i1 Governo ha decretato la emissione di una speciale serie di francobolli,nei quali gli emblemi dello Stato italiano e della monarchia sono sostituiti da quelli del Partito Fascista, (Decr. 21 ottobre 1923, n. 3451). Altrettanto per le monete.
– Tutti, e solo i fascisti e i graditi al fascismo, possono portare rivoltelle e avere il porto d’arme (vedi circolare del Prefetto di Novara).
-La tessera del Fascio è condizione quasi assoluta per
rimanere tranquilli negli impieghi pubblici. Moltissimi impiegati dello Stato, professori, magistrati, operai sono stati esonerati o licenziati unicamente perché non graditi al partito fascista. Nei gradi inferiori la eliminazione è avvenuta a migliaia.
Nei gradi superiori si è arrivati al caso inaudito del collocamento a riposo del Primo Presidente della Corte di Cassazione Lodovico Mortara che aveva fatto parte di un Ministero anteriore; e al licenziamento del professore di Università Lombardo Pellegrino, deputato dell’opposizione costituzionale, senza preventiva comunicazione del provvedimento!
– L’essere fascisti è insomma una seconda e più impor-tante cittadinanza italiana, senza la quale non si godono i diritti civili e la libertà del voto, del domicilio, della circolazione, della riunione, del lavoro, della parola, e dello stesso pensiero”.
NOTE:
[1] La Segreteria del Partito fascista ha inviato alle Federazioni provinciali ed ai Prefetti del Regno la seguente circolare: «Il Direttorio. Nazionale ha voluto che la quasi totalità dei Fasci rinnovasse le cariche sociali attraverso il sistema elezionistico, affinché fosse garantito a tutte le correnti di esprimere il proprio pensiero e di imporre, per mezzo di una votazione, le proprie direttive. In tal modo il Direttorio Nazionale si ripromette di dare sfogo a tutte le passioni che hanno agitato fino ad oggi la compagine interna dei singoli Fasci… Non intende però che le assemblee si trasformino in campi di battaglia tra fascisti e fascisti. Pertanto prende i seguenti provvedimenti: Sia nelle assemblee dei Fasci per la nomina dei Segretari Politici, sia nelle Assemblee dei Consigli Provinciali per la nomina delle Federazioni e dei Segretari Provinciali, sarà ammessa la più ampia libertà di discussione, La discussione dovrà avvenire nelle forme consentite dal più elementare senso di educazione civile e politica. Non sono ammesse violenze di alcuna sorta; sarà impedito ai Fascisti di entrare armati nella sala dell’assemblea, I fascisti già espulsi, che tentassero di entrare nella Sala dell’assemblea saranno immediatamente arrestati dalla Milizia Nazionale e dal Carabinieri. Il Presidente dell’assemblea avrà a sua disposizione nell’interno della Sala il Comandante più alto in grado della Milizia al quale darà le necessarie istruzioni per il mantenimento dell’ordine interno. Fuori della sala vi sarà un Delegato di P.S. con un Reparto di CC. RR, Qualora nella sala avvenissero grava tumulti l’autorità di P.S. sarà autorizzata a sgombrare l’Assemblea, ad occupare, la Sala ed a chiudere il Fascio. Tutti coloro che nell’interno della sala risultassero provocatori di tumulti o di violenze, potranno essere arrestati». (Novembre 1923) [n.d.r.]
[2] Affilio Teruzzi (1882-1950), già comandante nel 1920 delle squadre milanesi, era stato chiamato alla carica di vice-segretario generale del Partito fascista al congresso di Roma del 1921. Durante la marcia su Roma aveva assunto il comando della zona dell’Emilia e della Romagna.
[3] Enzo Casalini, uno dei maggiori esponenti del fascismo polesano. Console generale della Milizia, ricopri a lungo anche la carica di segretario politico provinciale dei Fasci del Polesine.
Giovanni Amendola, Un anno dopo, 2 novembre 1923
din Id., La democrazia italiana contro il fascismo 1922-1924, Ricciardi, Napoli, 1960.
Non abbiamo partecipato alla celebrazione della «marcia sii Roma» che giudicammo, come giudichiamo tuttora, l’apoteosi di un partito al quale non apparteniamo; ed anzi non mancammo di far sentire, tempestivamente, la nostra voce di monito contro il carattere solennemente ufficiale che veniva impresso ai festeggiamenti. Si obiettò che la nostra mentalità restava così angustamente partigiana da impedirci di riconoscere che, in questo caso, il partito si perdeva nello Stato e si confondeva con la nazione, sicché la celebrazione diventava italiana ed aveva significato di conciliazione. Ma noi pensiamo che quando un partito si perde nello Stato, esso fa proprie le date dello Stato e non impone allo Stato le proprie; come pensiamo che quando un partito si identifica con la nazione, esso celebra se stesso nei fasti della nazione e non costringe la nazione a ripercorrere osannante le tappe del suo cammino e della sua fortuna. Fra tre giorni, fra tre soli giorni, lo Stato italiano e la nazione italiana incontravano l’unica data nella quale tutti gli italiani possano riunirsi per fraternizzare: la data della Vittoria. Perché il partito fascista, se voleva confondersi con lo Stato e con la Nazione, non ha invitato tutti gli italiani a celebrare insieme la Festa della Vittoria?
