Le difficoltà a trovare una propria collocazione nel mondo del lavoro e dunque nella società, a costruire in modo stabile la propria vita, contribuiscono a far sì che i giovani percepiscano il proprio futuro con incertezza. L’impatto della crisi che si è scatenata a partire dal 2007 in poi ha reso ancor più gravi i problemi della maggioranza della popolazione giovanile. La crisi economica e sociale, che ha colpito in modo particolarmente duro i paesi periferici e semiperiferici dell’Unione europea; la percezione che le politiche messe in campo dai governi siano inefficaci; la traslazione dei centri decisionali dalla dimensione nazionale a quella comunitaria, con i parlamenti ridotti al ruolo di ratificare decisioni prese altrove e la conseguente delegittimazione della classe politica e dei partiti tradizionali; sono alcuni elementi della crisi sistemica che caratterizza la nostra epoca e che contribuisce all’affermazione di sentimenti diffusi di disaffezione alla politica e di sfiducia.
È naturale attendersi che la disaffezione e il grado di insoddisfazione, quando non la percezione di estraneità, siano più acute nel mondo giovanile. La condizione di precarietà, con il suo corollario di frequenti cambiamenti di impiego e il processo di de-materializzazione del luogo di lavoro che si verifica in alcuni casi, concorre a porre i giovani di fronte ad una realtà che pare sempre più frammentata. Processi di individualizzazione e frammentazione sociale rappresentano il contesto per mettere a fuoco il rapporto tra giovani generazioni e politica.
Alla difficoltà a trovare una propria collocazione nel mondo del lavoro corrisponde la difficoltà a trovare punti di riferimento nella sfera politica. Questo processo è ovviamente legato alla crisi che ha investito negli ultimi decenni i “corpi intermedi”. Secondo un sondaggio Demos, se nel 2006 solo il 20% degli intervistati tra gli under 24 (e il 13% tra gli under 34) nutriva fiducia verso i partiti politici, nel 2012 tale quota era scesa per entrambi i campioni al di sotto del 5%.
Ma il vuoto di rappresentanza non comporta automaticamente passività e disimpegno; a volte a tali inclinazioni si accompagna la richiesta di un’altra politica, nella sostanza e nelle forme. Sempre tra il 2006 e il 2012 i dati sembrano indicare che, anzi, vi sia stato un leggero aumento nell’indice di partecipazione ad iniziative politiche o civili. La relazione dei giovani con la politica resta dunque complessa.
Nelle fasce giovani la funzione di trasmissione della cultura politica è svolta prevalentemente dai media e dall’associazionismo. La rete viene percepita come una fonte di informazione (se non la principale), un mezzo di comunicazione (grazie al quale si passa da semplici fruitori del flusso di comunicazione a partecipanti al flusso stesso), una porzione della sfera pubblica.
New e social media, disarticolando i tradizionali processi di intermediazione, danno l’impressione di consentire una maggiore e diretta partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica. Questa visione pone nuove sfide alla democrazia rappresentativa, ai partiti, agli altri corpi intermedi.
La rivoluzione nel campo dell’informazione cambia la natura e le caratteristiche degli intermediari politici, favorendo l’emersione di nuovi soggetti, organizzazioni più leggere, che originano azioni collettive intrattenendo con i propri membri relazioni meno impegnative che nel passato. Favoriscono l’emergere di “organizzazioni senza organizzazione”, facilitando quell’azione collettiva individualizzata che ben corrisponde al background dei giovani, figli di un’epoca caratterizzata da individualizzazione e frammentazione sociale. Le iniziative e le “non-organizzazioni” che ne derivano sono realtà nelle quali gli individui non sono monadi isolate ma entrano in relazione senza costituire a tutti gli effetti un collettivo, nell’accezione tradizionale del termine, senza evocare un’identificazione collettiva. A questo insieme di individui che impostano la loro relazione e che promuovono le loro azioni secondo forme di partecipazione post-organizzative, corrisponde una grande frammentazione delle tematiche politiche trattate e l’aggregazione a geometria variabile, spesso attorno a single-issue.
Resta da misurare nei fatti l’impatto che queste nuove strade possano avere nel colmare il divario che passa tra una situazione di alienazione percepita, perché non ci si sente rappresentati; il processo di rivendicazione che sostiene la richiesta di riconoscimento e, infine, l’auspicata inclusione nella comunità politica capace di costruire una cittadinanza a tutto tondo.
Perché partecipazione non significa solamente “prendere parte” a determinate iniziative collettive e pubbliche, ma anche “essere”, “sentirsi parte” di qualcosa di più grande ed “essere riconosciuti” come tali, come cittadini appunto.
11/04/2016