Dunque non abbiamo partecipato alle feste dei giorni scorsi — e non ce ne pentiamo. Né riusciamo ad intendere perché mai l’oratoria ufficiale, che ha ripercorso le tappe della «marcia», abbia consumato tante punte contro coloro — definiti pochi ed impotenti — che non hanno aderito. Perché mai? Veramente la caratteristica più saliente del moto fascista rimarrà, per coloro che lo studieranno in futuro, lo spirito «totalitario»; il quale non consente all’avvenire di avere albe che non saranno salutate col gesto romano, come non consente al presente dì nutrire anime che non siano piegate nella confessione: «credo». Questa singolare «guerra di religione» che da oltre un anno imperversa in Italia non vi offre una fede (che a voler chiamar fede quella nell’Italia, possiamo rispondere che noi l’avevamo già da tempo quando molti dei suoi attuali banditori non l’avevano ancora scoperta!) ma in compenso vi nega il diritto di avere una coscienza – la vostra e non l’altrui – vi preclude con una plumbea ipoteca l’avvenire.
Grave errore! Il fascismo non ha nulla da guadagnare nel ricordare continuamente agli italiani che gli «avversari» esistono: sia pure per vituperarli. Meglio assai provvederebbe a sé, se cercasse di farne dimenticare l’esistenza! Invece, se anche gli avversari volessero impigrire nell’ozio dell’attesa, l’oratoria fascista li richiamerebbe, ad ogni nuova ora, al posto del dovere.
Non abbiamo nemmeno partecipato alla ricostruzione storica degli eventi attraverso i quali il fascismo giunse al potere; giacché la storia non si fa in queste condizioni. Le rievocazioni che abbiamo letto nei giorni scorsi, hanno, semplicemente, depositato sugli avvenimenti dell’ottobre ’22 un po’ di nobilitante patina del passato; ma sono assai lontane dal costituire la storia di quanto è avvenuto. Per scrivere la storia bisognerà, prima di tutto, sentire l’altra parte; e poi bisognerà mettere a contributo fatti e documenti che forse né l’una né l’altra parte sarebbero in grado di determinare o di fornire fin da oggi. È ovvio che, nelle presenti condizioni, la storia dell’avvento del Governo fascista non possa essere scritta. Consideriamo, pertanto, ciò che è apparso sui giornali, come parte integrante della celebrazione anniversaria: frammenti di cronaca troppo spesso legati all’esaltazione autobiografica o alla eloquenza commemorativa, perché possano far testo. La storia sarà scritta più tardi; ed a scriverla sarà necessario il contributo di molti, la cuti parola non suonerebbe, oggi, né efficace né opportuna.
Una sola parola è stata detta, aspra ma giusta; che porta in sé un presentimento di verità: e la pronunziò a Milano lo stesso Mussolini allorché parlò della «incommensurabile viltà» che gli aprì la via. È appunto quella «incommensurabile viltà» che impedirà agli storici futuri di vedere una rivoluzione, là dove, invece, non vi fu che una lenta ma progressiva, ed infine vertiginosa abdicazione la quale, ad un certo punto, andò ad incontrarsi con una presa di possesso. Gli uni, quasi cedendo ad una suggestione irresistibile, si protesero a cedere ed a consegnare ciò che avrebbero dovuto difendere e che gli altri volevano, invece, ad ogni costo conquistare e possedere. Non vi fu lotta e non vi fu urto: vi fu abbandono da una parte e presa di possesso dall’altra. E si badi che non intendiamo riferirci in modo particolare ai giorni della «marcia su Roma», bensì a tutto il periodo antecedente. I Governi mancarono decisamente alla propria funzione; e mentre resero se stessi ridicoli, sì da meritare la sempre ricorrente qualifica di «imbellì» con la quale l’ingratitudine fascista li bolla oggi di continuo, condussero il fascismo verso le supreme tentazioni. Ed il fascismo, fra tante parole di inutile durezza che ha pronunciate, ha dimenticato — fino ad oggi — di condannare, ad alta voce, la mancata difesa dello Stato — sia pure propizia alle fortune fasciste — di cui si resero colpevoli quei Governi!
Quando gli avvenimenti che ieri sono stati celebrati, con tanta pompa di solennità ufficiale, erano in gestazione, abbiamo, in queste nostre colonne, sostenuto che lo Stato non dovesse abdicare e che i rappresentanti del fascismo dovessero essere chiamati a partecipare al Governo. Era una tesi che appariva intransigente là dove la transazione sarebbe stata colpa e tradimento, e che permetteva altresì l’iniziativa politica là dove questa poteva giovare a far superare la crisi. E la difesa ferma e strenua dei diritti dello Stato, avrebbe trattenuto il fascismo dalle estreme audacie e lo avrebbe persuaso dell’opportunità, anzi della necessità, d’incanalarsi per le vie legali.
Non pensavamo certo di opprimerlo con mezzi di polizia, come più di una volta stupidamente è stato detto; ma volevamo disciplinarlo e dominarlo nell’interesse dello Stato. Che il problema fosse quello, e non altro, e che la via buona fosse quella da noi intravista, è dimostrato dal fatto che, ad un anno di distanza, Mussolini è costretto ancora a lottare per disciplinare e dominare il fascismo senza peraltro riuscirvi. Ma Mussolini deve imporre una legge ad un fenomeno di cui egli è la suprema manifestazione, e che lo ha condotto, attraverso il colpo di mano, al possesso dello Stato: situazione moralmente difficile, e psicologicamente complessa. Altri Governi sarebbero stati più liberi in questa bisogna. Ma l’«incommensurabile viltà» impedì che quanto doveva essere fatto si facesse, e condusse il fascismo al possesso integrale dello Stato.
Ora, poiché ciò che è accaduto fu conseguenza necessaria ed inevitabile dello stato degli spiriti che determinava la paralisi infingarda e vile delle volontà cui gli organi statali avrebbero dovuto obbedire, noi siamo ben lontani da quella forma di mentalità astrattista e fanatica che vuoi negare perfino l’evidenza del fatto compiuto, quando il fatto, sia in contrasto col pensiero e col sentimento. Noi riconosciamo, invece, negli eventi compiutisi un anno fa, la conseguenza inevitabile di una situazione anormale ed intollerabile, la critica sommaria e violenta di molti processi degenerativi che si erano determinati, sopratutto in conseguenza della guerra, nella nostra vita politica, ed il punto di partenza per il riesame di tutta la nostra vita nazionale. Nessun partito rinuncerà alla grande libertà di spirito che ha seguito questa frana; ognuno anzi, vorrà profittarne per rivedere, insieme a sé stesso, tutte le sue posizioni e tutti i problemi che sono all’ordine del giorno.
Se dunque oggi, come un anno fa, noi siamo all’opposizione di fronte al fascismo, ciò non è certo in nome del passato col quale abbiamo, in fin dei conti, assai meno da spartire che non gli stessi fascisti che ne furono i profittatori, e che, dalla sua imbelle codardia, trassero le ragioni della loro fortuna, mentre noi ne fumino le vittime, e ne subimmo, come ne subiamo ancora oggi, tutto il danno.
Non siamo dunque all’opposizione in nome del passato, che per noi è più morto ancora che per il fascismo; ma siamo e restiamo all’opposizione in nome dei principii che hanno dominato tutta la storia politica italiana dai giorni del Risorgimento fino a ieri e che hanno condotto il nostro Paese dall’Unità nazionale alla Vittoria. Quei principii non sono andati travolti attraverso la crisi che ha condannato, invece, le degenerazioni di certa nostra vita politica. Non è il caso di alimentare confusioni: ciò che è accaduto nella Camera italiana, come conseguenza inevitabile di un fatto unico nella storia del nostro popolo, quale la partecipazione alla grande guerra, non porta affatto a condannare il sistema parlamentare, né a rinunciare alle pubbliche libertà.
Nessuno vi attenta! — si dirà dall’altra parte. E via!
Noi non vogliamo l’Italia del ’22 con le due crisi di venti giorni, e con lo Stato impotente di fronte ad un esercito di cittadini in arme; ma non vogliamo nemmeno l’Italia del ’23, con un Governo circondato e difeso da una milizia di partito, con un partito libero di consacrarsi alla manomissione di tutta la vita nazionale a beneficio dei suoi aderenti, con un Parlamento che si avvia placidamente verso il letargo che gli è preparato dalla nuova legge elettorale. Vogliamo l’Italia libera ed ordinata — padrona di se stessa e capace d’imporsi liberamente una severa disciplina; vogliamo un’Italia che tragga dallo evento fascista la capacità di reprimere e di dominare l’istinto anarcoide e demagogico che dorme nell’animo del suo popolo, e che torni, ricca di accresciuta esperienza e di maturità, sulla via maestra della sua storia — che è la via segnata dalle libere istituzioni.
Non siamo dunque al di qua, ma al di là del fascismo. Non rifiutiamo di trarre, dal fatto compiuto, l’ammaestramento necessario. Ma vediamo, oltre il fascismo, la ripresa dell’Italia libera, per la quale veramente s’immolarono i nostri cinquecentomila caduti: e ad essa consacriamo tutta la nostra fede e tutta la volontà nostra.